Brescia: Currentzis e l’effetto libertà
Direttore tra i più discussi, personaggio controverso che seduce ascoltatori anche lontani dal mondo musicale classico, Teodor Currentzis ritorna in Italia alla guida della sua nuova orchestra, Utopia (con l’accento sulla O). Il progetto nasce in risposta alle critiche ricevute per la vicinanza tra l’altra celebre compagine orchestrale e corale di Currentzis, musicAeterna, Gazprom e il governo russo. Da qui il nome della nuova orchestra: uno spazio, forse utopico, in cui potersi incontrare solo per la musica e nient’altro che per la musica. La stessa orchestra si dichiara con fierezza “strutturalmente, finanziariamente e organizzativamente indipendente da qualsiasi altro collettivo e istituzione”. Chiaramente, anche questo progetto ha bisogno dei suoi sponsor e dei suoi sostegni, ma Currentzis è troppo furbo per rientrare in dinamiche politiche e tra i suoi sponsor menziona solo la Kunst und Kultur DM Privatstiftung (fondazione del recentemente scomparso Dietrich Mateschitz, cofondatore di Red Bull), oltre a mecenati europei. E dunque, visto che solo di musica si vuol parlare con il progetto Utopia, parliamo di musica e nello specifico del primo concerto dato da Currentzis e Utopia in Italia, al Teatro Grande di Brescia, il 20 novembre.
Una prima caratteristica salta all’occhio: la vasta orchestra suona con un’intenzione, una partecipazione e un’attenzione stupefacenti. Questo non si nota tanto nei grandi fortissimo, più facili da raggiungere visti i numeri e il livello dei musicisti, quanto nelle notevoli sfumature di pianissimo a piena orchestra, animate da un’idea musicale condivisa che non è solo di facciata. Questa è forse la più notevole tra le indiscusse doti di Currentzis: sa dialogare, convincere e affascinare chi dirige, per condurli a realizzare esattamente ciò che vuole. È grazie al carisma di Currentzis che i musicisti, riunitisi solo pochi giorni prima dell’inizio del tour, riescono a suonare come un’orchestra unita senza però traccia di quegli automatismi d’ufficio spesso congeniti alle compagini stabili. Ovviamente, essendo la formazione dell’orchestra cangiante di progetto in progetto, mancano anche gli aspetti positivi dell’orchestra stabile, in particolare la creazione di un’identità sonora definita e indipendente rispetto al proprio direttore. Utopia si presenta invece come una sontuosa carta bianca dalla grammatura spessa, su cui il direttore greco può costruire le sue esecuzioni ad effetto con libertà e sicurezza.
Effetto, libertà e sicurezza sono termini che possono essere facilmente adottati per descrivere il concerto del 20 novembre. Currentzis tira a lucido la sua compagine, la spinge verso contrasti estremi, lascia i musicisti a briglia sciolta nei passaggi più scatenati e ne plasma i fraseggi e i colori con sicura identità tra gesto e risultato sonoro. Di questo gioco d’estremi, a beneficiare è stato soprattutto il Concerto per violino di Brahms, più che la Quinta Sinfonia di Čajkovskij. Al primo impatto si potrebbe dire l’esatto contrario: lo slancio appassionato, l’abbandono ammiccante, l’energia furibonda, la cantabilità patetica sembrerebbero adattarsi assai meglio a Čajkovskij che a Brahms. Ma in Čajkovskij, i rami sono già talmente carichi di frutti che l’approccio plateale ed estroverso di Currentzis e Utopia rischia facilmente di calcare eccessivamente la mano. Tutto è sul piatto, tutto è esplicito e non rimane spazio per il non detto, per l’allusione, per l’intimità inesprimibile. Il risultato è, sia ben chiaro, una Quinta lussuosa e lussureggiante, dalle sonorità rigonfie nei gravi (notevole il suono dei violoncelli) e con brillante spolvero negli acuti, ma in cui non si sviluppa un discorso musicale orientato narrativamente e tutto sembra risolversi nel costante presente dell’effetto che Currentzis e Utopia scolpiscono. Valga un esempio per tutti: la temperatura espressiva della maestosa marcia del Finale era pressoché identica in apertura e chiusura, come se la furibonda tempesta dell’Allegro vivace centrale non avesse smosso che in superficie le acque e lo scorrere degli eventi si risolve più in teatralità che in drammaturgia.
Il medesimo approccio, con i dovuti distinguo, ha percorso anche il Concerto op. 77 per violino e orchestra di Brahms, ma la ricerca qui ha portato a un risultato completamente diverso. I marcatissimi contrasti, la sospensione temporale, le sonorità opulente e dirompenti hanno disegnato un Brahms tardo-romantico lontano da ogni accusa di accademismo passatista. In questa rilettura di sensazionale fascino, Brahms veniva riconsegnato al pubblico come pieno protagonista di un secondo Ottocento decadente e in odore di simbolismo, in cui sonorità diafane venivano giustapposte a slanci lirici più vicini al Tristano di quanto Brahms avrebbe forse voluto ammettere. Complice è anche il solista, Barnabás Kelemen. Di fronte al violinista ungherese mi è sembrato a tratti di ritrovarmi di fronte alle incisioni dei solisti di una volta: con sprezzo del pericolo, Kelemen si getta sui passaggi più impervi senza accettare compromessi, senza badare a qualche occasionale nota sporca, ma puntando tutto su un’idea musicale platealmente esposta.
Il Concerto di Brahms è, per Kelemen e Currentzis, un flusso libero da vincoli e schematismi, con fluttuazioni agogiche e sonore degne di un ensemble cameristico, possibili grazie al dialogo strettissimo tra orchestra, direttore e solista, che per la Sinfonia in seconda parte è tornato a sedersi come primo violino. Si poteva non concordare con le scelte di Kelemen e di Currentzis, ma non si poteva negarne la coerenza, né il coraggio. Ciò che questo concerto, e in generale i concerti di Currentzis, possono ancora insegnarci oggi, è proprio questo: sempre meglio correre il rischio di scontentare qualcuno, che adagiarsi in una quieta e irrilevante indifferenza.
Alessandro Tommasi
(20 novembre 2023)
La locandina
Direttore | Teodor Currentsis |
Violino | Barnabás Kelemen |
Orchestra Utopia | |
Programma: | |
Johannes Brahms | |
Concerto per violino | |
Pëtr Il’ič Čajkovskij | |
Sinfonia n. 5 |
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