Carmela Remigio: Liù combattiva

A pochi giorni dalla prima del 10 maggio di Turandot al Teatro la Fenice di Venezia, abbiamo incontrato il soprano Carmela Remigio che vestirà i panni di Liù. Ne è nata un’intervista che qui vi proponiamo.

  • Il tuo repertorio spazia dal Barocco al Novecento, passando per Mozart e il Belcanto, senza trascurare i Francesi. Esiste un approccio differente per ciascuna epoca?

Chiaramente esiste un approccio diverso ad ogni stile, altrimenti non si potrebbe parlare di stile. Ogni periodo storico nell’arte nella letteratura, ha creato uno stile e allo tesso tempo nella musica abbiamo vari stili. Mi si può chiedere: come fare ad identificare qual è lo stile? Si studia lo stile e quindi sulla voce si prova attraverso la lettura della musica di quelli che sono i colori, le sfumature della musica che stiamo eseguendo e si crea un’interpretazione stilisticamente corretta della stessa. È semplicemente già tutto nella scrittura musicale. Il Novecento ha dei codici;  il Novecento oltre Puccini,  ad esempio La donna serpente di Casella, che ho eseguito a Torino con enorme piacere, in quanto riscoperta, è un novecento diverso rispetto ad uno Stravinsky o ad uno stesso Puccini in Turandot che sto cantando ora. Conosciamo la scrittura di Puccini, conosciamo lo stile pucciniano e quindi dobbiamo eseguirlo con le sue regole. All’interno di Casella c’e dal madrigale alle citazioni delle tre maschere pucciniane, mentre per me il mio ruolo era anche appoggiato a una suggestione barocca. Per quanto riguarda Mozart lo stesso discorso. Niente portamenti, scolpire la parola nel recitativo in un certo modo. Cercare il legato tra le note senza portarle mai dal basso. Ecco queste sarebbero alla base stilisticamente le cose corrette, poi è tutto scritto sullo spartito. Leggendo la musica si trova la verità per l’esecuzione.

  • Perché, secondo te, una fascia ancora consistente di pubblico italiano è ancora tanto diffidente, quando non apertamente contrario, a tutto quanto non è “tradizionale”?

Perché una grande fetta di pubblico è ancora diffidente. Un pubblico non è aperto a tutto quello che non è tradizionale. Semplicemente forse perché il nostro retaggio culturale ci impedisce di non guardare alla tradizione, perché noi siamo un popolo fatto di grandi tradizioni di grande storia e allora per noi qualsiasi cosa rappresenta comunque la storia, e così come la storia dell’interpretazione. È un problema oltrepassarla e ragionare con dei canoni un pochettino più,           diciamo, legati ad una visione reale, musicologia e pulita della verità degli spartiti, delle partiture. Questo succede soprattutto in tutto il repertorio 800-900 perché prima, nel repertorio Mozartiano  e in quello del Sei e Settecento si è fatto un grande lavoro stilistico di pulizia e quindi tutto è così com’è scritto ed invece per tutta quella fetta di pubblico affezionata all’Ottocento e al primo Novecento è importante mantenere le tradizioni. È abbastanza misterioso per me; oltre a questa risposta non saprei cosa dire perché ho riflettuto anch’io tanto e per me è normale a volte non fare la tradizione ma quello che è scritto per il grande rispetto che porto ai compositori e si personaggi che mi trovo ad affrontare . Però evidentemente non tutti la pensano come ve, soprattutto chi non ha una visione più prettamente accademica e da musicista ecco, affronta l’ascolto in un altro modo, perché qui stiamo parlando  comunque di una fetta di pubblico e di ascoltatori, non di musicisti e di esecutori che si prestano comunque sempre più di eseguire con verità quello che si porta in scena.

  • Tra pochi giorni sarai tra i protagonisti del nuovo allestimento della Turandot alla Fenice di Venezia. Come sarà la tua Liù?

Chi è la mia Liù? O meglio in questa produzione chi è la mia Liù, suggerita da Cecilia Ligorio con la quale stiamo lavorando benissimo; trovo che sia molto profonda nell’aver impostato teatralmente, psicologicamente questa Turandot. Per tornare a Liù, chi è Liù? È una piccola tigrottina che accompagnando il vecchio Timur, un maestro, il maestro forse, va alla ricerca dell’amato Calaf principe, perché lei un giorno l’ah visto ed egli le ha sorriso. Liù conserverà questo segreto, questa forte sensazione di amore inconfessabile che ha per lui. Le sue parole dicono tutto,  il personaggio è tra i più chiari, meravigliosamente scritto eapprofondito da Puccini. È un personaggio che ha dentro un’intimità, una commozione, una grandezza ma nello stesso tempo una grande forza femminile, quella di rinunciare addirittura alla vita per amore. La Liù di Ligorio-Remigio è una Liù sempre allerta che si guarda attorno che si guarda le spalle perché è in un posto che non conosce, che bisogno di controllare e quindi è sempre all’erta perché lei è gli occhi di Timur, lei è i passi lei è una sola cosa con Timur. Si è prostrata a fargli da serva proprio e solo per amore forse. Non mi sento di aggiungere altro se non che tutto quello che Liù è è scritto nella musica in modo forte, presente, chiaro, senza possibilità di fraintendimenti.

  • Qual è il tuo rapporto con il repertorio cameristico?

Come sai la mia formazione arriva da uno strumento meraviglioso come il violino, uno strumento che è la voce umana. Con il violinoho fatto molta musica da camera negli anni dei miei studi in conservatorio. La musica da camera per voce dà delle grandi possibilità espressive e interpretative, ma ha bisogno di un grande lavoro di ricerca. Io ho studiato per diversi anni prima di incidere il disco su Tosti, che molti bistrattano come un autore minore. Io invece trovo nella sua musica uno stile riconoscibilissimo e questo è già segno di un compositore degno di tal nome, e la possibilità di descrivere quell’epoca attraverso la musica e la musica con la parola. Indirme a Tosti parliamo di tutta la musica da camera, perché no dei nostri autori belcantistici, da Donizetti, che ha scritto intere cantate meravigliose  che ho interpretato più volte anche in una edizione particolare con l’orchestrazione nuovaanni fa proprio al festival di Bergamo. Purtroppo non ho una grande proprietà del tedesco, ma avrei amato tantissimo affrontare la liederistica; mi scoraggia molto l’incontro con la parola che non conosco nelle sue sfumature, e quindi c’è sempre stata un’inibizione sul repertorio tedesco pur amandolo fortemente. Mentre del repertorio francese ho cantato diverse cose e le adoro perché tutte le sfumature nella musica da camera diventano ancora più raffinate.

  • Ultima domanda. Sempre più spesso capita di ascoltare voci promettenti, ma ancora immature e bisognose di studio, affrontare personaggi del tutto al di sopra delle loro possibilità. Da dove deriva tutta questa fretta?

Allora il problema dei giovani c’è sempre stato. Io sono stata giovanissima debuttante e mi hanno chiesto di fare cose che a volte non erano giuste per la mia voce e quasi sempre detto di no. Ho tentato qualche volta di andare oltre e fare qualcosa di più per sviluppare la voce ma per tornare sempre al mio repertorio e comunque anche quello che può essere un po’ al di là delle proprie possibilità deve essere fatto con la propria vocalità. I giovani devono essere ben gestiti, ci deve essere una coscienza da parte loro, ma deve esserci anche un consiglio da parte delle persone che sono intorno al giovane. Il  problema di un sistema, io lo chiamerei così oggi, che impone sempre la novità e che la novità presto finisca per non essere più tale perché non ha avuto la possibilità di crescere attraverso dei debutti giusti. Ai giorni nostri pare che ci sia il bisogno di scelte vocali che esulino dalle capacità effettive di ciascuno. Non si resta con i piedi per terra e ci si trova a chiedere a un  cantante di andare andare verso  più di una vocalità invece di restare con i piedi per terra, sviluppando gradualmente la vocesulla .  Ad un soprano giovane che ha cantato Trovatore immediatamente si chiede di fare magari Ballo in maschera, e La forza del destino o Aida. Io avendo debuttato giovanissima , una specie di enfant prodige, non posso e non mi sento criticare un giovane ; anzi, dico che ci sono dei giovani bravissimi, che gestendo bene scelte e repertorio riescono ad arrivare ad anni di carriera e a crescere ma purtroppo non è sempre così. Però storicamente credo che sia sempre stato così, scelte sbagliate da parte dei giovani ci sono sempre state, scelte affrettate anche, più che sbagliate. Non è poi giusto  che al giovane cantante si richieda il massimo dell’interpretazione, perché l’esperienza ti fa arrivare all’interpretazione e allo lo scavo. I giovani hanno dalla loro la freschezza dellas voce, ma non ancora gli strumenti per poter essere un grande interprete. Sono gli anni che forgiano il grande interprete.

Alessandro Cammarano

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