L’applauso a Mattarella? Prima della politica, un applauso di tutti quelli che credono nella musica
Il ricordo di Attila alla Scala svanirà presto. Sfumeranno Livermore e la sua regia passepartout – sangue, macerie, video, tableau vivant da Raffaello e citazioni cinefile da Portiere di notte; Chailly e la sua direzione protesa a far sembrare capolavoro quel che capolavoro non è; i cantanti di discreta qualità, sempre danneggiati dalle sciagurate regie televisive che insistono sui primi piani della glottide vibrante e del pedicello indomabile.
Resterà più a lungo, nella narrazione socio-politica italiana, l’accoglienza che il pubblico della Scala ha decretato al presidente della Repubblica, Mattarella. Accadrà a causa della inevitabile deriva della comunicazione, contaminata da una retorica mal posta e peggio elaborata ma vischiosa, persistente.
Giornalisticamente parlando, la “notiziabilità” dell’episodio c’era tutta. A chi segue i sempre più stucchevoli riti del Sant’Ambrogio scaligero (fateci caso: l’opera che si dà quel giorno nel teatro dell’opera di Milano è sempre un capolavoro, a prescindere; e occorre che venga giù il teatro, in negativo, perché le cronache si pongano qualche serio interrogativo), è stato quasi subito chiaro che l’applauso all’apparire di Mattarella nel palco reale della Scala aveva una durata insolitamente lunga. E più durava, più era evidente che questo avvenimento diventava preponderante, nella sua singolarità.
È stata una sorpresa e questo spiega perché sulla durata non si sono letti molti dettagli: nessuno o quasi, fra chi dentro al teatro del Piermarini stava facendo il giornalista, ha pensato di cronometrare. Perlomeno, dall’inizio. Poi, è chiaro che più l’applauso durava più gli addetti ai lavori alzavano le antenne. Ma ormai era troppo tardi. Si è letto e sentito di durate fra i due minuti e mezzo e i cinque. A orecchio – ma confesso che neanch’io ho pensato di guardare l’orologio – si è arrivati almeno a quattro.
La durata conta relativamente: l’eccezionalità dell’episodio (la vera notizia della serata – l’unica a essere un po’ perfidi) è incontestabile. Mai alla Scala un presidente della Repubblica era stato accolto da una simile prolungata, ostentata, “plateale” – in senso stretto – ovazione. Il problema, a questo punto, è diventato l’interpretazione dell’evento. Ed è in questa pur doverosa necessità dell’informazione che la retorica e in qualche caso la mistificazione sono dilagate. Il sornione Mattarella ha dato una mano, quando è andato a parlare con Chailly e i cantanti durante l’intervallo e ha detto loro che “La musica e la cultura sono il baluardo della democrazia”. Mi piace crederlo, ci credo. Ma quanti siamo a crederlo? E a nome di chi parlava Mattarella? Di tutti quelli che affollavano la Scala la sera del 7 dicembre? Di quelli che hanno seguito Attila in Tv, quasi due milioni? O di tutti i colti appassionati di musica d’Italia, che sono di più, ma non tanti di più? Comunque, purtroppo, una minoranza accerchiata, sempre più isolata, ormai spesso sbeffeggiata. Che vede naturalmente nel presidente della Repubblica un punto di riferimento.
Ed ecco il sillogismo retorico: l’Italia a cui non piace l’attuale governo, il quale certo non fa di musica e cultura un vessillo e tanto meno un baluardo, applaudendo Mattarella in quel modo ha dato un segnale. La Scala equivale a Milano, in questo ragionamento. E già questa è una forzatura. Quanto poi Milano equivalga all’Italia è sotto gli occhi di tutti. Così, la naturale forza emotiva di un gesto istintivo e comunitario, che ha unito persone sicuramente delle più diverse convinzioni politiche in quel momento rese uguali da un identico sentire culturale, è finito nel tritacarne delle opposte analisi partigiane e faziose. Di chi ha visto nascere alla Scala una nuova Resistenza e di chi, ovviamente, si è subito premurato di sottolineare che lì, a osannare Mattarella, c’era la cosiddetta élite e non certo il popolo.
Vera nessuna delle due. Ma vallo a spiegare. Era solo un’opera, era solo musica. Già tantissimo così: qualcosa che purtroppo ormai è sempre più eccezionale – andare a teatro – per una sera vissuto come se fosse una fervida, ispirante normalità. Applaudendo Mattarella, quelle persone applaudivano anche e soprattutto se stesse.
Cesare Galla
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