Bolzano: la Camera di Carlotta tra deliri e speranze
Pazza d’amore e impazzita per amore; Carlotta d’Asburgo, nata Sassonia Coburgo, visse altri sessant’anni dopo la fucilazione del marito Massimiliano – fratello dell’imperatore Francesco Giuseppe e a sua volta e suo malgrado imperatore fantoccio del Messico, sulla cui morte si stende l’ombra delle macchinazioni di Napoleone III – avvenuta nel 1867 a Querétaro.
Dodici lustri di follia trascorsi tra Miramare, e Bouchout scrivendo decine di lettere al giorno al marito di cui immaginava il ritorno, in un costante terrore di essere avvelenata. Morirà nel 1927, Carlotta, l’anno in cui Charles Lindbergh compie la sua prima trasvolata atlantica in solitaria, nella speranza che “l’uccello d’acciaio” possa riportare a casa Massimiliano.
Non è un caso che il messicano Arturo Fuentes – non solo compositore, ma uomo di teatro a tutto tondo – decida con la sua Carlotas Zimmer di mettere in scena la follia, per altro assai lucida, di Carlota, qui con una sola “t” alla spagnola. Carlota amò il Messico e durante il suo soggiorno come imperatrice fu in grado di compenetrarsi con l’essenza più intima della sua nuova patria.
Un omaggio dunque ad una donna che seppe farsi messicana incarnando sogni e passioni universali.
Quello di Fuentes per la stagione della Fondazione Haydn è un esempio assai ben realizzato di teatro globale che poggia su una solida base musicale calata in uno spazio scenico efficace nella sua essenzialità in cui si muovono due personaggi reali e uno virtuale.
I Leitmotiv sono le lettere, sparse ovunque, accartocciate, prese e riprese e il mare che torna che torna come elemento fondante, capace di unire e dividere.
La musica si sviluppa per brevi quadri capaci di creare atmosfere affabulanti, procedendo per suggestioni più che per esposizioni, il tutto attraverso un’orchestrazione sapientissima in cui la componente elettronica serva da fondamento, con elementi “popolari” fusi con la musica “alta”; Peter Rundel, insieme ad un’Orchestra Haydn impeccabile, fa sì che tutti gli equilibri vengano mantenuti attraverso un’esecuzione attentissima e sempre ben calibrata nelle sonorità.
Efficace lo spazio scenico debordante di fogli di carta vergati e abbandonati e di pochi altri elementi tra cui un letto, uno scrittoio, una vasca da bagno – la componente “liquida” che rimanda al mare – e due specchi. Appropriati i costumi senza tempo di Eva Praxmarer.
Fuentes gioca con la follia della Carlota oramai vicina alla morte con la speranza innocente ma non ingenua, del suo alter ego bambina, oltre che su una terza Carlota “virtuale” e vagante in un deserto tutto interiore.
Tutto funziona assai bene anche grazie alle magistrali interpretazioni delle due protagoniste, vale a dire Johanna Vargas, che – acrobata della voce che canta e recita in tre lingue – dà vita ad una Carlota adulta vibrante di mille accenti e sfumature e della strepitosa Alice Crepaz Fuentes, figlia del compositore, che a undici anni recita come una veterana nei panni di Carlota bambina offrendo una varietà di emozioni davvero incredibile, nonostante il suo lungo monologo avrebbe potuto trovare forse maggior coesione con i numeri musicali.
Brava anche Sandra Victoria Aguilar come Carlota nel deserto.
Pubblico attento e successo pieno.
Alessandro Cammarano
(12 giugno 2021)
La locandina
Direttore d’orchestra | Peter Rundel |
Regia, scene, video, luci | Arturo Fuentes |
Costumi | Eva Praxmarer |
Personaggi e Intepreti: | |
Carlota | Johanna Vargas |
Carlota da Bambina | Alice Crepaz Fuentes |
Carlota nel Deserto (Video) | Sandra Victoria Aguilar |
Orchestra Haydn di Bolzano e Trento |
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