Una Traviata a partenza ritardata al Festival Verdi di Busseto

L’opera è iniziata un po’ in sordina, con molta cautela sia da parte dei cantanti che da parte del direttore. A partire dal secondo atto una maggiore convinzione in direttore ed interpreti ha portato maggiore apprezzamento fra il pubblico. Da segnalare la direzione interamente a memoria del M° Rolli, come una certa tendenza a velocizzare alcuni tempi, forse seguendo strettamente le indicazioni di metronomo sulla partitura per una maggiore aderenza al testo. Interessanti le idee musicali ma il gesto non risulta sempre chiaro ad orchestra ed ai cantanti. L’esecuzione della versione di Dalla Seta, con tutti i da capo nelle arie e nelle cabalette, solitamente tagliati, non sembra pesare troppo agli interpreti. All’ascolto le parti eseguite in interno davano una sgradevole sensazione di essere registrate. La regia proponeva una lettura, moderna ed interessante ma non sempre pertinente al servizio musicale: spesso si cantava a sfavore di pubblico e in qualche punto saliente, invece di concentrarsi sul canto, il personaggio si stava impegnando a fare tutt’altro. Il numeroso pubblico a tratti risultava rumoroso ed indisciplinato (il solito telefono che squilla nonostante l’avviso ad inizio spettacolo, parlottio, nei momenti di silenzio qualcuno commentava tranquillamente) ma caloroso negli applausi.

Sulle note del Preludio, non sempre precisissimo nell’intonazione strumentale, il barone Douphol consegna a Violetta, nella sua casa d’aste Valery’s, un quadro che rappresenta l’amore di Violetta, amore che fra loro è ormai giunto al capolinea. Comincia a girare anche un flacone di pillole, da cui Violetta è visibilmente dipendente (potremmo leggere un parallelo fra la tisi, malattia tipica dell’Ottocento, e l’ansia, il “male di vivere”, malattia tipica della nostra quotidianità). Lo stacco iniziale del tempo sembrerebbe un po’ lento, mentre si conclude l’asta dove Alfredo compra il quadro di cui sopra. Le prime frasi di Violetta hanno una dizione rivedibile mentre Alfredo rimane un po’ sulle sue, non aiutati da una direzione fin troppo omogenea che alle volte manca di respiro (cosa che succede spesso e spesso i cantanti faticano a tenere il passo), probabile scelta interpretativa del direttore, che volentieri elimina qualche rallentando di tradizione. I protagonisti si riprendono nel proseguo e il Brindisi passa senza infamia e lode. Si avverte, in generale, soprattutto nel coro, mancanza di mordente, soprattutto nelle frasi con ritmo puntato e nelle acciaccature. La dichiarazione di Alfredo (Un dì felice eterea) appare forse troppo veloce, non riesce ad esprimere l’affetto del momento. Nell’aria della protagonista inizialmente rimangono anche altri personaggi a compiere una serie di azioni sceniche, ma che non risultano convincenti. L’aria oltretutto dava l’impressione di essere un po’ corsa, soprattutto nel da capo, cosa che ha inciso sulla conduzione del canto. Anche la parte centrale affidata al tenore risulta accelerata rispetto alla media delle esecuzioni e ad un certo punto compare sulla scena, altra scelta registica non convincente.

Il secondo atto si apre nell’appartamento dei due amanti, fra divani, scatoloni e televisione. Alfredo canta con sicurezza e personalità sia l’aria (De miei bollenti spiriti) che la cabaletta, nel cui finale maneggia del materiale di scena e l’esecuzione musicale ne soffre. Germont padre fa la sua apparizione con convinzione scenica e con voce presente. In Pura siccome un angelo dispiega belle idee nella linea del canto, con un fraseggio adeguato alla situazione del personaggio. In Dite alla giovine Violetta esibisce un bellissimo pianissimo filato, ma spesso questa intenzione non viene seguita e l’equilibrio sonoro risulta trascurato. Il finale di duetto fra Violetta e Germont viene reso in maniera assolutamente commovente. L’aria di Germont (Di Provenza il mar il suol) è cantata con gusto e partecipazione, pur con qualche incomprensione con il direttore, così come la cabaletta, dove solamente qualche passaggio appare ruvido. Si apre la festa a casa di Flora con un piglio e un vigore che mancavano all’apertura del primo atto. Le donne vestono ugualmente, gli uomini pure e l’atmosfera generale  porta a pensare ad uno speed dating con tanto di numeri appuntati sul vestito e giro di presentazioni. Il coro delle zingarelle è privo di mordente, con un’articolazione un po’ pesante e trascinata. Più convincente l’esecuzione successiva del coro dei matodori, dove gli uomini indossano una maschera che ricorda un po’ Spiderman e un po’ un personaggio del Wrestling americano. Interessante la coreografia danzata proposta. Si procede con sicurezza ed intenzione musicale ottimale; si segnala una particolare quanto interessante articolazione nella parte corale (Oh, infamia orribile) operata dal direttore. Nel finale qualche acuto del tenore non è sempre ben girato e si avverte una tendenza a procedere senza indugio alcuno. Bellissimi i pianissimi proposti da Violetta che si innestano ottimamente su una gestione ottimale degli interventi dei vari protagonisti da parte del direttore, sia nel tempo (eliminando tanti ritardandi di tradizione, a volte superflui) che nell’intenzione musicale.

Il M° Rolli propone un’articolazione particolare ma interessante (l’ultima acciaccatura diventa una lunga corona con separazione dalla nota finale) nel preludio del terzo atto; purtroppo non sempre l’orchestra è precisa nell’intonazione. Violetta, nell’aria Addio del passato, offre un fraseggio convincente e commovente tanto nei piani filati quanto negli sforzati, che creano un’efficace impressione di mancanza di fiato dovuta alla malattia; notevole soprattutto il filato nell’acuto finale (in partitura è segnato un fil di voce ma di norma pochissime Violette si degnano di seguire l’indicazione di Verdi). Il Baccanale sembrerebbe un po’ lento mentre alla televisione è possibile vedere Macron fresco vincitore delle Elezioni. Il finale di atto è ben cantato, la musicalità è convincente, i tempi sono adeguati e le scelte registiche funzionano. Ultima nota: si cantano tutte le parti finali, di norma tagliate.

Uno spettacolo partito in sordina, quasi con circospezione, ma che decolla soprattutto nel finale del secondo atto e nel terzo atto (grazie principalmente agli interpreti), regia interessante ma forse non sempre pertinente e con qualche forzatura evidente (comunque si parla pur sempre di tisi nel libretto, non di ansia), direzione con scelte musicali interessanti ma spesso priva di respiro e talvolta affrettata. Julia Muzichenko (Violetta Valery) regge bene la scena e ha un’ottima vocalità, soprattutto in pianissimi e in filati di notevole interesse, Fabian Lara (Alfredo Germont) ha le capacità vocali per affrontare il ruolo ma risulta talvolta timoroso ed è scenicamente meno convincente, non riesce a comunicare interamente l’idea del bamboccione manipolato dal padre richiesta dalla regia. Gocha Abuladze (Giorgio Germont) appare sicuro, scenicamente e vocalmente ben calato nel ruolo del padre, la sua apparizione non passa inosservata. Tutti gli altri interpreti hanno dato il loro contributo alla riuscita della recita, sempre corretti e precisi nel seguire le indicazioni musicali e registiche. Il pubblico ha apprezzato la recita, tributando a tutti calorosi e numerosi applausi.

Antonio Vicentini

(7 ottobre 2017)

La locandina

Regia Andrea Bernard
Scene Andrea Bernard e Alberto Beltrame
Costumi Elena Beccaro
Luci Adrian Fago
Personaggi e Interpreti
Violetta Valéry Julia Muzichenko
Alfredo Fabian Lara
Flora Bervoix Marta Leung
Annina Luisa Tambaro
Germont Gocha Abuladze
Gastone Antonio Garès
Barone Douphol Carlo Checchi
Marchese d’Obigny Claudio Levantino
Dottor Grenvil Enrico Marchesini
Giuseppe Ugo Rosati
Un domestico di Flora Sandro Pucci
Un commissionario Raffaele Costantini
Maestro concertatore e direttore Sebastiano Rolli
Movimenti coreografici Marta Negrini
Maestro del coro Andrea Faidutti
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO COMUNALE DI BOLOGNA

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