Arena, che confusione!

Quando l’emergenza sarà finita, Federico Sboarina, sindaco di Verona, e Cecilia Gasdia, sovrintendente della Fondazione Arena, potranno forse vantare un piccolo record. Quello di essere riusciti a parlare del terremoto che ha travolto, con tutte le altre realtà europee del settore, anche il festival operistico che si tiene nell’anfiteatro romano, senza mai pronunciare le parole “cancellazione” o “annullamento”. Una comprensibile e in fondo apprezzabile autodifesa psicologica, che la dice lunga su quanto li abbia provati il tentativo di resistere all’inevitabile e la frenetica ricerca di soluzioni alternative.

Da questo punto di vista, la conferenza stampa in collegamento telematico che i due hanno tenuto ieri, insieme al dg della Fondazione, Gianfranco De Cesaris, è stata esemplare. Sboarina e Gasdia avevano una notizia da dare e l’hanno minimizzata come se fosse cosa già assodata, il che fino a quel momento non era affatto (e infatti la curiosità per le loro dichiarazioni era alta). E avevano da raccontare un progetto carico di speranze e tuttavia ben lungi dall’essere sicuro, di cui hanno parlato come dell’evento dell’estate areniana anche se l’ufficialità, come suole dirsi, è di là da venire.

La notizia è la seguente (e proveremo anche noi a dirla senza scrivere le esecrate parole-tabù): il festival operistico 2020 in Arena non avrà luogo. Come anche si vede ad apertura di pagina del sito Internet ufficiale, tutto il programma o quasi trasloca senza troppe spiegazioni o giustificazioni nel 2021, conservando il numero ordinale che avrebbe dovuto avere quest’anno: sarà il novantottesimo. Annunciata anche l’aggiunta più significativa: l’anno prossimo l’inaugurazione non sarà affidata al nuovo dittico “Cavalleria” – “Pagliacci” con la regia di Gabriele Muccino, che passa nel ruolo di “seconda inaugurazione”, ma a due esecuzioni in forma di concerto di “Aida”, il 19 e il 21 giugno, nel 150° anniversario della prima assoluta del Cairo. Le esecuzioni vedranno protagonista quello che Gasdia ha definito “un cast stellare”, ma non sono state fornite ulteriori specificazioni. Già aperto il dibattito su questa novità. E diciamo che mai avremmo pensato di assistere a una “Aida” in concerto proprio in Arena, il luogo che costituisce in qualche modo il palcoscenico ormai “naturale” del capolavoro egizio di Verdi. Ma a tempi eccezionali, iniziative eccezionali, nel senso che si spera costituiscano un’eccezione. Del resto, l’opera poi verrà proposta anche in forma scenica, dal 26 giugno. E sia pure nel datato allestimento di Franco Zeffirelli. Altra novità rispetto al programma 2020, il concerto del 18 luglio 2021, dedicato all’esecuzione del Requiem di Verdi.

Il progetto “sub iudice” è stato chiamato “Nel cuore della musica”. Consiste in “una decina” (così ha detto Gasdia) di concerti lirici sinfonici nei fine settimana di agosto 2020, forse con un piccolo sforamento a settembre. Per realizzarli, la Fondazione ha messo a punto un protocollo organizzativo che prevede la collocazione dell’orchestra al centro di quella che normalmente è la platea (con gli strumentisti ad adeguata distanza l’uno dall’altro) e la disposizione del coro su piedistalli singoli (a distanza di sicurezza) dislocati lungo l’ellisse al livello di base. L’idea di riportare gli spettacoli (o i concerti) al centro dell’Arena non è nuova ed è stata a lungo studiata e dibattuta in passato. La sua prima e unica attuazione, in tempi recenti, sono state le tre serate di Claudio Baglioni nel settembre 2018.

Il calendario dettagliato non c’è, e nemmeno il programma. C’è un elenco di artisti che hanno dichiarato “entusiastica adesione” al progetto, fra cantanti e direttori d’orchestra. Il sindaco Sboarina ha precisato che il pubblico di questi concerti sarà al massimo di circa 3 mila persone a sera, sempre per le necessità di distanziamento e di organizzazione dei flussi in sicurezza. Bisognerà ora vedere in che misura e soprattutto quando i vari comitati tecnico-scientifici e il governo potranno o vorranno dare il via libera a questa idea. Che si affianca alle varie proposte che in queste settimane difficili piovono da un po’ tutta Italia, senza alcun coordinamento, per provare a mantenere accesa la fiamma della musica dal vivo almeno all’aperto, nell’assenza di indicazioni precise. Solo dopo potrà partire la programmazione artistica. Ed è chiaro che i tempi sono già stretti.

Sboarina ha raccontato di avere parlato con il ministro Franceschini anche prima della conferenza stampa, ma non ha potuto – ovviamente – comunicare il suo via libera. Così come non ha potuto dare certezze alla sua reiterata richiesta che lo Stato venga incontro alla particolare situazione determinata per Fondazione Arena dalla mancanza, quest’estate, del festival operistico. Verranno meno, infatti, incassi per 23-24 milioni di euro, certo neanche minimamente avvicinabili da quelli dei concerti agostani, nel caso potessero essere realizzati. Di fatto, tenendo conto che verranno meno anche i costi per gli allestimenti, si può pensare a un buco non lontano dai 10 milioni di euro. Una botta assai dura per le compatibilità economiche della Fondazione, appena uscita da una crisi finanziaria devastante e con debiti ancora molto alti. Così come pesantissimo è l’impatto sull’indotto economico generato dall’Arena, che viene calcolato in mezzo miliardo di euro a estate. Chiaro che il giro d’affari collegato a una decina di concerti con così pochi spettatori sarebbe meno di un pannicello caldo.

Nonostante l’apprezzabile ottimismo della volontà di Gasdia e Sboarina, insomma, la realtà rischia di disegnare uno scenario alquanto problematico. In autunno potrebbero essere coinvolti nelle possibili difficoltà economiche della Fondazione i dipendenti – ancor più di quanto non lo siano già adesso, posti come sono in integrazione salariale al 40% degli stipendi. E la possibilità che siano necessari vari tagli potrebbe influire sull’attività al Teatro Filarmonico, che già il recente piano industriale ha “fotografato” in perdita “strutturale” e il cui uso pure dovrà essere rivisto alla luce di un protocollo di sicurezza sia per gli artisti che per il pubblico. Quel Filarmonico che da troppo tempo è trattato come la Cenerentola musicale e operistica di Verona, quando è solo in virtù della sua esistenza attiva che la Fondazione può dirsi tale e portare a casa ogni anno la decina di milioni del Fondo Unico per lo Spettacolo, indispensabili per mantenere la linea di galleggiamento. Ma questo avveniva in un’epoca che appare già remota anche se è in realtà vicinissima: prima che sugli spettacoli dal vivo si abbattesse lo tsunami del coronavirus.

Cesare Galla

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