Bolzano: Puccini re-incontra Schönberg
Il 1º aprile 1924 un Puccini sofferente, minato inesorabilmente dalla malattia – morirà poco meno di otto mesi dopo – affronta un viaggio in auto di sei ore per assistere alla prima esecuzione italiana del Pierrot Lunaire diretta dallo stesso Schönberg, che gli aveva inviato in dono la partitura.
Quella sera, a Palazzo Strozzi, l’incontro tra i due compositori si svolse, riportano le cronache, all’insegna di una cordialità emozionata che mise a confronto la stima reciproca e al contempo la distanza siderale che in termini di visione dell’estetica li separava.
Entrambi curiosi, attenti a ciò che accadeva loro intorno, innovatori assoluti, uomini che hanno oramai l’Ottocento ampiamente alle spalle e guardano al secolo appena nato ed anche più in là; se Schönberg ammira il genio dell’italiano Puccini, pur dichiarando di non comprenderne pienamente la musica non ha difficoltà a dire – e sono parole sue – «Chi ci dice che Schönberg non sia il punto di partenza per una lontana meta futura?».
Felicissima, dunque, la scelta della Fondazione Haydn di Bolzan e Trento di aprire la stagione d’opera 24-25 facendo reincontrare i due autori con un dittico in cui al Pierrot lunaire si affianca il Gianni Schicchi, ultima lavoro completato dal Lucchese, ponendo il tutto nell’ottica di una conversazione in musica prima ancora che di un confronto.
Pierrot Lunaire, composto da Arnold Schönberg nel 1912, rappresenta di fatto una delle opere più innovative del primo Novecento; commissionato dalla cantante Albertine Zehme, il lavoro si basa su 21 poesie in lingua tedesca tratte dalla raccolta omonima del poeta belga Albert Giraud, tradotte da Otto Erich Hartleben e segna un punto di svolta nella musica del Ventesimo secolo, anticipando le future sperimentazioni dell’autore con l’atonalità e la dodecafonia.
Composto per voce e un ensemble da camera inconsueto – flauto, clarinetto, violino, violoncello e pianoforte – il Pierrot impiega la tecnica vocale chiamata Sprechstimme, che si trova a metà tra il canto e la parola, producendo un effetto inquietante ed evocativo. Questa scelta stilistica permette a Schönberg di esplorare nuovi territori espressivi: la voce recitata è fluttuante e alienata, aderendo perfettamente al carattere inquieto e disorientato del protagonista, Pierrot, figura tipica della commedia dell’arte ma qui trasformata in simbolo dell’angoscia e dell’isolamento dell’individuo moderno.
Egualmente “sperimentale” è lo Schicchi, nel quale l’”accessibiltà” della melodia, che ad un esame poco attento potrebbe sembrare ancora di matrice ottocentesca, è saldamente incardinata su un impianto armonico e contrappuntistico profondamente radicato nel Novecento.
La liaison tra i due lavori è in qualche modo rintracciabile nel mondo della Commedia dell’Arte, che tuttavia si mostra in filigrana soprattutto nelle astrazioni schoenberghiane ma pure nella trina sonora e drammaturgica del quadro conclusivo del Trittico pucciniano.
Nel voler dare continuità ai due lavori Valentina Carrasco – e con lei lo scenografo e costumista Gabriele Tinti e il light designer Giuseppe Di Iorio – trasforma Pierrot in un pittore alla continua ricerca di una cifra capace di descrivere pienamente le sue intenzioni e che al contrario gli sfugge articolandosi in una molteplicità di rappresentazioni che sulla scena diventano non solo visibili attraverso una sorta di omaggio alla pittura espressionista che va da Egon Schiele al primo Picasso, ma anche è soprattutto dalla voce della Musa cui è affidato il canto declamato delle poesie di Giraud.
Il Pittore sarà poi Gianni Schicchi, in un ideale trapasso da un’avanguardia ad un’altra, trovandosi ad agire all’interno di un quadro di Piero della Francesca, con veduta di Firenze a destra e scorcio sulla campagna della “gente nuova” a sinistra, nel quale i Donati rapaci sono santi e martiri – Betto diventa una Sant’Agata en travesti e Marco si trasforma in San Pietro da Verona con tanto di falcastro a trapassargli la testa – venuti al compianto di un Buoso-Cristo deposto, mentre invece Lauretta veste un costume futurista e si muove come una marionetta di Depero.
Se la scelta atemporale e a-spaziale del Pierrot convince, lo Schicchi – opera assai scivolosa da allestire – finisce per cadere in tutti gli stereotipi della Commedia dell’Arte che qui a tratti si fa farsaccia, con la Carrasco a decidere di portare tutto ad un’esasperazione fatta di gag un po’ trite, pure con Dante che salta fuori, insieme a Beatrice, dal sarcofago-letto che le donne di casa Donati si accingono a rifare: il pubblico si diverte, ma ridere per ridere alla fine non è quasi mai interessante.
Luci ed ombre anche sul versante musicale, con su tutto la prova bifronte di Michele Gamba, capace di condurre il sestetto dei Solisti dell’Orchestra Haydn in una lettura del Pierrot Lunaire lucidamente analitica, cogliendo però al contempo la vena di malinconia sofferta che scorre lungo tutta la composizione, tra ombre cupe e lampi fugaci.
Il discorso cambia, purtroppo, quando si arriva allo Schicchi; qui il direttore milanese opta per tempi improvvidamente sostenuti uniti a soluzioni dinamiche a tratti morchiose – emblematici, in negativo, lo stornello di Rinuccio e il terzettino della vestizione di Schicchi – tutto a porre in sottordine la leggerezza che Puccini profonde a piene mani.
Peccato, perché la compagnia di canto è davvero di prim’ordine, a cominciare da Alda Caiello – Musa nel Pierrot – capace di dare forma compiuta e minuziosa alla Sprechstimme.
Nello Schicchi brilla Bruno Taddia – già Pittore nel Pierrot – capace di mettere le sue non comuni doti di cant-attore pienamente a servizio di un’interpretazione tanto brillante quanto meditata.
Bravo davvero Antonio Mandrillo, Rinuccio dallo squillo sicuro o padrone di un fraseggio sempre misurato al quale fa da contraltare la Lauretta freschissima di Sara Cortolezzis.
Sugli scudi la Zita perentoria di Enkelejda Shkoza e davvero bravi tutti gli altri, ovvero Marcello Nardis (Gherado), Francesca Maionchi (Nella), Ben Perkmann (Gherardino), Gianni Giuga (Betto di Signa), Renzo Ran (Simone), David Roy (Marco), Sarah Richmond (La Ciesca), Mattia Rossi (Spinelloccio e Amantio), Federico Evangelista (Pinellino), Lorenzo Ziller (Guccio) e l’attore Iosu Lezameta (Buoso).
Successo per tutti, con una piccola contestazione a quello che oggi si chiama “team creativo”.
Alessandro Cammarano
(9 novembre 2024)
La locandina
Direttore | Michele Gamba |
Regia | Valentina Carrasco |
Scene e costumi | Mauro Tinti |
Lighting Design | Giuseppe Di Iorio |
Pierrot Lunaire | |
Personaggi e interpreti: | |
Musa | Alda Caiello |
Artista | Bruno Taddia |
Gianni Schicchi | |
Personaggi e interpreti | |
Gianni Schicchi | Bruno Taddia |
Lauretta | Sara Cortolezzis |
Zita | Enkelejda Shkoza |
Rinuccio | Antonio Mandrillo |
Gherardo | Marcello Nardis |
Nella | Francesca Maionchi |
Gherardino | Ben Perkmann |
Betto di Signa | Gianni Giuga |
Simone | Renzo Ran |
Marco | David Roy |
La Ciesca | Sarah Richmond |
Maestro Spinelloccio | Mattia Rossi |
Messer Amantio di Nicolao | Mattia Rossi |
Pinellino | Federico Evangelista |
Guccio | Lorenzo Ziller |
Buoso Donati | Iosu Lezameta |
I Solisti dell’Orchestra Haydn | |
Orchestra Haydn di Bolzano e Trento |
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