Arena di Verona 2021, un festival nuovo tra conferme e tagli
Scordatevi le grandi masse, i cori di oltre 200 elementi, le scenografie kolossal. Scordatevi l’Arena come l’avete sempre vista, compreso un pubblico un bel po’ sopra (o un bel po’ sotto, quando non andava bene) le diecimila persone. Il virus sconvolge le nostre vite e sconvolge anche il modo di fare spettacolo a cui eravamo abituati. Nella speranza che il festival lirico 2021 possa avere luogo, Fondazione Arena si tiene pronta e ha preannunciato molto sulle generali, come verrà fatto. È stata raccontata un’ipotesi di massima, oltre non si potrà certo andare. Ma si potrebbe essere costretti a cambiare in corsa verso soluzioni minori, se non minime. Le incertezze sono infatti tuttora una selva.
Il programma – dal 19 giugno al 4 settembre – sarà quello cancellato l’anno scorso dalla pandemia: Cavalleria-Pagliacci, Aida, Traviata, Nabucco e Turandot. In apertura, due serate con l’opera egizia di Verdi in forma di concerto, affidata alla bacchetta di Riccardo Muti. Il celebre direttore torna nell’anfiteatro a 41 anni dalla sua unica precedente presenza (il Requiem verdiano nell’agosto del 1980, pochi giorni dopo la strage di Bologna) e guiderà – così è stato comunicato – i complessi artistici areniani. Confermati i cast, con molti nomi di livello, e le serate “extra”, che comprendono l’eterno ritorno di Plácido Domingo, il superdivo della danza Roberto Bolle, il gran debutto in recital del tenore Jonas Kaufmann, una Nona di Beethoven e, in aggiunta, un Requiem verdiano affidato alla bacchetta femminile forse migliore nel panorama italiano, quella di Speranza Scappucci. I dettagli disponibili si trovano sul sito dell’Arena.
Spariscono i vecchi allestimenti, più o meno storici, per la necessità di fare i conti con protocolli e sicurezza sanitaria di tutti gli artisti e i lavoratori. Quanto al pubblico, che evidentemente ha gli stessi diritti sanitari di chi gli spettacoli li realizza, per il momento il ragionamento degli organizzatori è parametrato su quello che si era potuto fare lo scorso anno (quando sono stati proposti solo concerti): quindi, non più di 3.200-3.300 spettatori a sera. Dovesse migliorare la situazione, dovessero cambiare le regole, la capienza potrebbe aumentare.
Non cambierà l’impostazione artistica, a prescindere dalle evoluzioni sanitarie: fermi restando i cast, gli spettacoli avranno tutto il carattere di allestimenti “semiscenici” ad alto tasso di tecnologia. Via le scenografie, spazio a grandi schermi, a proiezioni video, a elaborazioni illuminotecniche. Il tutto per il momento senza firme di regia, almeno a quanto riporta il sito dell’Arena: tutte “nuove produzioni” della Fondazione.
Durante una conferenza stampa dal centro dell’anfiteatro, trasmessa su YouTube ma con un certo numero di giornalisti in presenza, la sovrintendente Cecilia Gasdia ha dato l’annuncio della rivoluzione in arrivo, preceduta dal sindaco di Verona Sboarina, che ha sottolineato quanto l’innovazione, in tempi di crisi, sia fondamentale. In realtà, come ben sanno i frequentatori dei teatri d’opera, le più avanzate tecnologie multimediali vi hanno da tempo diritto di cittadinanza. Ma certo, queste soluzioni in Arena finora erano rimaste per così dire appena fuori dai blocchi di partenza. L’esperimento più radicale in questo senso risale al 1999, con una Butterfly multimediale che non aveva avuto alcun seguito. E per dare l’idea, sono solo pochi anni che il pubblico può seguire il testo cantato su due grandi display in cima ai gradoni, ai lati della scena.
Se esiste l’intenzione di affidare queste soluzioni drammaturgiche a specialisti del settore, non è stato detto. Sarebbe quanto mai opportuno che avvenisse, perché anche in questo campo non tutte le creatività sono uguali, e non tutte le soluzioni ugualmente convincenti, ma la sensazione è stata che in realtà l’Arena voglia procedere con le risorse che ha in casa. Prevedibile il superlavoro per il vicedirettore artistico Stefano Trespidi, che infatti non ha nascosto di essere atteso da un impegno enorme.
In attesa di vedere come sarà mai una Marcia Trionfale, o un “Va’ Pensiero”, o un “Libiamo” ai tempi del coronavirus, delle masse rarefatte e del multimedia obbligatorio, è già chiaro che un’impostazione di questo genere avrà un impatto molto pesante per quanto riguarda l’occupazione, ovviamente nei settori degli aggiunti con contratto a termine. Fino al 2019, il festival estivo portava lavoro a centinaia di artisti e lavoratori oltre ai dipendenti fissi della Fondazione, ingaggiati con contratto a tempo determinato. L’estate prossima, la necessità di avere – per le regole di distanziamento – meno persone sul palco e specialmente nel retropalco, cuore pulsante delle attività ogni volta che si va in scena, porterà a riduzioni anche pesanti tra le file di questi lavoratori. Meno orchestrali e coristi, meno tecnici di palcoscenico, elettricisti, addetti alla sartoria e alla vestizione, meno addetti a una sala la cui capienza è ridotta del 75 per cento. Si parla, secondo dati, attendibili, di alcune centinaia di persone, o più. Ovvero di una riduzione dei contratti a termine intorno al 40 per cento, se non di più.
Nel progetto areniano gli spettacoli virtuali sono la soluzione per andare avanti, ma molti lavoratori reali finiranno per pagare un prezzo molto pesante. Appartengono tutti alla categoria dei “non garantiti”, che da un anno nella crisi pandemica stanno pagando il prezzo più alto. Il tempo passa, la crisi no, i “ristori” – quando ci sono – restano esigui e precari. Eppure, ancora non si sentono le voci che contano, a livello politico, parlare della necessità di trovare rapide efficaci soluzioni anche e soprattutto per loro.
Cesare Galla
(11 marzo 2021)
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