Cent’anni di musica a Padova: intervista a Filippo Juvarra
Gli anni tra il 1920 e il ’21 sono stati centrali per la vita musicale padovana e non solo: la nascita della Società di concerti “Bartolomeo Cristofori” fu un momento estremamente importante per lo sviluppo di una vita culturale estremamente vivace che si intreccia con il percorso della musica strumentale in tutta Italia. A cent’anni dalla definitiva partenza dell’istituzione, ripercorriamo le tappe della vita musicale padovana con uno dei suoi protagonisti assoluti: Filippo Juvarra, Direttore Artistico degli Amici della Musica di Padova dal ’70, Assistente, Programmatore e poi direttore Artistico dell’Orchestra di Padova e del Veneto dall’84 fino al 2015, Bibliotecario del Conservatorio Pollini dal ’74 al 2013 e, negli anni ’70, assistente di Mario Bortolotto all’Università di Venezia. E proprio gli Amici della Musica hanno raccolto, dal ’57, l’eredità della Società Cristofori.
- In questo 2021 festeggiamo i 100 anni dalla fondazione della Società di concerti “Bartolomeo Cristofori”. Com’è iniziato questo percorso della musica da camera a Padova?
La Società Bartolomeo Cristofori ha avuto una nascita doppia, nel 1920 e nel ’21, per iniziativa praticamente delle stesse personalità che ruotavano attorno all’allora Istituto Musicale Cesare Pollini: la Società era nata autonoma, ma essendo i soci gli stessi dell’Istituto dal ’21 hanno fuso le due realtà e hanno cominciato la propria attività. Attività che si pone in linea con l’istituto, perché per Pollini l’attività concertistica era fondamentale per un giovane musicista. Già ai suoi tempi, infatti, possiamo trovare concerti con profili biografici di compositori oppure celebrazioni di anniversari particolari. Per la Cristofori, una figura centrale divenne quella di Renzo Lorenzoni, pianista che fu allievo di Cesare Pollini. Ricordo una conversazione con Rattalino, neanche troppo tempo fa, il quale mi raccontava di quando era studente al Conservatorio di Milano, dove Lorenzoni ha insegnato per i suoi ultimi anni, e dell’autorevolezza che la sua figura aveva anche nell’ambiente milanese. Lorenzoni fu protagonista per la Società sia come pianista, sia come membro del Comitato Artistico.
- La Società ha da subito scelto un profilo di grandissima rilevanza internazionale…
Sì, la dimensione europea e internazionale si colloca nel clima di riapertura postbellico. Il periodo dal ’21 al ’38 è effettivamente straordinario, a leggere i programmi oggi si resta allibiti! Basti guardare al primo concerto della Società, affidato al Quartetto Busch con la sua più recente formazione. E il Quartetto fece una grandissima impressione: Adolf Busch venne reinvitato con Serkin anche dopo la Seconda Guerra Mondiale e il Quartetto venne invitato ripetutamente, anche per un’integrale dei Quartetti di Beethoven. Questa dimensione internazionale, peraltro, era anche in linea con gli indirizzi di Cesare Pollini. Quando ho iniziato a curare la biblioteca di Pollini, nucleo attorno al quale è nata la biblioteca del Conservatorio, era grande lo stupore di fronte al raggio dei suoi interessi: abbonato alla Revue wagnérienne, in possesso di tutta la musicologia tedesca di rilievo, in contatto con Richard Strauss, con Riemann, autore egli stesso di un piccolo dizionario dei termini musicali italo-tedeschi… Questa apertura europea la troviamo uguale nella Società Bartolomeo Cristofori, riconfermata da Lorenzoni (anche per il lascito bibliotecario arrivato al Conservatorio dopo la sua morte).
- Come si inserì questa dimensionale internazionale nella transizione della vita musicale italiana nel Novecento storico?
Si pone ovviamente in linea. Le direttrici della Cristofori erano in primo luogo quelle di rivalutare la musica da camera e sinfonica, soprattutto austro-tedesca: va da sé che lo stesso Pollini era tra quelle personalità impegnate nel tentativo di sottrarre la cultura musicale italiana al monopolio dell’opera. L’attenzione venne poi focalizzata, come spesso in Italia in quegli anni, sia sulla riscoperta della musica antica, sia sulla musica contemporanea, presenza massiccia nelle programmazioni di quegli anni.
- Su questo fronte, è nota la partecipazione di Padova al grandioso tour organizzato da Casella con il Pierrot Lunaire di Schönberg diretto dall’autore e l’esecuzione del proprio Concerto per due violini, viola e violoncello con il Quartetto Pro Arte.
La collaborazione con Alfredo Casella si concretizzò soprattutto in questo grande evento, esatto, ma fu protagonista anche di un’altra grande iniziativa nel ’27, quando portò a Padova Les noces di Stravinskij insieme ad Amfiparnaso di Orazio Vecchi. E anche qui, tra i quattro pianisti di Noces ci sono dei nomi che per noi oggi sono mitologici, come quello di Castelnuovo-Tedesco. Anche Pizzetti è spesso presente nelle programmazioni [Il primo concerto della Società nel ’20, prima della fusione, aveva non a caso visto Mario Corti e Renzo Lorenzoni eseguire la Sonata per violino e pianoforte di Pizzetti, composta appena l’anno precedente NdA], non di rado affidate a Enrico Mainardi, in duo. Pizzetti venne anche invitato a tenere conferenze e fu protagonista in un altro modo: era lui il Presidente della Commissione che valutù positivamente le attività dell’Istituto Musicale Pollini conferendogli il riconoscimento di Pareggiato, un riconoscimento arrivato prima qui che a Venezia, ulteriore segno della bontà della vita musicale padovana di quegli anni.
- Abbiamo citato Venezia, di cui in quegli anni uno dei protagonisti è Gian Francesco Malipiero. Quali sono state le collaborazioni con il compositore?
La figura di Malipiero è molto interessante e ci porta ad anni più recenti. Per un breve periodo fu Direttore dell’Istituto Pollini, dal settembre ’38, e insieme al Rettore dell’Università dell’epoca organizzò un ciclo di conferenze di storia della musica con esecuzioni musicali affidate agli studenti dell’Istituto. È in queste esecuzioni che si tornò per la prima volta ad utilizzare la Sala dei Giganti, che poi divenne una sala di riferimento per molti filoni insieme a Palazzo della Ragione. Ad esempio, la Bartolomeo Cristofori sviluppò in quegli anni un filone di concerti sinfonici, che oggi è quasi completamente dimenticato. Riprendendo l’esperienza dei sette concerti diretti da Arturo Toscanini nel 1920, per molti anni la Cristofori organizzò vere e proprie stagioni sinfoniche. E anche qui, c’è da restare impressionati: Filarmonica di Praga, di Vienna, l’Orchestra Ungherese diretta da Dohnányi… Queste si esibivano soprattutto nel Salone, in cui si riusciva ad ospitare fino a 2.500 persone. La vecchia sala dell’Istituto Musicale, in Via Carlo Leoni [oggi scomparsa NdA], ne teneva 250. La Sala dei Giganti era una via di mezzo, si arrivava anche a 6-700 posti, stipandola di sedie. Ricordo anch’io quando, che so, per i concerti di Segovia, si andava a cheidere le sedie a quello che ora è il Caffè Cavour per far sedere quante più persone possibili. Dal ’41 la Sala dei Giganti diventa più stabilmente la sala dei concerti orchestrali, che proseguirono anche durante la Guerra con una presenza più italiana, in genere l’Orchestra della Fenice diretta da Sanzogno.
- Come prosegue la vita padovana dopo la guerra?
Nell’immediato dopoguerra compare un nuovo elemento, il Centro Universitario d’Arte, per iniziativa di alcuni studenti, Gastone Belotti (poi autorevole studioso chopiniano), Liliana Balotta e Alessandro Prosdocimi, con il supporto del Rettore Egidio Meneghetti. Il loro primo concerto fu nel ’46 con Vincenzo Pertile e così comincia la sua attività, sempre alla Sala dei Giganti. Queste due storie, Cristofori e Centro d’Arte, vanno avanti parallelamente per un po’, ma con la morte di Lorenzoni nel ’51, pur mantenendo un prestigio di interpreti, l’inventiva della Società comincia a scemare. Dall’altra parte, invece, c’erano energie giovani: nel mentre erano arrivati giovani quali Pierluigi Petrobelli, Franco Fayenz, lo stesso Claudio Scimone, figure che ruotavano intorno a Mario Della Mea, medico appassionato di musica che sarà poi tra i fondatori dei Solisti Veneti. Nel ’52, dunque, una lettera della Presidenza del Consiglio (all’epoca il sostegno non veniva dal MiBACT, che ancora non esisteva) invitava Società Bartolomeo Cristofori e Centro d’Arte a coordinarsi, per evitare di finanziare doppioni in una piccola città. Per un paio d’anni le due istituzioni creano stagioni comuni insieme all’Orchestra Giuseppe Tartini, all’epoca terzo soggetto di questo accordo: “Amici della Musica di Padova” nasce proprio come nome comune per coordinare le tre realtà e vendere un abbonamento unico. Nel ’57, queste realtà si fusero anche da un punto giuridico, ma il peso organizzativo rimase fondamentalmente in mano ai giovani del Centro d’Arte. Ci fu ad un certo momento, credo verso il ’59-’60, un tentativo da parte del Pollini di ricominciare ad avere voce in merito alle scelte artistiche, però il Rettore fu categorico nell’esclusione, anche viste le sovvenzioni che l’Università stanziava. Così andò avanti fino alla fine degli anni ’60 e lì cambiarono di nuovo le cose: dopo le burrasche del ’68, ci fu da parte degli Amici della Musica la paura che l’associazione potesse esser presa in mano dagli ambienti di Potere Operaio. Questo era successo al Centro Universitario Cinematografico, che una volta espugnato venne fondamentalmente condotto alla morte, non essendo l’organizzazione artistica e culturale tra le priorità del movimento. Così, le due associazioni si divisero per evitare di essere condizionate dallo statuto del Centro Universitario e rischiare di perdere la sovvenzione statale. Un altro aspetto che portò a questa scissione fu l’interesse da parte del Centro d’Arte per il jazz, che il Ministero non riconosceva se non in minima parte, mentre Regione e Comune avevano cominciato a riconoscerlo per contributi. Formalmente, la Bartolomeo Cristofori si estinse nel ’75 con la chiusura dell’Ente Morale Cesare Pollini.
- E gli Amici della Musica rimasero poi a portarne avanti l’eredità. Come si è sviluppato il panorama musicale padovano dopo la fusione del ’57?
La novità fu la nascita dei Solisti Veneti, nel ’59, che è il dato con cui gli Amici della Musica si confronteranno per differenziare le stagioni. Gli AdM, negli anni ’60 della direzione artistica di Daniela Goldin, contribuirono decisamente alla nascita di quella che poi divenne l’Orchestra di Padova e del Veneto. Con i Solisti Veneti organizzarono stagioni orchestrali che vedevano, fondamentalmente, i Solisti con l’aggiunta dei fiati. Dopo un paio di stagioni così, Scimone, evidentemente comprendendo che c’era la possibilità di ottenere un sostegno nazionale come orchestra da camera per l’imminente Legge Corona, decise di creare una propria stagione come Orchestra da Camera di Padova. Così si costituì quella che oggi è l’OPV e che da subito venne riconosciuta come ICO. Ovviamente bisognava differenziare le stagioni: all’epoca c’era un certo spirito di ribellione, ricordo, le prime stagioni di cui curai la direzione insieme a Dalla Libera vennero iniettate massicce dosi di Schönberg e Webern, che portarono ad una decimazione degli abbonati, passati alle stagioni dell’orchestra. Un’altra grande caratteristica di quegli anni fu l’aver imboccato dal ’72 la strada della prassi esecutiva storicamente informata, sia perché ci credevamo (e ci crediamo ancora), sia per differenziare la propria proposta di musica antica rispetto ai Solisti Veneti. Ricordo il primo concerto di Gustav Leonhardt a Padova, cui seguirono le esplorazioni del mondo fiammingo e dei grandi nomi della musica che oggi chiamiamo antica. Sempre nella tradizione della visione di Cesare Pollini proseguirono i cicli monografici e tematici, così come l’interesse alla musica contemporanea, nonostante questa fosse diventata patrimonio soprattutto del Centro d’Arte. Questa attenzione alla ricerca, è un’attenzione che dura fino ad oggi.
- Venendo dunque all’oggi, come vedi la situazione musicale padovana?
Bah, in questo momento tutti fermi! Sono molto dubbioso sulla ripresa, anche per la questione del pubblico: nei concerti di recupero per gli abbonati, abbiamo avuto una risposta estremamente prudente. Quando questo periodo finirà bisognerà capire quale programmazione potrà tornare ad entusiasmare e a riempire le sale. Sullo streaming personalmente non conto molto, è solo uno strumento emergenziale. Per quanto riguarda proprio il contesto della vita musicale di oggi, il principale soggetto con cui ci confrontiamo è l’OPV, che ha un numero di abbonati molto importante e con cui dobbiamo coordinarci anche da un punto di vista di date. In linea generale penso che quell’aspirazione tante volte espressa di un coordinamento delle attività musicali cittadine sarebbe ora auspicabile. Ne abbiamo parlato recentemente con Elio Orio, il nuovo direttore del Conservatorio Pollini. Un’altra esperienza che condividiamo è quella di trovare dei momenti in cui tutte le realtà padovane collaborino per realizzare un Festival a più voci, come il Festival Cristofori ha provato a fare, ma anche qui è mancato l’interlocutore più importante: il Comune. Sarebbe il momento che le istituzioni politiche riconoscessero la bontà dell’idea di una vetrina che testimoni la ricchezza individuale di ognuna delle istituzioni cittadine e portassero ad un maggior coordinamento della vita musicale di Padova.
Alessandro Tommasi
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