Baden-Baden: con Mehta e Wilson è subito Otello

Con Zubin Mehta e l’Otello di Verdi si è concluso il Festival di Pasqua del Festspielhaus di Baden-Baden, celebre festival della cittadina termale nel sud-ovest della Germania.
Il Festival, che può vantare i Berliner Philharmoniker come orchestra in residence, prevede ogni anno una produzione operistica, intorno alla quale si costruiscono anche attività didattiche e divulgative. La produzione di quest’anno era, per l’appunto, l’Otello verdiano, con Zubin Mehta sul podio, i Berliner Philharmoniker, il Philharmonia Chor Wien guidato da Walter Zeh, il coro di voci bianche del Pädagogium di Baden-Baden e la regia, le scene e le luci di Robert Wilson (affiancato da un valente team composto da Nicola Panzer, Serge von Arx e Solomon Weisbard).

Un Otello che proprio nella sua data finale ha avuto però un imprevisto: Stuart Skelton, l’Otello designato, non ha potuto cantare l’ultima recita per una grave infiammazione alle corde vocali. Sarà Marc Heller a sostituirlo, contattato la mattina per il pomeriggio ma con la fortuna di aver partecipato ad alcune prove di regia ad inizio produzione.

E decisamente all’altezza della sfida la sua prestazione: alcune cose possono essere rilevate, come la dizione non sempre chiara e un’interpretazione di Otello a volte fin troppo spinta, ma la voce di Heller ha dimostrato qui tutta la sua solidità. Il tenore americano ha affrontato l’opera intera senza mostrare alcuna incertezza e sottolineando con abilità le sfumature più drammatiche del personaggio, mostrandone tutto il controverso eroismo e toccando vette di intensa espressione nel tragico finale. Le ovazioni del pubblico e l’abbraccio sincero di Desdemona a fine recita restino a testimoni dell’avvenuto salvataggio. Desdemona che è stata poi la beniamina del pubblico: e a ragione.

Sonya Yoncheva ha dato sicuro sfoggio della splendida pastosità del suo timbro, che soprattutto nel registro centrale trovava una cantabilità tra il dolce e il doloroso, sempre morbida anche nei punti più tesi e perfetta nell’interpretare la tragedia dell’innocenza, di cui la Yoncheva non ha celato alcun aspetto. Meno efficaci alcuni passaggi più acuti, forse stanchezza da quarta recita, ma taglienti e drammatici quelli più gravi.

La miglior prova della serata va però a Vladimir Stoyanov, uno Jago scuro, meditabondo, teso ma non aspro, mai eccessivo o caricaturale, maestosa figura maligna perfettamente resa dall’ampia voce pulita e ben controllata di Stoyanov. Bene anche il resto del cast, come si conviene ad una produzione di tale livello: Anna Malavasi è stata una Emilia ben calata nel ruolo e ottima nell’insieme, mentre Francesco Demuro un Cassio ben reso nella sua acerba giovinezza.

Bene anche Gregory Bonfatti (Roderigo), Federico Sacchi (Lodovico), Giovanni Furlanetto (Montano) e l’araldo (Mathias Tönges), tutti piuttosto efficaci nei loro ruoli e tecnicamente solidi.

Ottima anche la recitazione, che ha visto i cantanti impegnati nell’interpretare i propri ruoli come in una fiaba futuristica, in cui i movimenti minimi e robotici costruivano scene che non ci si sarebbe stupiti di vedere illustrate su un libro. Ma anziché castelli e corone, l’ambientazione era fredda, glaciale, con un gioco di ombre e luci al neon direttamente uscito da Tron e scene minimaliste in cui solo a tratti comparivano gli archi veneziani, con un effetto straniante. Va detto però che questa freddezza di colori e questo minimalismo di scene e gesti, non è riuscito ad evitare un senso di totale immobilità che cozzava non poco con il tono appassionato e tragico delle voci. Lo scollamento tra canto e gestualità creava una siderale distanza tra la trama e l’elettrica artificialità con cui veniva presentata, distanza ancora più straniante quando Heller, meno calato nella parte a causa dell’assenza di prove, ricadeva istintivamente in movenze più tipiche. Questo rendeva ancora più isolato il personaggio di Otello, l’unico ad assumere atteggiamenti rudemente passionali in un mondo di statiche figure compassate, in cui anche la morte non scuote gli inquietanti ed impassibili volti. Enigmatico poi l’inizio: il pubblico è stato accolto in sala da un grande telo su cui era proiettata la foto di un elefante. Tale elefante, dopo aver strizzato l’occhio al pubblico, ha lasciato spazio al palco, su cui un filmato di un elefante moribondo mostrava gli ultimi istanti dell’elefante morto costruito in scena, il tutto con sottofondo di tempestoso vento, preludio della tempesta che apre l’opera. In teoria una rappresentazione del vecchio Verdi, grande anche nella morte, in realtà una scelta un po’ velleitaria che ha lasciato alquanto perplessi.

A ricevere più ovazioni al termine dell’opera è stato però Zubin Mehta, accolto da una meritata standing ovation. Il celebre direttore indiano ha coinvolto il pubblico in un Otello maestoso e imponente, dal sapore quasi arcaico e di una monumentalità passata, antica. Non per questo è mancata la dolce espressività dei punti più intimi, dipinti con toni mesti che ben sfruttavano l’omogeneità della sua orchestra. Orchestra in cui non v’era quasi mai traccia della tensione drammatica presentata dai cantanti, forse anche a causa di una certa fissità dei Berliner, orchestra incredibile ma decisamente votata al sinfonico, ma che ha comunque saputo trovare un notevole impasto con il palco. Impasto che si è trovato anche con il coro viennese, la cui ottima e impeccabile esibizione ha saputo unire la compatta solidità delle sue sezioni con una notevole abilità nel sottolineare le tensioni drammatiche della partitura, con notevole efficacia teatrale.

E con il buon successo di questo Otello si conclude anche la Sovrintendenza di Andreas Mölich-Zebhauser, cui subentrerà Benedikt Stampa dall’anno prossimo. E i concerti dei Berliner nel prossimo festival non sono stati solo annunciati, bensì stampati con dettagli di programmi, interpreti, discorsi e curriculum in un pregevole libretto. Produzione centrale del futuro Festival sarà il Fidelio di Beethoven, diretto da Kirill Petrenko nell’anno beethoveniano, affiancata da Tugan Sokhiev alla guida dei Berliner sull’Ouverture Coriolano di Beethoven, il Concerto per violino di Mendelssohn (con Christian Tetzlaff) e Quadri da un’esposizione di Mussorgskij/Ravel, di nuovo Petrenko alle prese con la Sesta di Mahler e con la Missa Solemnis di Beethoven, Yannick Nézet-Séguin ed Elīna Garanča sulla Terza di Mahler, Herbert Blomstedt e Leif Ove Andsnes sul Concerto K482 di Mozart e la Quarta di Bruckner ed altri progetti ancora, tra cui l’integrale dei Quartetti di Beethoven con musicisti dei Berliner.

Alessandro Tommasi
(19 aprile 2019)

La locandina

Direttore Zubin Mehta
Regia, scene e luci Robert Wilson
Costumi Jacques Reynaud & Davide Boni
Trucco e parrucche Manuela Halligan
Videodesign Tomasz Jeziorski
Drammaturgia Konrad Kuhn
Personaggi e interpreti:
Otello Mark Heller
Desdemona Sonya Yoncheva
Jago Vladimir Stoyanov
Emilia Anna Malavasi
Cassio Francesco Demuro
Roderigo Gregory Bonfatti
Lodovico Federico Sacchi
Montano Giovanni Furlanetto
Araldo Mathias Tönges
Berliner Phiharmoniker
Kinderchor des Pädagogiums Baden-Baden
Philharmonia Chor Wien
Maestro del Coro Walter Zeh

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