Bolzano: Amalia!, quando il pastiche funziona

Il pastiche è genere profondamente radicato nel teatro musicale; caro soprattutto al barocco ma tutt’altro che sdegnato anche nella seconda metà del Settecento e per i primi anni del secolo successivo. Esempi preclari ne sono il Bajazet vivaldiano, il Rinaldo di Händel rimaneggiato e interpolato da Leonardo Leo e Les mystères d’Isis di e da Mozart, solo per citarne tre.

Il progetto che Michael Cohen-Weissart presentò alla prima edizione di Oper.a.20.21 Fringe, promosso dalla Fondazione Haydn di Bolzano e Trento, si inserisce nel filone del “pasticcio” facendo un passo avanti nella proposta di un discorso musicale nuovo.

L’idea di un’opera western creata assemblando momenti di melodrammi differenti, come fossero i pezzi eterogenei di stoffa che cuciti insieme formano un quilt, ci pare decisamente azzeccata e Amalia! funziona benissimo.

Michael Cohen-Weissert, insieme agli sceneggiatori Franziska Guggenbichler Beck – che cura anche la regia – e Julian Twarowski, crea un lavoro fluido e convincente calando tutto in una dimensione cinematografica, usando come filo raccordi musicali di sua composizione e sapienti trascrizioni per piccola orchestra di arie e duetti celeberrimi.

L’azione non è nulla più del classico triangolo caro al melodramma ottocentesco, al cui interno i protagonisti si muovono nella bidimensionalità dello schermo, per uscire sul palcoscenico trovando la terza dimensione; il tutto quasi senza soluzione di continuità in un affabulante gioco di scambi e rimandi.

Ben concepito il finale a sorpresa, con Amalia che uccide il marito uscito vincitore dal duello con il rivale, rimasto a terra, e se va dalla valle verso un futuro con tutta probabilità luminoso.

Di minimale essenzialità la scena di Sigrid Ungerer e gradevoli i costumi di Nora Scheve.

Il West diventa qui la Val di Fosse, con le sue Alpi Venoste che ricordano le montagne del Wyoming; i protagonisti sembrano uscire direttamente da uno dei film di Sergio Leone o di Quentin Tarantino, anche se Amalia, la protagonista, richiama la Amy di Mezzogiorno di fuoco, ma anche la Amelia del Ballo in maschera.

I due uomini rivali, Ernest marito rozzo e possessivo – capo del branco di Krampus, in realtà uomini travestiti da demoni montani, che nel prologo violentano Amy – e Jakob, l’antico amore che ritorna dopo anni d’assenza, rimandano a Django e a The hateful Seven.

Cohen-Weissert tesse la sua tela con grande maestria tanto che arie e romanze – che vanno dalla cavatina di Percy“Da quel dì che lei perduta”, da Anna Bolena, a “Ebben ne andrò lontana” dalla Wally, passando per Mefistofele, Onegijn, Fidelio, Un ballo in maschera e Bohème – si fondono in un discorso unico, fino ad ottenere un dramma compiuto, autonomo e di fatto nuovo.

Le riprese cinematografiche sono dense, scevre da qualsiasi intento calligrafico, montate con scarna essenzialità e accompagnate dal soundnscape ben calibrato di Federico Campana.

Marcus Merkel dirige l’Orchestra Haydn in formazione ridotta con mano sicura, perfettamente calato nel gioco del quale si fa complice, sempre attento a sottolineare la diversità nell’unità dei “pezzi” che compongono Amalia!.

Splendido Alessandro Ferrari, che con la sua tromba perfetta è chiamato a dar vita ai momenti autenticamente western dell’opera che rendono omaggio a Ennio Morricone.

Nel terzetto dei cantanti spicca Mirjam Gruber, Amalia dal bel timbro corposo e ottima fraseggiatrice.

Discreto Matthew Peña, che nonostante qualche opacità in acuto, si destreggia con sufficiente perizia nei panni di Jakob, l’amante ritornato per farsi ammazzare.

Buona, infine, la prova di Andrei Zhukov, ferrigno Ernest, marito tradito, che canta il suo desiderio di vendetta sulle note di Mefistofele e di Don Pizzarro.

Successo pieno, moltissimi i giovani, alla fine di una serata che ha ancora una volta dimostrato che l’opera non è morta ma si sta semplicemente evolvendo.

Alessandro Cammarano
(9 febbraio 2019)

La locandina

Direttore Marcus Merkel
Idea e regia Franziska Guggenbichler Beck
Sceneggiatura e drammaturgia Julian Twarowski
Costumi Nora Scheve
Scenografia Sigrid Ungerer
Lighting designer Pasquale Quaranta, Marco Zannella
Soundscape Federico Campana
Produzione film Helios Sustainable Films
Amalia Mirjam Gruber
Jakob Matthew Peña
Ernest Andrei Zhukov
Orchestra della Fondazione Haydn di Trento e Bolzano

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