Bolzano: Ingrid Fliter «Noi facciamo il tifo per questi ragazzi, sono il futuro della musica»

Il 23 agosto ha preso il via a Bolzano la 64° edizione del Concorso Pianistico Internazionale “Ferruccio Busoni”. Il capoluogo altoatesino si è vestito con il color fucsia della storica competizione e ha aperto le porte dell’Auditorium Haydn alla manifestazione che suscita più di tutte l’attenzione e gli entusiasmi dell’anima musicale della città, con affezionati che raggiungono l’Alto Adige anche da molto lontano. Dieci giorni, quattro prove, tre ore totali di esecuzione a candidato, pagine e pagine di virtuosismi, musica contemporanea e trascrizioni di Busoni, repertorio solistico, cameristico e con orchestra. Se il cammino verso l’ambìto premio vi sembra già così un’impresa, allora sappiate che in realtà l’inizio è avvenuto a maggio dell’anno scorso, quando ben 600 pianisti da tutto il mondo hanno mandato domanda di iscrizione. Di questi, solo 110 hanno superato la preselezione che li ha portati, a novembre 2022, ad esibirsi in dodici sale Steinway nel mondo. Di questi, solo 35 sono stati ammessi alle fasi finali, cominciate pochi giorni fa a Bolzano e che ora, dopo le due prime prove solistiche, sono già stati ulteriormente ridotti a 6 concorrenti in corsa per le ultime due audizioni.

Ma come sta andando la gara? Lo abbiamo chiesto a Ingrid Fliter, pianista argentina il cui nome è presente nell’albo d’oro della competizione fondata da Cesare Nordio e sostenuta da Michelangeli, oggi chiamata a presiedere la giuria dell’edizione 2023.

  • Dopo cinque intense giornate di ascolti, giunti a metà delle fasi finali, non le chiedo cosa cercate tra i giovani pianisti in gara, ma cosa avete già trovato…

Sicuramente il livello è altissimo, veramente è sorprendentemente alto, quindi siamo innanzitutto felici e molto speranzosi perché questo è il futuro della musica classica che ha bisogno di gioventù così. Abbiamo notato un’importantissima dedizione, passione e forte personalità. Mi ha fatto piacere vedere anche che i ragazzi suonavano molto spesso come se non fossero davanti a una giuria ma proprio davanti ad un pubblico; una cosa molto positiva perché ognuno, a suo modo, ha potuto così esprimersi al meglio, quindi abbiamo sentito tante personalità diverse. Il nostro porci in ascolto come giuria è stato sicuramente senza alcun pregiudizio di un modello stabilito a priori su come vorremmo che una persona suonasse; abbiamo cercato di mantenerci sempre imparziali e permeabili, aperti ad ascoltare i ragazzi al di fuori del nostro immaginario di come si dovrebbe suonare, perché ognuno di noi ha un’educazione musicale, è cresciuto in una realtà diversa, molti di noi sono pianisti e quindi non possiamo evitare di immaginare come avremmo suonato questo o quell’altro pezzo. Credo che dovremmo proprio evitare che questo succeda per poter mantenere la testa aperta. Ciò che cerchiamo, in generale, è sicuramente una persona che possa portare il discorso musicale a un livello molto personale che possiamo percepire noi come ascoltatori; una forte necessità comunicativa, un coinvolgente desiderio di condividere il messaggio del compositore e trasformarlo nel proprio.

  • Scuola pianistica russa, Hochschulen tedesche, famosi maestri italiani: il Concorso Busoni è sempre stato un interessantissimo incontro di come si insegna e come si suona il pianoforte. Avete riconosciuto, nel modo di suonare e nel comporre i programmi da parte dei concorrenti, una chiara impronta della loro formazione?

No, direi che di nuovo abbiamo voluto rispettare ognuno dei pianisti che si presentavano nella totale assoluta unicità di ciascuno, con tutte le caratteristiche proprie che fossero di una scuola o della loro formazione, capacità pianistiche emotive o culturali; abbiamo giudicato la persona che avevamo davanti con tutte le sue caratteristiche al di là della sua provenienza e anzi, io personalmente mi mantenevo abbastanza astratta nel non guardare le informazioni su dove avessero studiato e con chi per non lasciarmi influenzare.

  • Nel suo curriculum ci sono riconoscimenti in diversi concorsi pianistici internazionali di prestigio, come lo stesso “Busoni” e lo “Chopin” di Varsavia. Avendo sperimentato in prima persona cosa significhi trovarsi dentro una competizione, come si sente oggi a stare dall’altra parte della “barricata” sedendo nella giuria?

Dipende moltissimo dalle circostanze che ruotano attorno all’occasione di essere giudice. Qui a Bolzano ho il privilegio, oggi, di condividere il lavoro con colleghi che ammiro moltissimo, dai quali imparo anche, e possiamo condividere le nostre sensazioni molto liberamente. Posso ribadire soltanto che noi siamo dalla parte dei giovani pianisti che ascoltiamo, non siamo contro di loro, non stiamo giudicando come se fosse un giudizio universale e vogliamo che loro si possano sentire a loro agio; perché noi cerchiamo di capirli, cerchiamo di abbracciare ciò che hanno da dire e, siccome amiamo profondamente la musica, ognuno di noi, capiamo il fondamentale ruolo che ha ognuno di loro per la musica classica. Noi facciamo il tifo per questi ragazzi! Poi naturalmente dobbiamo organizzare il nostro pensiero per definire il livello che vogliamo sostenere in questo concorso, anche per far arrivare le persone con certe caratteristiche nella finalissima, così che possiamo garantire un evento davvero da celebrare. Se potessi rassicurare ognuno dei partecipanti, direi davvero di non preoccuparsi, che possono essere sé stessi, non devono forzarsi ad essere qualcun altro, e che noi li ascolteremo volentieri con grande rispetto. Anche noi siamo umani, anche noi siamo pubblico, siamo amanti della musica.

Dopo le semifinali solistiche (tenutesi dal 23 al 25 agosto) sono stati scelti 13 concorrenti (uno in più rispetto al regolamento) dalla giuria qualificata composta dal pianista scozzese Iain Burnside, dalla pianista britannica Imogen Cooper, da Fulvia de Colle, Direttrice Artistica della Fondazione Musica Insieme di Bologna, dal pianista francese FrançoisFrédéric Guy, dalla pianista cinese Chen Jiang, dal pianista serbo Aleksandar Madžar, da Clemens Trautmann, presidente e CEO di Deutsche Grammophon a Berlino, e presieduta dalla pianista argentina Ingrid Fliter. Purtroppo il pianista e compositore georgiano Nicolas Namoradze, previsto nella giuria, non ha potuto essere presente causa Covid.

A seguito delle finali solistiche (tenutesi il 26 e 27 agosto), solo 6 concorrenti sono stati ammessi alla fase successiva, la penultima. Nella storia del concorso questa prova consisteva in un concerto classico con orchestra a preludio della quarta ed ultima prova, la finalissima, con il concertone romantico. I biglietti per assistere andavano a ruba, nessuno voleva rinunciare alla fibrillazione della gara a colpi di Secondo di Chopin, Totentanz di Liszt e i magnifici Rach 2 e Rach 3.

Da diversi anni le cose sono cambiate, dopotutto anche in un concorso che vanta una storia lunga settant’anni è lecito qualche cambiamento. La penultima prova ha abbandonato il concerto classico per avvicinarsi alla musica d camera, sfidando i concorrenti nell’esecuzione di un quintetto con archi e, novità di quest’anno, in una ulteriore esibizione solistica di 30 minuti a programma libero. Con oggi (martedì 29 agosto) e per i prossimi tre giorni si esibiranno assieme al quartetto americano Isidore String Quartet (ore 20.00, Auditorium Haydn) i seguenti candidati: martedì 29 agosto Anthony Ratinov, classe 1997, allievo di Boris Berman e Boris Slutsky, recentissimo Primo premio al “Ricard Viñes” in Spagna (Quintetto di Franck, Études Tableaux, op. 39 n. 9 di Rachmaninov, Sonata n. 3, op. 58 di Chopin) assieme alla cinese Zitong Wang, classe 1999, allieva di Dang Thai Son presso il New England Conservatory di Boston (Quintetto n.2 op.81 di Dvořák, Sonata in si minore di Liszt); mercoledì 30 agosto il giapponese Ryota Yamazaki, classe 1998, allievo di Fabio Bidini a Los Angeles (Quintetto op. 34 di Brahms, Sonata in si minore di Liszt) assieme al russo Arsenii Mun, classe 1999, allievo di Sergei Babayan alla Juilliard di New York (ancora Quintetto op. 34 di Brahms, Sonata Hob. XVI: 52 di Haydn, “Feux d’artifice” dal secondo libro dei Preludi di Debussy, Rapsodia ungherese n. 2 di Liszt); giovedì 31 agosto Antonio Chen Guang, classe 1994, allievo di Zilberstein a Vienna e Bonatta a Brescia, vincitore l’anno scorso del Secondo premio al “Maria Canals” in Spagna (Quintetto op. 57 di Šostakovič, Studi op. 10 di Chopin) assieme a Ron Maxim Huang, classe 2001, allievo di Groh a Berlino (Quintetto n.2 op.81 di Dvořák, Fantasia op. 28 di Skrjabin, Variazioni sopra un tema di Paganini op. 35, secondo quaderno, di Brahms).

Per la finalissima (i cui biglietti sono sempre richiestissimi, ne rimangono oggi solo 3), che si terrà domenica 3 settembre nel Teatro Verdi di Bolzano alle ore 10.00 – orario bizzarro, scelto per rendere fruibile in diretta la gara dall’Oriente, di cui evidentemente risulta un grande seguito – potremmo ascoltare i seguenti concerti per pianoforte e orchestra: il Terzo e il Quarto di Beethoven, il Terzo di Prokof’ev, il Primo di Liszt, la Rapsodia su un tema di Paganini di Rachmaninov, il Primo di Čajkovskij, il Primo di Chopin. Quale di questi verranno eseguiti con l’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento diretta da Arno Volmer, e soprattutto quali saranno i tre finalisti a contendersi il Premio Busoni 2023? Lo scopriremo la notte del 31 agosto, seguite i social del concorso per essere i primi a saperlo.

Monique Cìola

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