Alessio Arduini: studio e meticolosità alla base di una giovane promessa

Nato a Desenzano del Garda nel 1987, Alessio Arduini è un giovane baritono dal curriculum invidiabile. Vanta già all’attivo numerose produzioni in Italia e all’estero, soprattutto in Austria dove è componente dell’Ensemble del Wiener Staatsoper dal 2012. In occasione del suo ruolo di protagonista come “Don Giovanni” al Teatro la Fenice di Venezia, l’abbiamo raggiunto per qualche domanda.

• Partiamo proprio dalle tue origini italiane: hanno favorito il tuo successo all’estero?

le origini italiane facilitano la formazione e di conseguenza la professione. Mi riferisco alla lingua, alle background culturale e alle inflessioni nella mimica corporea. Per la scrittura contrattuale invece al giorno d’oggi fa poca differenza o nessuna, anzi a volte sembra un deterrente perché la volontà popolare tende verso un nazionalismo più forte nei paesi ricchi, quindi la gente vuole vedere più interpreti locali che stranieri.

• Quali sono state le istituzioni o gli insegnanti che potresti definire caposaldi della tua formazione musicale?

Premesso che sono ingegnere di studi universitari, credo che nella formazione culturale di una persona incidano fortemente le persone e l’ambiente circostante.
Negli anni 90 il basso Garda era ricco di figure legate all’opera lirica. Alle elementari uno dei miei migliori amici era il figlio del tenore kristian johansson, studiavo pianoforte, mia madre aveva un coro di voci bianche e la voce di Pavarotti mi “disturbava” ogni domenica mattina con mio padre a casa. Quando ero ancora un ragazzino studiavo presso l’accadenia San Biagio, nota prima come accademia Ricciarelli. Ricordo che per un anno studiai solo con la corda di falsetto per non recare danno durante la muta vocale, ero dodicenne. Questo per dire che anche se non avessi voluto un po’ di questo mondo l’avrei avuto a forza dentro di me. Comunque sintetizzando le figure più importanti sono state il mio insegnate attuale che conobbi a 16 anni, Vincenzo Rose.
Enrico de mori, direttore d’orchestra e pianista che mi permetteva di andare a casa sua a studiare gratuitamente anche 3 volte a settimana. Gabriele Monici, insegnante del conservatorio di Mantova poi agente ed infine giovanna lomazzi, che mi ha permesso di debuttare da professionista da giovanissimo.

• Vi è un repertorio in particolare in cui ti trovi maggiormente a tuo agio?

Mozart e il belcanto si addicono meglio alle mie caratteristiche vocali, com’è comune nella corda baritonale nei trentanni. Poi ovviamente la corda essendo un muscolo si presta un po’ a dove la si porta, però serve tempo e studio altrimenti si perdono i riferimenti tecnici che poi rendono la nostra voce vendibile.

• Vi sono particolari motivazioni dietro la tua non così frequente presenza nei teatri italiani rispetto a quelli francesi e austriaci?

Non ho nessuna particolare motivazione a stare in un posto o in un altro a livello prettamente teatrale, ho un legame forte con Vienna perché ci abito con la mia famiglia. Ho fatto un po’ di ensemble a partire dal 2012 e mi hanno permesso di tornare ogni anno con 2 o 3 titoli. Quindi è un teatro che pur lavorandoci solo uno o due mesi l’anno, mi permette di avere più produzioni di repertorio che conosco molto bene.

• Il tuo debutto professionale come protagonista al Teatro Sociale di Como è stato vestendo i panni di “Don Giovanni”. Ti senti legato in qualche modo al personaggio?

Non mi sento legato al personaggio, ma all’opera. È stata la prima opera che ho affrontato, quindi lo studio è stato preciso e meticoloso. Nelle prime esperienze lavorative l’ho affrontato più volte e quindi mi sono rimaste nella memoria anche le più piccole cose. Magari adesso ci sono opere che studio, le porto sul palco e dopo qualche mese ho rimosso tutto.

• Ora una domanda su più fronti ma con lo stesso soggetto che mi piace spesso proporre ai cantanti: in che modo ti approcci allo studio di un personaggio? Hai delle figure di riferimento o ti rifai direttamente allo spartito?

Quando devo studiare una nuova opera, se non la conosco, come prima cosa la ascolto tutta senza spartito per farmi un’idea del pezzo. Ovviamente dopo aver chiesto a qualche amico melomane la versione migliore. Dopodiché lo studio è una lettura veloce con un pianista che sa come va diretta. Poi il grosso del lavoro lo faccio da solo studiando la parte. Una volta imparata torno dal pianista per fissarla e controllare di non aver preso difetti interpretativi. Come ultima cosa ascolto nella parte quelli che per me sono i cantanti di riferimento. Diciamo che in questo schema sono abbastanza metodico.

• Le regie contemporanee richiedono sempre più spesso una consistente capacità di recitazione da parte dei cantanti. Un esempio lo abbiamo proprio nell’allestimento di Michieletto che ti vedrà impegnato al Teatro la Fenice a fine giugno. In che modo ciò influisce sulla tua performance?

Influisce nell’enfasi della parola, degli accenti e dei fiati. Ma se la regia è fatta bene, questi seguono le intenzioni musicali quindi non ci sono controindicazioni. Il problema si pone sul controllo del fiato e della stanchezza, ma questo è un problema del cantante e nella sua capacità di non farlo diventare un difetto. Non relativo a questa produzione l’aspetto negativo è che a volte vengono richiesti livelli di energia difficili da gestire durante l’arco delle prove e spesso si arriva stanchi alle recite.

• C’è un ruolo in particolare che vorresti in futuro interpretare? E se si perché?

Il marchese di Posa nel Don Carlo, credo che sia il ruolo più bello da cantare per il baritono per la scrittura stessa. Per ora me lo godo seduto al mio pianoforte.

Grazie per il tuo tempo e in bocca al lupo!

Alessandro Cammarano

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