Bolzano: Dorian Gray, buona la prima di Franceschini e Pintor
Nel clima di attenzione e curiosità per il nuovo tipiche dell’ambiente bolzanino, lo scorso 16 marzo si è compiuto un avvicendamento importante al Teatro Comunale Verdi, dove l’allestimento in prima assoluta dell’opera Dorian Grey del compositore Matteo Franceschini per la regia di Stefano Simone Pintor ha segnato la conclusione di un ciclo e l’apertura di un altro. Si trattava, infatti, della messinscena dell’ultima opera della trilogia commissionata dalla Fondazione Haydn a compositori dell’Euregio (inaugurata con Toteis dell’altoatesina Manuela Kerer nel 2022 e proseguita con Peter Pan – The Dark Side dell’austriaco Wolfgang Mitterer nel 2023) e soprattutto coincideva con la fine dell’incarico di Matthias Lošek, per 9 anni direttore artistico della stagione operistica dell’orchestra regionale, ruolo che passerà ora a Giorgio Battistelli, già impegnato dal 2021 nel disegno della stagione sinfonica per la stessa fondazione.
Un sipario che si chiude e uno che si apre, dicevamo, con l’apparizione di un’opera nuova che convince e cattura. Dorian Grey, frutto del lavoro simbiotico durato due anni tra il compositore e il librettista/regista, è profonda, scura, drammatica, ha uno stile narrativo cinematografico avvolto in sonorità poliedriche. Tutto è inquieto e ambivalente, perfetta espressione del racconto di Wilde come del nostro tempo, ugualmente imbrigliato nell’inquietudine di una società decadente nei valori, avvelenata nei sogni, tormentata dalla bellezza, angosciata nel pensiero e violenta nelle azioni.
La storia si dipana in sei quadri, scene diverse che in realtà separate non sono, essendo attraversate da un filo rosso di rimandi e citazioni che le collegano tra di loro. I quadri corrispondono ai sei personaggi che gravitano attorno Dorian Grey: sei racconti per uno, ossia sei visioni diverse di Dorian Grey descritte dalla relazione che ciascuno intreccia con l’eterno giovane. Il gioco del doppio si moltiplica – Dorian Grey, il Doppelgänger, lui stesso in vesti maschili con voce di donna – e diventa occasione per scrutare l’interiorità di ciascuno, che in comune mostra solo una voragine di insicurezza. Tutto è instabile, liquido, mutevole, tutto conduce all’estremo che diventa irreparabile (omicidio, suicido, atto criminale).
Ce lo dice la prima immagine dell’opera, dove un palcoscenico dorato si scioglie davanti ai nostri occhi; ce lo raccontano i gesti tormentati dei personaggi in scena (dal logorio sentimental-creativo di Basil agli atroci omicidi compiuti da Alan), in continuo movimento tra una crisi e l’altra (per ottenere l’eterna giovinezza in Gladys, il cui espediente è il bisturi; per ottenere l’eterno amore in Sibyl, dove la soluzione è il suicidio); ce lo dice la linea melodica dei cantanti, in un registro altalenante che disegna non solo i dialoghi interiori (così efficace quello di James) ma anche le relazioni di ciascuno con Dorian Grey (così raffinato il duetto tra Sibyl e Dorian).
Il tutto rappresentato davanti a noi, pubblico borghese che occupa sedie di velluto rosso, ossia colui che guarda e osserva, giudica e critica, in un rimando di specchi e cornici che sono l’elemento su cui si costruisce tutta la scenografia. Come Dorian – sempre giovane, sempre uguale, sempre assetato di bellezza – è lo spettatore, elemento statico e immutabile che attraversa tutte le scene, come le cornici degli specchi, che osserva e contiene la vita degli altri.
La musica è una sorpresa, tra composizione tradizionale ed uso ben studiato dell’elettronica. Una musica che racconta ma sa anche accompagnare, che spinge l’azione ma sa anche stare in silenzio, che dona momenti distesi di lirismo come periodi compressi e laceranti. Una musica che si capisce indissolubilmente legata alla sceneggiatura. Franceschini (Leone d’argento per la musica alla Biennale di Venezia 2019) non si lascia categorizzare e dimostra una padronanza compositiva che attraversa tutta la storia operistica, dalle arie antiche agli squilli di trombe, disegnando un grande quadro universale che affonda le radici nella tradizione ma che utilizza il linguaggio della contemporaneità.
E se ad un certo punto si cita apertamente Rigoletto dietro le quinte, quel padre dolente (qui Alan) davanti alla figlia esanime, vittima delle stesse mani genitrici, squarcia la memoria di tutti e i significati si moltiplicano sulla scena. Ne esce un iper-spartito, come lo definisce lo stesso compositore, che bene si accorda con l’ambiente sonoro di oggi ma dimostra una ricercatezza ed eleganza particolari. Un riconoscimento a tutto il cast, giovani voci internazionali, già preparate nella musica contemporanea, che hanno valorizzato la prima di quest’opera, e all’impegno dell’Orchestra Haydn e del suo direttore Rossen Gergov.
Questo è stato Dorian Grey, o forse anche il critico musicale è caduto nella rete di Oscar Wilde e ha visto sé stesso, poiché «è lo spettatore, non la vita, che l’arte realmente rispecchia». Non resta che andare a teatro e scoprirlo da voi.
Monique Cìola
(16 marzo 2024)
La locandina
Direttore | Rossen Gergov |
Libretto e regia | Stefano Simone Pintor |
Scene | Gregorio Zurla |
Costumi | Alberto Allegretti |
Luci | Fiammetta Baldiserri |
Video | Virginio Levrio |
Personaggi e interpreti: | |
Dorian Gray | Laura Muller |
Basil | Manuel Nuñez Camelino |
Sybil | Giulia Bolcato |
James | Ugo Tarquini |
Alan | Alexandre Baldo |
Gladys | Elena Caccamo |
Harry | Mathieu Dubroca |
Orchestra Haydn di Bolzano e Trento |
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