Bergamo: Enrico di Borgogna, torna il primo Donizetti
Prima opera di Donizetti ad essere rappresentata, al veneziano Teatro San Luca nel novembre 1818, Enrico di Borgogna è figlia di molti padri.
Intendiamoci, il giovane e ancor fresco di studi Donizetti ha già idee sue, però l’influenza dei maestri, veri o spirituali che siano è, e non potrebbe essere altrimenti, palpabile e riconoscibile.
Giovanni Simone Mayr, il maestro vero, riecheggia nelle arie, soprattutto quelle di Elisa e di Guido, a ricordarci della sua Lodoyska; Rossini, il maestro in spirito, fa capolino con prepotenza nelle cavatine di Enrico, con quella d’uscita che prende a modello il tancrediano “Di tanti palpiti” e negli interventi buffi di Gilberto, ma soprattutto dilaga nei concertati e nel Finale primo. Tuttavia già si percepisce il Donizetti che verrà, quello capace di trattare le voci come strumenti e viceversa, colui che dipingerà la melodia su un tela armonica e contrappuntistica pressoché perfetta; ne sia prova il piccolo accenno, nella cavatina di Enrico, del tema di “Al dolce guidami” della Bolena.
Non una gran trama e non un libretto sublime, quello del Merelli, stanno alla base dell’Enrico, che più che sulle vicende amorose dei due protagonisti finisce per incentrarsi sulla riconquista di un trono usurpato – cosa che non passò inosservata alla poco benevola censura austriaca – con contorno di interventi giocosi, ove non buffi tout-court; eppure dopo averla ascoltata ci si convince che questo primo lavoro, acerbo quanto si vuole, costituisca l’imprescindibile punto di partenza per una conoscenza autentica e approfondita per l’estetica musicale del Bergamasco.
L’allestimento proposto per la prima esecuzione in tempi moderni, nell’edizione critica di Anders Wiklund, al Donizetti Opera ci è parso deliziosamente ben riuscito.
La giovane regista Silvia Paoli, comprendendo perfettamente l’impossibilità di un approccio “fedele” al libretto, labilissimo dal punto di vista drammaturgico e di consequenzialità degli eventi, stravolge tutto, trasformando per analogia Enrico di Borgogna in un godibile archetipo delle Convenienze e inconvenienze teatrali e riuscendo a rendere credibile ciò che non lo è.
Nel “Teatro San Luca”, che lo scenografo Andrea Belli trasforma con grazia e funzionalità in un teatro delle marionette di quelli che un tempo si regalavano ai bimbi, si rappresenta l’Enrico di Borgogna, fra mille difficoltà, prima fra tutte la défaillance della protagonista maschile – Enrico è personaggio en travesti – sostituita al volo dalla povera guardarobiera che viene catapultata in scena, con sua crescente e soddisfatta immedesimazione. C’è la primadonna altezzosa e impennacchiata, il direttore di palcoscenico apprensivo e vittima dei cantanti, l’attrezzista svagato, un orso ammaestrato – retaggio degli animali che si presentavano come intermezzo alle opere – che diventa protagonista di succose controscene, il coro che inneggia alla libertà conto l’”Asburgico”; tutto potrebbe naufragare da un momento all’altro e invece resta miracolosamente in piedi fino alla felice conclusione, durante la quale i cantanti ritornano ad indossare i loro abiti “civili” ( belli e curati i costumi di Valeria Donatella Bettella)e se ne vanno a fare altro.
Funziona davvero tutto in questo microcosmo mobile e mutevole, con leggerezza e senso dell’umorismo, senza mai cadere nella tentazione della gag sciocca, con momenti di vera comicità. Strepitoso il duetto Enrico-Elisa nel secondo atto, dove la vasca da bagno di lei diventa una romantica barchetta sulla quale salgono i due innamorati, con lo spazzolone per la schiena a far da remo.
Del tutto condivisibile ci pare la scelta di un’esecuzione storicamente informata con strumenti originali.
Alessandro De Marchi, con la sua impeccabile Academia Montis Regalis accordata a 430 – diapason che è magnifico sollievo per le voci – e alzata a livello della platea offre una lettura improntata ad una costante levità, poggiata su tempi effervescenti e soluzioni ritmiche brillanti, il tutto a sostenere con adeguata struttura le linee melodiche.
Lodi incondizionate alla compagnia di canto, che sta al gioco e si diverte facendo a sua divertire, a cominciare da Anna Bonitatibus che disegna un Enrico scanzonato e e un po’ spaesato, poggiato su una linea di canto adamantina e agilità sicure, il tutto con una voce dal colore sempre accattivante.
Bravissima Sonia Ganassi a dar vita ad una Elisa con tutti i tic della primadonna viziata, giocando tutto sul filo dell’ironia e forte di mezzi vocali di grande sostanza.
Levy Sekgapane, autentico tenore contraltino, si destreggia con disinvoltura nella tessitura impervia di Guido, vilain non troppo convinto, sfoderando re sopracuti con impressionante facilità, mentre Luca Tittoto è un Gilberto dalla voce di bella brunitura e dal fraseggiare mai sopra le righe, il tutto a sottolineare il mezzo carattere del personaggio.
Figurano assai bene Francesco Castoro, Pietro ricco di accenti, Lorenzo Barbieri, Brunone convincente e Matteo Mezzaro, ottimo Nicola.
Ultima ma non meno importante Federica Vitali, giovanissima ma già ben più che una promessa, nei panni di una scatenata Geltrude.
Bravo il Coro, qui impegnato nelle sole sezioni maschili, preparato da Fabio Tartari.
Il pubblico gradisce, ride e applaude tutti, lungamente e con calore.
Bentornato Enrico!
Alessandro Cammarano
(23 novembre 2018)
La locandina
Direttore | Alessandro De Marchi |
Regia | Silvia Paoli |
Scene | Andrea Belli |
Costumi | Valeria Donata Bettella |
Lighting design | Fiammetta Baldiserri |
Assistente alla regia | Tecla Gucci |
Enrico | Anna Bonitatibus |
Pietro | Francesco Castoro |
Elisa | Sonia Ganassi |
Guido | Levy Sekgapane |
Gilberto | Luca Tittoto |
Brunone | Lorenzo Barbieri |
Nicola | Matteo Mezzaro |
Geltrude | Federica Vitali |
Academia Montis Regalis | |
Coro Donizetti Opera | |
Maestro del coro | Fabio Tartari |
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