Milano: la “Winterreise”, vivere fino in fondo a qualunque costo
Disquisire su come e perché “Winterreise” di Franz Schubert sia un caposaldo della Musica di tutti i tempi toglierebbe alla stessa la sua natura assoluta di capolavoro formale, estetico ed etico. Vale appena la pena di soffermarsi su qualcuna delle caratteristiche che la rendono tale, giusto per non dimenticarci fino in fondo di cosa si parli e a cosa ci si trovi dinanzi quando ci si accosta all’ascolto della sua resa esecutiva; in ogni Lied pochissimo è lasciato alla libera interpretazione: il sigillo prezioso dato dal perfettissimo uso di piccole macchie di inchiostro, centellinate da Schubert, in aggiunta ad ognuna delle figure musicali che lo compongono ci trasmette esattamente ciò che deve essere.
La struttura di ogni singolo Lied, così come quella di ogni Ciclo, viene concepita e distribuita attraverso una sintesi degli elementi “verticali” ed “orizzontali” in modo da generare un risultato formale, etico ed estetico di eccezionale equilibrio e profondità: dalla gestione melodica alla rispondenza armonico-timbrico-frastica, nulla è lasciato al caso tanto da rendere il senso di ogni lemma parimenti a quello di ogni suono.
Ne consegue una vera e propria responsabilità artistica da parte dei due esseri umani distinti che affrontano questa Perfezione: fondersi totalmente nella resa di detta “Verticalità orizzontale”. In prima istanza nella corretta lettura di dette “aggiunte di inchiostro” alle già presenti “cacche di mosca” (citiamo W. A. Mozart solo per sottolineare quanto, agli occhi di un compositore, la corretta gestione del linguaggio musicale sia cosa naturalmente semplice sino all’insignificante in quanto sottintesa ed assolutamente indispensabile ai fini della successiva decodificazione agogico-frastica); in seconda istanza nella resa timbrica che deve essere caratterizzata per diversità ma mai separata in quanto ad importanza e concezione da parte di ognuna delle singole “voci” messe in campo: il fatto che nella scrittura di un ciclo di Lieder ci siano una Voce ed un Pianoforte in organico non significa, nella maniera più assoluta, che il cantante sia un solista e il pianista un accompagnatore. Trattandosi di vera e propria Musica da Camera, pensare il contrario già sarebbe un’eresia in senso generale: in particolare nel caso dei Lieder di Schubert ciò risulterebbe un vero e proprio tradimento della complessità e dell’uomo e dell’Artista, in quanto vi si può riconoscere la sua firma più autentica ed esplicativa).
Il Duo Gerharher/Huber (parliamo di Duo in quanto, per le ragioni di cui sopra, non sarà mai possibile poter considerare in maniera distinta Voce e Pianoforte) ci ha efficacemente spiegato alcune liriche di questo “Viaggio d’inverno” in un concerto salutato da una calorosa accoglienza del pubblico intervenuto.
Estremamente coinvolgente è risultata l’ultima strofa di “Auf dem Flusse” (Sul fiume): l’omoritmia delle due linee di canto (Voce e registro grave del Pianoforte), notevolmente condotta, ha reso perfettamente l’immagine dei due limiti invalicabili che trattengono lo sfogo dell’animo tormentato ed il suo possibile guizzo… la terra fredda e impenetrabile in basso si oppone alla rigida inscalfibile corazza di ghiaccio in alto.
Altrettanto ci ha molto coinvolto la scelta di un andamento alquanto trattenuto per il n. 12 “Einsamkeit” (Solitudine): questo Langsam è strutturato in modo da avere la ripetizione dell’ultima strofa, così da enfatizzare il senso della sentenza presentata dal testo; la scelta operata dal Duo di eseguirlo con un andamento che suddivide marcatamente il 2/4 rivela tutta l’evoluzione interna che Schubert crea attraverso la differenziazione agogica, ad esempio: le accentuazioni sulla terza suddivisione dell’introduzione affidata al Pianoforte; legature “a due” per la sola parte della Voce (prima strofa); legature “a due” per la sola parte della Voce cui si sommano prima accentuazioni della prima e della terza suddivisione e poi delle legature “a battuta” per la parte del Pianoforte (seconda strofa); dogmaticità e complessità dell’ultima strofa ripetuta ove si concentra tutto il materiale melodico e agogico già presentato e ancor più cesellato, arricchito da una scrittura del pianoforte che dipinge lo stato d’animo grazie alla trattazione per aumentazione sia ritmica che armonica. Il n. 14 “Der greise Kopf” (La testa canuta) ci offre la possibilità di cogliere la simbiosi del Duo in quanto a capacità di gestione della frase in continuità: questa è perfetta nella resa del disegno di terzine discendenti che connotano i versi pari della prima e della terza strofa, così come nella presentazione all’unisono dell’ultimo verso della seconda strofa… qui si apprezza in particolare la capacità di ottenere un’omogeneità di colore che arriva a far vedere col suono l’ologramma di un feretro ancora lontano.
Per quanto concerne la visione generale presentata ci è apparso che lo scopo fosse quello di offrire una lettura che trasmettesse una generale atmosfera di siderale distacco, offrendo un gelo di riflessione metafisica anche attraverso la cristallizzazione degli andamenti, prendendo in molti casi tempi più lenti del consueto. È quindi da considerarsi desiderata la scelta di ottenere un effetto che proiettasse la Voce e la sua ottima valorizzazione dell’articolazione del fraseggio in primo piano, lasciando al pianoforte il compito di creare un tappeto glaciale per affondo e declamazione degli accenti agogici, metrici e dinamici. Ciò rivelerebbe una visione di Winterreise di tipo astratto, che, per come realizzata, ha una sua ragion d’essere e segue una logica funzionale al progetto dall’inizio alla fine.
A parer nostro, questi capolavori hanno una natura molto più umana che ideale. Rappresentano un esempio molto concreto di analisi introspettiva che, allo stesso tempo, non vuole dimenticare la fisicità. Pensiamo a Schubert: seduto al pianoforte, lirica dopo lirica, parla a sé stesso dentro e fuori. Del resto la natura umana dell’autore è ormai nota in molte delle più intime sfaccettature; la rivelazione di queste “profondità” attraverso un’esecuzione dei suoi Lieder in modalità “carnale”, più che estetizzante, renderebbe forse più pienezza di senso ad un musicista che, per troppo tempo, è stato assimilato alla versione maschile della “signorina di buona famiglia che si dedica alla musica”.
Per Carità! Franz Schubert ha lasciato pagine che trasudano una fisicità piena e controversa, quasi perversa in certi momenti per quella speciale capacità di mischiare come in un filtro magico la pulsione umana più intensa col respiro ancor più denso della morte e del “giudizio”. Una sintesi che nella sua analisi completa fa paura ai più e che è molto spesso risolta con l’astrazione filosofica. Certe questioni bisognerebbe accettarle con rassegnazione e viverle fino alla fine, fino al baratro… proprio perché “Se non c’è nessun Dio sulla Terra, noi stessi siamo Dèi!”. I Lieder di Franz Schubert con tutto ciò che rappresentano lo insegnano accento dopo accento, affondo dopo affondo: viverseli senza compromesso, lasciandosi pervadere così da rilevare la multi-personalità delle linee che li compongono, è per noi l’unica scelta possibile.
Antonio Cesare Smaldone
(14 gennaio 2019)
La locandina
Baritono | Christian Gerhaher |
Pianoforte | Gerold Huber |
Programma | |
Franz Schubert | Winterreise op. 89 D 911 |
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