Carlo Alberto Cappelli, un ricordo

Rocca San Casciano in romagnolo La Ròca o Roca San Casiân, in provincia di Forlì-Cesena in Emilia-Romagna conta milleottocentodieci abitanti circa. Nel 1923 Mussolini ridefinì i confini fra Toscana e Romagna e Rocca San Casciano, fino ad allora appartenuto alla provincia di Firenze, in Toscana e capoluogo della Romagna toscana passò in Emilia-Romagna.

Il primo documento che cita Rocca risale al 1197 e la denomina “Rocca Sancti Cassiani in Casatico”, il che fa ritenere che all’epoca esistesse un castello. Nel 1230 il vescovo di Forlimpopoli raccomanda alcuni castelli di sua giurisdizione, tra i quali anche la rocca di San Casciano, al comune di Faenza. Nel 1315 il castello di Rocca San Casciano è soggetto ad Alighiero de’ Calboli, il cui discendente Francesco lo lascia nel 1382 in eredità a Firenze. Nel 1412 si dota di propri statuti e nel 1424 è conquistata dai Visconti che la affidano nel 1435 agli Ordelaffi. Riconquistata dai fiorentini nel 1436, nei secoli successivi Rocca San Casciano continuò a far parte dei domini di Firenze. Fu aggregata assieme a tutto il suo Circondario alla provincia di Forlì nel 1923.

Chiamato “Castellaccio”, il castello di Rocca San Casciano sorge in posizione dominante rispetto all’abitato. Dopo i crolli avvenuti per il terremoto del 22 marzo 1661, gli attuali ruderi sono quanta resta dell’antica rocca munita di mura.

Il centro del paese, di forma triangolare, è Piazza Garibaldi, circondata da bassi e caratteristici portici, e dominata dalla Torre Civica o dell’Orologio, risalente alla fine del 1600. Nella nicchia ricavata sul fronte della Torre civica è custodita una statua settecentesca in terracotta della Vergine Addolorata.

Rocca San Casciano è nota anche per la Festa del Falò, che data la sua originalità, suggestività e grandezza è ormai molto rinomata anche fuori della provincia. Le sue origini sono un po’ oscure: c’è chi la fa risalire addirittura a riti pagani, in modo particolare celtici. Si dice che a Rocca San Casciano, fin dal dodicesimo secolo, venissero accesi falò lungo le rive del fiume Montone allo scopo di placare le acque dalle rovinose inondazioni. Da questa celebrazione pagana è stata innestata, a partire dal 1700, la ricorrenza religiosa di San Giuseppe che cade il 19 marzo, e per molti anni questa è stata la sola data in cui si è svolta la festa. Tradizione voleva che nei cortili di ogni contrada fosse acceso un falò attorno cui si mangiava, si beveva e si danzava. In epoca più recente i falò sono tornati sulla riva del fiume, nella loro posizione originale, e da qui, nell’ultimo secolo, è incominciata una sfida fra le quattro fazioni che rappresentavano i principali rioni cittadini: di questi quattro originari oggi ne restano solo due, il Borgo di Sopra e il Mercato.

Nel 1991 l’Amministrazione comunale di Rocca San Casciano ha promosso la pubblicazione del volumetto “La festa dei falò di Rocca San Casciano- Storia e tradizioni di una comunità tosco- romagnola” (Forlì, pagg. 127) a cura della studiosa Simonetta Tassinari, originaria della località e congiunta del soprano Pia Tassinari, la prima moglie di Ferruccio Tagliavini.

In base alle ricerche della Tassinari la ricorrenza di San Giuseppe fu associata probabilmente all’accensione dei falò, nel corso del Settecento, e originata dalla presenza dei Frati minori conventuali in paese.

Giuseppe Mengozzi (1841-1920), emulo di Virgilio, e poeta, è il letterato più noto originario di Rocca, e scrisse un’intera opera in versi latini, Thuscae Romandiolae Ceres. Carmen Georgicum, ambientandola nella sua zona di origine. Il poema fu pubblicato a Rocca San Casciano nel 1888 da Federico Cappelli, padre di Licinio Cappelli con la traduzione italiana a fronte, in belle ottave, con il titolo La Cerere della Romagna toscana. Licinio è a sua volta il padre del ben più noto Carlo Alberto Cappelli, editore e uomo di teatro, nato nel 1907 proprio a Rocca, dove la Casa Editrice di famiglia, trasferitasi poi a Bologna, continua a mantenere la tipografia. Per tutta la vita Cappelli, cui è dedicato il volumetto “Vissi d’arte…” Un percorso fra editoria e teatro 1907-1982 (pagg. 134, euro 16) a cura di Adolfo Dodo Frattagli da una probabile intervista con Michele Gandin, farà l’editore, dedicandosi parallelamente al teatro, la sua vera, autentica passione. Ai libri si dedicò per seguire le orme di famiglia, ereditando dal padre la Casa Editrice. Al palcoscenico, invece, lo avvicino un amore che coltivava fin da ragazzino. Gia’ nel 1931 Carlo Alberto è nominato Presidente della Filodrammatica di Bologna. E a Bologna nel 1938 inaugura il “Luglio musicale” in Piazza del Baraccano, un teatro all’aperto da settemila posti, mentre negli anni Quaranta è Sovrintendente del Teatro Comunale. Durante gli anni di Sovrintendenza, contribuisce, con grande abilità, a consolidare la dimensione artistico-professionale della compagine orchestrale. Scopre giovani talenti: un nome fra tutti, Giuseppe Di Stefano.

Nel 1950 studiò ed elaborò la Prima Sagra Malatestiana a Rimini, e ne fu il prezioso consulente e l’impareggiabile organizzatore. Negli stessi anni Cinquanta inizia a dedicarsi al teatro di prosa: realizza un festival che Bologna ospiterà dal 1951 al 1965; contribuisce alla nascita del Festival shakespeariano a Verona nel 1954; nel 1955 con Romolo Valli, Giorgio De Lullo, Anna Maria Guarnieri e Rossella Falk, crea la Compagnia dei Giovani.

Ne sarà l’impresario per vent’anni, accompagnando in veri e propri trionfi i più bei nomi del teatro di prosa italiano, dal bolognese Gino Cervi a Paolo Stoppa, dal mattatore Vittorio Gassman a Raf Vallone, da Giorgio Albertazzi all’inseparabile Anna Proclemer, da Luchino Visconti a Gian Maria Volontè in coppia, all’epoca, con la giovanissima Carla Gravina.

Nel 1962 fece debuttare a Parma l’esordiente Claudio Abbado che al Teatro Verdi di Trieste ebbe la sua prima scrittura operistica, con Maria d’Alessandria di Giorgio Federico Ghedini.

Al 1971 risale la sua prima Sovrintendenza dell’Arena di Verona dove, parallelamente, organizza l’attività invernale al Teatro Filarmonico.

Con Cappelli l’Arena vive il suo periodo d’oro, impegnandosi in tournée all’estero e ospitando tutti i grandi del teatro internazionale tra cui Gianandrea Gavazzeni, Oliviero De Fabritiis e Riccardo Muti fra i direttori, Franco Corelli, Carlo Bergonzi, Luciano Pavarotti, Placido Domingo, Richard Tucker e Jose’ Carreras fra i tenori, Piero Cappuccilli e Leo Nucci fra i baritoni, Ruggero Raimondi e Bonaldo Giaiotti fra i bassi, oltre a celebri soprani come Magda Olivero, Antonietta Stella, Gabriella Tucci, Leyla Gencer, Renata Scotto, e poi Raina Kabaivanska, Ghena Dimitrova, Maria Chiara, Katia Ricciarelli, una sola volta Mirella Freni, o fra i mezzosoprani Fiorenza Cossotto, Adriana Lazzarini, Marilyn Horne e Grace Bumbry.

E ancora Carla Fracci, Rudolf Nureyev, Vladimir Vasiliev, Maurice Béjart… Il fior fiore della musica e dell’arte che Cecilia Gasdia si sforza, da Sovrintendente in pectore ed ex artista dell’Arena di riportare a Verona.

A Verona per dieci anni ha scelto e avuto come collaboratore Vittorio Rossi come consulente tecnico artistico alle produzioni areniane e creatore di spettacoli indimenticabili.

Carlo Alberto Cappelli è stato, con Remigio Paone, il più importante organizzatore privato di spettacoli di prosa che l’Italia abbia mai avuto. Per la sua figura di spicco nel mondo culturale e teatrale e per l’impegno profuso nel promuovere la cultura nella sua città, Bologna nel 1982 i conferì il “Nettuno d’Oro”.

Carlo Alberto, “Lallo” per gli amici, muore il 3 agosto 1982: rimane nella memoria di quanti l’hanno conosciuto come un gentiluomo che considerava il teatro, il regno dell’avventura e dell’imponderabile, credendo nell’amicizia come carta vincente per un impresario.

L’Associazione Carlo Alberto Cappelli di cui sono Presidente Adolfo Frattagli e Presidente Onorario Vittorio Rossi, nata nel 1982 a Rocca San Casciano, ha istituito nel 1987 l’omonimo riconoscimento internazionale, conferito annualmente a grandi artisti del mondo teatrale e musicale, prima nella cittadina romagnola, poi a Roma in Campidoglio e al Teatro dell’Opera, a Parigi in Municipio, al Teatro Comunale di Bologna, al Metropolitan di New York e al Barbican Theatre di Londra.

Qualche anno fa Dodo Frattagli si rivolse a me, colpito dall’omonimia con quel Rino Alessi da Cervia, mio nonno, di cui la casa editrice di cui era all’epoca pubblicò diversi romanzi, La speranza oltre il fiume è il più noto. Ogni anno finché la cerimonia del Premio ebbe luogo Dodo generosamente m’invitò, ma per una ragione o per l’altra, mi è stato sempre impossibile arrivare in Romagna nella stagione più calda. Dal 1918, purtroppo, il Premio non ha più animato l’estate romagnola ed è improbabile che possa farlo in questo 2020 di Coronavirus. Dodo continua in ogni caso a tenermi aggiornato sui suoi spostamenti per spettacoli che, quest’anno, per cause di pandemia, dovranno per forza di cose essere molto ridimensionati.  Il libro intervista, comprensivo della lunga conversazione tra Carlo Alberto Cappelli e il critico cinematografico Michele Gandin, è ricco di spunti, aneddoti e dettagli, non solo personali, ma anche sul mondo politico e dello spettacolo in un periodo d’oro. Ci restituisce, vissuta dall’interno e da protagonista, un’epoca irripetibile.

Rino Alessi

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