Bolzano: Giulio Cesare e l’horror vacui

Dopo il debutto ravennate e le tappe di Modena, Piacenza (qui la recensione), Reggio Emilia e Lucca, il Giulio Cesare Dantone-Muti approda a Bolzano – la Fondazione Haydn è tra gli enti co-produttori dell’allestimento – con due cambi nel cast e, soprattutto, con l’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento al posto dell’Accademia Bizantina, e la novità non è di poco conto, per una serie di motivi tecnici e stilistici.

La Haydn suona strumenti moderni e si accorda su un diapason a 442, mentre la Bizantina tempera il suo organico storicamente informato ad un filologico 415 e dunque tutto viene trasportato un tono abbondante sopra.

Il suono risulta dunque irrobustito e acquisisce maggiore brillantezza – per intenderci quella che agli albori della Barocco-Renaissance apparteneva a Karl Richter o a Raymond Leppard – mettendo potenzialmente in difficoltà i cantanti avvezzi ad altezze più “comode” per la voce.

Ottavio Dantone, che della Haydn è Direttore Principale, riesce a portare felicemente a termine la sfida, restituendo un’esecuzione di fatto del tutto filologica e al contempo senza “tradire” la natura della compagine orchestrale, il tutto mettendo quanto più possibile a proprio agio la compagna di canto.

Il suono è dunque luminoso, apollineo e la perdita della dimensione sombre derivante dagli strumenti originali è ampiamente compensata.
I tempi sono incalzanti e tuttavia mai forsennati – i metronomi alla biscroma del barocco “famolo strano” non trovano qui spazio alcuno –, le agogiche stringenti, il ritmo deciso, il tutto a dar vita ad un narrato di espressiva discorsività alternando, come si conviene, furie guerriere ad abbandoni elegiaci.

Raffaele Pe dà voce e corpo al ruolo-titolo esibendo ancora una volta un fraseggio calibrato al millimetro unito ad un’aderenza totale al personaggio, mentre Marie Lys disegna una Cleopatra da manuale, forte di una linea di canto adamantina e di agilità portentose.

Delphine Galou è Cornelia di bella pasta vocale e dalla recitazione degna di una grande-tragedienne, così come Davide Giangregorio presta la sua vocalità imponente e controllatissima ad un Achilla ricco di accenti.

Onore e gloria ai nuovi acquisti controtenorili del cast.

Se Nicolò Balducci, sempre più bravo, incarna un Sesto dalla vocalità caleidoscopica alla quale unisce una carismatica padronanza del palcoscenico, Rémy Brès-Feuillet risponde magnificamente tratteggiando il vilain Tolomeo attraverso una costante ricerca di colori e sfumature.

Ottime le prove di Clemente Antonio Daliotti come Curio e di Andrea Gavagnin, quarto controtenore in scena, ad interpretare un convincente Nireno.

Resta da dire qualcosa dello spettacolo immaginato da Chiara Muti – con le scene, belle, di Alessandro Camera, i costumi, meno belli, di Tommaso Lagattolla e le luci disegnate da Vincent Longuemare – che porta in sé il “peccato originale” di voler considerare il Giulio Cesare un’opera buffa; il che non è.

Certo il libretto di Haym qualche ironica bordata al potere la contiene, ma la satira politica non è preponderante – Händel avrebbe mai morso platealmente la mano di Giorgio I di Hannover ? –, eppure la regista punta decisamente sul comico, con effetti spesso fuori luogo.

Tutto in scena, grazie anche ad onnipresenti figuranti, si muove a ritmo di farsa, con gag e siparietti tanto insistenti da fare, a tratti, passare la musica in secondo piano.

Ma davvero c’è bisogno che tutti debbano sempre fare qualcosa, o più di qualche cosa? Uno per tutti il povero Tolomeo che, nelle sue arie, è costantemente impegnato a svolgere due o tre compiti diversi e allo stesso tempo deve pure, incidentalmente, cantare.

E poi i richiami – perché? – al Sogno di una notte di mezza estate, con una spruzzata di Apuleio, con Cesare che canta “Se in fiorito ameno prato” indossando una testa d’asino o l’omaggio, probabilmente involontario, a Paolo Poli ad accompagnare “V’adoro pupille”.
E poi le Parche, l’assassinio di Cesare in controscena e tanto altro; il pubblico comunque si diverte, con buona pace del “Less is more”.

Alla fine, successo pieno per tutti.

Alessandro Cammarano
(21 marzo 2025)

La locandina

Direttore Ottavio Dantone
Regia Chiara Muti
Scene Alessandro Camera
Costumi Tommaso Lagattolla
Lighting Design Vincent Longuemare
Personaggi e interpreti:
Giulio Cesare Raffaele Pe
Cleopatra Marie Lys
Achilla Davide Giangregorio
Cornelia Delphine Galou
Tolomeo Rémy Brès-Feuillet
Sesto Nicolò Balducci
Nireno Andrea Gavagnin
Curio Clemente Antonio Daliotti
Orchestra Haydn di Bolzano e Trento

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