Budapest: nel Ring 2.0 Loge si fa in tre
Dopo un anno sabbatico torna sulla scena non convenzionale del Müpa il Ring che, pur mantenendo l’impianto originario pensato da Christian Martin Fuchs e Christian Baier, risalente a dodici anni fa, subisce un profondo ripensamento.
Artefice dell’operazione è il regista Hartmut Schörghofer che, assistito da Etelka Polgár, opta per una visione più immediatamente naturalistica del Prologo e delle Tre Giornate, il tutto a partire dai nuovi video, proiettati sul preesistente sfondo traslucido e realizzati in una sontuosa alta definizione dal Szupermodern Filmstúdió Budapest, nei quali permane comunque un’eco delle edizioni passate.
Schörghofer mette in scena la Natura nei suoi Quattro Elementi che cambia nel susseguirsi delle stagioni a rappresentare il mutamento sostanziale fra mondo degli dei e mondo degli uomini, ma anche l’evoluzione di ogni singolo personaggio.
Non manca neppure l’ironia, che in alcuni momenti desacralizza il racconto riportandolo ad una dimensione favolistica che comunque, a voler ben guardare, gli appartiene
La distruzione finale si avverte attraverso paesaggi di desolazione urbana, di rovine di città, di gallerie anguste da cui uscire è impossibile, e tuttavia il messaggio è più di speranza che non di annientamento.
Tutti sembrano voler mostrare il loro lato migliore, a cominciare da Wotan che è padre presente e partecipe prima ancora che dio; Fricka è inflessibile, così come le si conviene, ma a tratti sembra mettersi in discussione, così come la coppia wälside si abbandona alla passione che porterà il mondo antico alle conseguenze estreme con slancio e passione temperato dalla consapevolezza di un futuro inevitabile. Anche Hunding riversa l’affetto che nessuno ha per lui sui suoi cani, così come Alberich e Fafner sembrano atterriti dalla loro stessa brama di materialità.
Eroi fragili dunque, tutti, e per questo vicini a noi nel loro dramma che diviene di fatto tutto familiare.
Il “doppio” danzante di Loge, che Schörghofer identifica come colui che tutto muove e tutto decide, si fa in tre, divenendo contemporaneamente bambino, giovane e uomo maturo, a sottolineare il continuo rinnovamento attraverso un fuoco che distrugge e rigenera.
Altro elemento di novità è dato dalla maggior presenza in scena dei mimi-danzatori, che le coreografie incalzanti di Gábor Vida ripensano in funzione di rinforzo dei diversi protagonisti; non più dunque solo cani di Hunding o destrieri delle Valchirie – caratterizzati ancora una volta dalle maschere di Corinna Crome, che firma anche i nuovi costumi, bellissimi nella loro essenzialità evocatrice – ma parte integrante dell’azione scenica che dunque si arricchisce rendendosi immediatamente comprensibile.
Il gesto scenico che Schörghofer richiede ai cantanti è tanto essenziale quanto denso, mirando direttamente alla sostanza più intima, così come il gioco degli sguardi risulta essenziale.
Emblematico l’addio di Wotan a Brünnhilde, con la Valchiria tornata bambina – ma con la consapevolezza che al suo risvegliò sarà donna e moglie del suo salvatore – che si rannicchia tra le braccia di colui che in quel momento è solo un padre lacerato dal dolore e consapevole della sua imminente sconfitta.
Adam Fischer, alla testa della Magyar Rádió Szimfonikus Zenekara in stato di grazia, affina ulteriormente la sua visione del Ring, scavando fino all’essenza stessa della nota per trovarne il senso primo e più riposto. Il suono si rarefà in atmosfere sospese per esplodere in climax travolgenti, il tutto in una varietà dinamica inesauribile, di impercettibili rubati, di ritmi vividi, il tutto a tenere costantemente viva la tensione drammatica.
Non c’è retorica, non si trova autocompiacimento nella direzione di Fischer, solo e semplicemente l’urgenza di narrare il particolare che costituisce il fondamento dell’universale. Di bellezza assoluta i quattro finali d’atto che si nutrono di una corda elegiaca che è insieme rimpianto e speranza.
La nutritissima compagnia di canto è, come sempre, composta da una miscela equilibrata di star internazionali, solide voci ungheresi e giovani promesse, risultando perfettamente equilibrata.
Al Wotan baldanzosamente giovanile e paterno di Johan Reuter, che esibisce una linea di canto di grande nobiltà, subentra nella Seconda Giornata il Wanderer di Tomasz Konieczny, imponente vocalmente ma che canta in un tedesco tutto suo.
Perfette le due Brünnhilde, ovvero Catherine Foster – impegnata nella Walküre e poi nella Gotterdammerung – e Allison Oakes nel Siegfried.
La Foster scava profondamente nella natura del suo personaggio in un percorso interpretativo che lo porta da adolescente ribelle a donna pienamente consapevole, il tutto con un canto sempre meditato.
Allison Oakes affronta con sicurezza impressionante la tessitura impervia che Wagner le riserva, arricchendola con un fraseggio rigoglioso.
Il Siegfried di Stefan Vinke è generoso ma non sempre preciso nell’intonazione, soprattutto nel primo atto di Siegfried, dove la tendenza al declamato si fa a tratti fin troppo evidente. Tutto si assesta nel secondo e terzo atto fino a sublimarsi nella prova superba che offre nel Crepuscolo.
Camilla Nylund è Sieglinde pressoché perfetta, sensuale e palpitante di mille emozioni contrapposte ed emozionante negli accenti, sorella-amante di un altrettanto convincente Stuart Skelton – Heldentenor capace di plasmare la voce in pianissimi rapinosi – che dà vita ad un Siegmund disperatamente appassionato.
Péter Kálmán è ancora una volta Alberich luciferino e disperato, magnifico per attenzione alla parola e al gesto scenico, nonché degno contraltare del Mime che, senza tema di esagerazione, non esitiamo a definire strepitoso, di Gerhard Siegel.
Loge è Christian Frantz che canta abbastanza bene e recita benissimo.
Ottima la Fricka altera che Atala Schöck, tratteggia con classe e incisività, così come assai ben risolta appare Erda, a cui Erika Gál – che canta anche Grimgerde e la Prima Norna – presta una corda contraltile di grande fascino.
Albert Pesendorfer è Hunding statuario prima per vestire poi i panni di Hunding, che indossa con sadica malizia dando vita ad un personaggio cesellato con grande intelligenza.
Il Gunther di Lauri Vasar rivela la sua natura di passivo-aggressivo in fraseggio sapientemente spezzato, mentre Paulina Pasztircsak è Gutrune disperatamente innamorata, oltre che Terza Norna ben risolta.
Il veterano Walter Fink disegna un Fafner maligno e sonnacchioso, così come Per Bach Nissen è Fasolt avido e gregario.
Nel complesso convince Anna Larsson, al netto di una voce non freschissima, nel dare vita a una tormentata Waltraute
Bene le tre Rheintocher: Eszter Wierdi (Woglinde, nonché Gerhilde), Gabriella Fodor ( Wellgunde e anche Waltraute nella Valchiria) e Zsofia Kálnáy (Flosshilde e poi Rosweisse).
Le altre efficientissime Valchirie sono Gértrud Wittinger (Helmvige), Beatrix Fodor (Ortlinde), Anna Kissjudit (Schwertleite) e Éva Váhrelyi (Siegrune).
Meravigliosi per potenza e presenza di suono il Coro della Radio Ungherese e il Coro Maschile Honvéd, diretti da Zoltán Pad e Kálmán Strausz.
Menzione d’onore per i danzatori, impegnati quasi costantemente in scena: Dóra Asztalos, Zoltán Csere, Gusztáv Eller, Regő Farkas, Ádám Frigy, Nikoletta Gönczöl, Anna Gulyás, Brigitta Hortobágyi, István Horváth, Zoltán Katonka, Krisztián Kelemen, Milán Újvári, Gábor Vida, Vencel Vida.
Successo pieno ad ognuna delle quattro serate, confermando i Budapest Wagner Days tra i punti di riferimento per le produzioni wagneriane.
Alessandro Cammarano
(13-14-15-16 giugno 2019)
La locandina
Direttore | Adam Fischer |
Scene e regia | Hartmut Schörghofer |
Drammaturgia | Christian Martin Fuchs †, Dr. Christian Baier |
Costumi | Corinna Crome |
Luci | Máté Vajda |
Video | Szupermodern Filmstúdió Budapest |
Hungarian Radio Symphony Orchestra |
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