Bologna: Don Carlo, un’occasione mancata

Ancor oggi, trascorse le fisiologiche e sempre consigliate 72 ore per digerire lo spettacolo, la domanda si ripropone molesta: a cosa saranno mai serviti quei quattro cuscini sull’orlo del boccascena, piazzati dall’inizio alla fine nelle quattr’ore di Don Carlo? Il dramma della ragion di Stato e dei sentimenti privati, di padri e figli, di fede e necessità politica, una delle costruzioni più ardite di Verdi, passava all’occhio attraverso il dazio di quei quattro guancialoni appoggiati lì, candidamente. E pazienza se la scena raccontava invece una realtà metafisica, dalla forma böckliniana di un’isola dei morti foderata di color stagnola, che si apprenderà in seguito esser  mutuata da un Otello del Massimo di Palermo (per la serie: non si butta via niente anche se si tratta di una nuova produzione). I cuscini, nel dubbio, non si sono mai mossi dalla loro collocazione iniziale. Facendo così sorgere il sospetto che la loro intoccabilità avesse una funzione a noi ancora preclusa. Ma un giorno, forse, capiremo. Quel che non capiamo, invece, è come un cast così ben assortito, tra buca e palcoscenico, non abbia potuto meritare un allestimento più coraggioso e appagante. I costi, certo. Investire su un cast così opulento comporta tagli su altri versanti. Ma allora perché rischiare uno sbilanciamento così pericoloso? Il Don Carlo, per Bologna, è un titolo di importanza storica pari solo alla prima di “Lohengrin”. Fu l’unica opera verdiana tenuta a battesimo per l’Italia al Comunale (1867). Fu anche il primo significativo evento musicale dopo venticinque anni di vuoto, cominciati con lo Stabat Mater di Rossini (1842). Fu anche, e non è poco, il punto più alto del sodalizio tra Verdi e Angelo Mariani, prima della rottura di questi con Teresa Stolz e conseguenti pettegolezzi sulla presunta ma probabile relazione del soprano boemo col compositore. Insomma, mettere in scena questo drammone storico – seppur nella versione light in quattr’atti – era un atto di fede che imponeva solenne riguardo per la storia del Comunale. Ne è uscito invece uno spettacolo a due teste: un cast con punte di eccellenza indiscutibili (Luca Salsi su tutti, ma è inutile misurare al fotofinish uno dei migliori gruppi vocali che si possano immaginare) e un allestimento di preoccupante paralisi visiva, che ha rinunciato in partenza a scavare negli abissi dei personaggi, affidando tutto il suo potenziale a una scena fagocitante. L’idea, per quanto statica, avrebbe forse funzionato se ci fosse stato qualcosa in cui tuffare lo sguardo. Ma le superfici grigiastre di questa architettura né riflettevano né assorbivano, e lasciavano gli attori vagolare in uno spazio-tempo scandito solo dalle cicliche apparizioni del Grande Inquisitore, spinto avanti/indietro sul suo trono. L’effetto oscillava tra lo ieratico e il comico (altro che figura tremenda e terribile, la sua sagoma sembrava al confine tra Toro seduto e un giudice di X-Factor). Chi ha fischiato, ne siamo sicuri, lo ha fatto col massimo rispetto per il pregresso di Brockhaus, che su molti titoli è regista paradigmatico e non ha certo bisogno di lavorare solo sui grandi budget per potersi esprimere. Peccato per quest’occasione mancata, perché l’impianto musicale di Michele Mariotti era stato uno dei suoi migliori risultati nel campo dell’indagine sulle tinte scure, un percorso che lo sta avvicinando all’atteso debutto wagneriano, sempre più nell’aria, viste le premesse. Ma di questo Don Carlo, purtroppo, non si parlerà granché per altri ed evidenti motivi.

Luca Baccolini
(06 giugno 2018)

La locandina

Direttore Michele Mariotti
Regia Henning Brockhaus
Scene Nicola Rubertelli
Costumi Giancarlo Colis
Personaggi e interpreti:
Filippo II Dmitry Beloselskiy
Don Carlo Roberto Aronica
Rodrigo Luca Salsi
Il Grande Inquisitore Luiz-Ottavio Faria
Un frate Luca Tittoto
Elisabetta di Valois Maria José Siri
La Principessa Eboli Veronica Simeoni
Tebaldo Nina Solodovnikova
Conte di Lerma Massimiliano Brusco
Maestro Del Coro Andrea Faidutti
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna

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