“Basso Ostinato”, i “memoires” di Arturo Rossato rivivono grazie a Oreste Palmiero
Giornalista, romanziere, commediografo, librettista; la penna sagace di Arturo Rossato – già il chiasmo rombante tra nome e cognome fa intuire la natura del personaggio – spaziò nei generi letterari mantenendo fede ad un rigore intellettuale tutt’altro che comune.
Vicentino “anomalo” – fu lo stesso per altri due suoi illustri concittadini come Guido Piovene e Goffredo Parise – ebbe un rapporto di amore-odio per la sua città natale, che sentiva vicina e al contempo stretta e dove, una volta trasferitosi a Milano non fece più ritorno.
Spirito libero, caustico, capace di una prosa scarna e pungente come di un periodare asciutto e poco indulgente ai vezzi della maniera; fervente mussoliniano e poi critico del regime fascista fu essenzialmente un uomo dal pensiero libero, come si evince dai suoi scritti.
Basso ostinato, finora inedito vede finalmente la luce pubblicato dalla Società Editrice di Musicologia dopo un paziente lavoro di collazione dei dattiloscritti a cura di Oreste Palmiero, bibliotecario e musicista anch’egli vicentino.
Il sottotitolo di Basso Ostinato è “Romanzo musicale”; non dunque una semplice autobiografia, ma la cronaca di uno dei suoi percorsi creativi, ovvero quello che afferisce all’attività di librettista.
Rossato visse intensamente il Novecento Storico collaborando con musicisti tutt’altro che di secondo piano; per Riccardo Zandonai scrisse sei libretti tra cui quello dei Cavalieri di Ekebù –opera di argomento “sociale” – “servendo” poi Franco Alfano e altri “minori” tra cui Lattuada e Pick Mangiagalli.
Il “romanzo” scorre veloce in un’articolazione in brevi capitoli che l’autore, definendosi “bottegaio” tratta come voci di un registro; note stringate e sapide si alternano ad episodi maggiormente articolati, il tutto a conferire varietà al narrato.
Scava, Rossato, scandaglia la natura dei personaggi con i quali ha relazioni non sempre idilliche – il suo caratteraccio ha spesso la meglio sulla diplomazia – ma dove la schiettezza non viene mai meno.
In una serie di flash racconta della camera ardente di Verdi, di Umberto Giordano che lo riceve seminudo, di Puccini nervoso e curioso, fino a narrare i rapporti alterni con Lattuada, gli incontri con Franchetti, di cui revisionò il Cristoforo Colombo, Pedrollo – vicentino anch’egli – Rossellini.
La lettura corre veloce e sapida, arricchita da un apparato di note imponente e rigoroso predisposto con encomiabile acribia dallo stesso Oreste Palmiero – autore anche della corposa prefazione – cui deve andare un caloroso ringraziamento per aver riportato, o forse meglio portato, all’onore delle stampe un testo che getta ulteriore luce su una temperie che troppo a lungo ha sofferto dell’ostracismo di certa parte della critica e che invece – senza assolverne gli aspetti politici – merita di essere perlomeno riscoperta.
Alessandro Cammarano
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