Antonio Orlandini: La bacchetta di Puccini
S’intitola La bacchetta di Puccini l’imponente volume che Antonio Orlandini, storico della musica di Cento, in provincia di Ferrara, dedica a Gaetano Bavagnoli (Parma, 1879–Milano, 1933). Figlio di un direttore d’orchestra di buona reputazione, Manlio Bavagnoli che fu maestro e (pare) amante di Lina Bruna Rasa e di una cantante, Gaetano Bavagnoli fu molto attivo, soprattutto come concertatore e direttore d’opera, fra il 1919, anno in cui conobbe Puccini a Firenze e il 1924 quando il figlio del Maestro lucchese, interpretando il desiderio del padre, invitò Bavagnoli a dirigere il programma pucciniano a Milano in occasione della traslazione della sua salma dal capoluogo lombardo alla natia Torre del Lago, dove riposa.
L’occasione d’incontro fra Puccini e Bavagnoli figlio fu la ripresa del Trittico alla Pergola di Firenze. Dopo Roma, Firenze fu la seconda città italiana ad accogliere il Trittico che Puccini destinò alla Metropolitan Opera di New York. Programmata nel mese di maggio, per tradizione consacrato alla Madonna e quindi congruo alla centrale Suor Angelica, che Puccini tanto amò e di ambiente claustrale.
Le cose, ci ricorda Giorgio Gualerzi nel breve e documentato saggio che introduce la documentatissima monografia uscita sotto l’egida del Comitato Nazionale Celebrazioni Pucciniane per i tipi di Maurizio Magri Editore (pagg. 497, s.i.p.), andarono bene, anzi benissimo. Puccini preferì la lettura di Bavagnoli a quelle più paludate di Gino Marinuzzi che tenne a battesimo i tre atti unici a New York, e di Roberto Moranzoni, incaricato della prima in Italia del Trittico con Gilda Dalla Rizza che ereditò da Geraldine Farrar, molto cara a Puccini, il personaggio patetico della suora madre, con l’asggiunta, per comprovati meriti pucciniani, della giovane Lauretta che canta la preghiera al babbino caro, un’oasi di luce e tenerezza, nella saga testamentaria di Gianni Schicchi.
La Bohème fu il lavoro pucciniano che aprì e chiuse il binomio Puccini-Bavagnoli. Il volume di Orlandini ci rivela che il Maestro di Lucca avrebbe voluto – a ridosso della prima scaligera – al Borgatti di Cento sul podio dell’ultima opera sua, quella Turandot che sopravvisse all’autore e tuttora suggerisce, a ogni ripresa, il mistero del suo finale.
Al fido Bavagnoli, si dice, Puccini suonò al pianoforte le musiche del duetto conclusivo, ben diverso da quello che poi Franco Alfano rielaborò e che Arturo Toscanini, nel suo iperprotagonismo non diresse alla Scala facendo terminare incompiuta la prima scaligera con la morte di Liù.
La ricerca di Adriano Orlandini, corredata dalla puntuale collaborazione agli indici di Luisa Cassani Orlandini, è un primo tassello nello studio di quelle bacchette che Toscanini, con il suo carisma musicale e politico oscurò.
Altre bacchette, come quella di Tullio Serafin, vive di luce propria grazie alle istituzioni che ne portano il nome. I già citati Marinuzzi e Moranzoni, sono – allo stato attuale – ein Begriff, per dirla alla tedesca, un’informazione potremmo dire. Ma tanti altri buoni concertatori e direttori d’opera si alternavano nei teatri del Bel Paese in quello spicchio di Novecento in cui anche Gaetano Bavagnoli fu attivo. Pensiamo a Rodolfo Ferrari, a Edoardo Vitale e a molti altri.
Il volume ci restituisce anche l’importanza di un Teatro come il Borgatti di Cento, alla ricerca del suo originario splendore, dove Bavagnoli era di casa e dove portò al successo, presente Puccini, per nove serate la Manon Lescaut che seguirono di nove mesi la trionfale ripresa toscaniniana alla Scala che suggellò la pace, di facciata, fra i due grandi musicisti che l’Italia del primo ventennio del Novecento regalò al mondo. Il Teatro Borgatti di Cento è, non a caso, fra i patrocinatori dello studio di Orlandini.
Detto questo la carriera di Gaetano Bavagnoli toccò non solo i grandi teatri italiani ed europei, ma portò il Maestro parmigiano
a esibirsi anche nei continenti americano e australiano quando fu chiamato – fine anni Venti – a collaborare con la Nellie Melba-Williamson Grand Opera Company in America e in Australia. Negli ultimi anni Bavagnoli fu attivo a Bologna, a Bergamo, nel 1932 esordì all’Arena di Verona con L’Africana di Giacomo Meyerbeer in cui ebbe come protagonista l’amante pazza del padre, quella Lina Bruna Rasa prediletta da Mascagni e cara anche a Toscanini. Morì l’anno successivo a Milano a soli cinquantaquattro anni.
Rino Alessi
Antonio Orlandini
La bacchetta di Puccini. La figura e l’arte di Gaetano Bavagnoli
Maurizio Magri Editore
Pagg. 512
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