Lo Zar Pietro sbarca in città
La Donizetti Renaissance dell’omonima Fondazione bergamasca porta a casa un altro successo. Dopo centosettantanni di oblio, la ripresa del Borgomastro di Saardam seduce il pubblico orobico.
Opera della prima produzione donizettiana (1827), il Borgomastro di Saardam è stato purtroppo relegato in quella “soffitta” ideale dove ancora riposano molti capolavori usciti dal c.d. “grande repertorio” nel corso dell’800 e mai ripresi. Nel caso di specie, vittima di una frettolosa qualificazione come opera di routine, troppo influenzata dai modelli rossiniani imperanti all’epoca.
Il soggetto, in voga sin dal ‘700, non è una bomba di originalità. L’intreccio celebra un atto di generosità dello Zar Pietro il Grande (in viaggio in Olanda in incognito) in favore di Flimann (disertore della Russia) che, insignito di un titolo, sposa l’amata Marietta. Ma è in questa apparente “semplicità” che Donizetti interviene conferendo alla vicenda uno spessore talvolta più serio che comico. Così facendo, a livello musicale il compositore va oltre lo stile “rossiniano” sicuramente presente in quest’opera (cfr i richiami al Barbiere e al Viaggio a Reims), innervandolo di temi e soluzioni tipicamente donizettiani ripresi poi nei capolavori degli anni ‘30. Si pensi al terzetto del finale primo o al duetto Borgomastro-Marietta del secondo atto: frammenti che rivelano l’originalità compositiva di un autore-ponte tra la fine del belcanto e il romanticismo verdiano.
La regia di Davide Ferrario non brilla per audacia, ma lo spettacolo funziona, perché i titoli dalla drammaturgia non troppo complessa, come questo, ben si prestano a letture prive di astratte metafore. Condivisibile l’ampio spazio d’azione lasciato a cantanti e al coro maschile, che hanno saputo ripagare la fiducia riposta. Da dimenticare invece i momenti di c.d. regia mimata (desueti e brutti da vedere) come le danze a braccetto nel primo atto o l’ondeggiamento di mani dei coristi a tempo di musica.
L’azione si svolge in una sorta di cantiere navale. I temi di riferimento sono il realismo di un certo cinema hollywoodiano anni trenta, fatto di scene di cartapesta e silhouettes, e poi Bergamo. Un omaggio a Bergamo è il legame istituito (se si può dire, un po’ forzatamente) tra gli artigiani olandesi di Saardam e gli stessi bergamaschi. Dalla platea il parallelismo non è così immediato, ma ci crediamo sulla fiducia. Belle le videoproiezioni del secondo atto.
Il buon esito della serata poggia soprattutto sul solido contributo del cast vocale. Giorgio Caoduro nel panni dello Zar Pietro ha le caratteristiche di un grande cantante. La vocalità, di bel colore, è in piena risonanza e gestita con gusto. Sulla scena è disinvolto e non c’è una nota o una frase che non siano adeguatamente rifiniti. Si è apprezzato anche il Flimann di Juan Francisco Gatell dotato di voce ben impostata, agile in acuto e ben presente in tutta la tessitura. Analoghi apprezzamenti per il Leforte di Pietro Di Bianco, elegante in scena e vocalmente inappuntabile. Andrea Concetti centra il personaggio di Wambett, cui Donizetti affida il cuore comico del dramma. Bella voce, timbro scuro e fraseggio curato.
Irina Dubrovskaya nei panni di Mariettta si destreggia con piglio nella richiedente coloratura e nelle agilità che Donizetti affidò a Carolina Ungher. E’ mancata però quella svagata leggerezza, quel colore e quella pronuncia idonei a rendere appieno il personaggio.
Completavano il cast Aya Wakizono nei panni di Carlotta, Pasquale Scircoli nel ruolo di Alì Mahmed e Alessandro Ravasio nell’uffiziale.
Altro protagonista il coro maschile, che partecipa al dramma giocoso con vivido fervore dando vita quel popolo, che come sempre nell’opera influenza le scelte dei protagonisti. A tratti eccessivamente marcato il canto delle sezioni femminili.
La concertazione di Roberto Rizzi Brignoli non convince. Le intenzioni dinamiche sono fisse su un registro pressoché costante, senza tracce di reali dosaggi, con conseguente impossibilità di mettere in risalto lo spessore psicologico e le mutevoli intenzioni dei personaggi.
Cortesi applausi alla fine di una serata che suggella il successo del festival bergamasco, nell’auspicio di veder moltiplicare date e titoli per gli anni futuri.
Pietro Gandetto
(24 novembre 2017)
La locandina
Lo Czar | Giorgio Caoduro |
Pietro Flimann | Juan Francisco Gatell |
Wambett | Andrea Concetti |
Marietta | Irina Dubrovskaya |
Carlotta | Aya Wakizono |
Leforte | Pietro Di Bianco |
Alì Mahmed | Pasquale Scircoli |
Un uffiziale | Alessandro Ravasio |
Direttore | Roberto Rizzi Brignoli |
Regia | Davide Ferrario |
Scene | Francesca Bocca |
Costumi | Giada Masi |
Luci | Alessandro Andreoli |
Regista assistente | Marina Bianchi |
Assistente alla direzione | Roberto Frattini |
Orchestra Donizetti Opera | |
Coro Donizetti Opera | |
Maestro del coro | Fabio Tartari |
Nuovo allestimento e produzione della Fondazione Donizetti |
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