Cesar Franck e la questione cameristica italiana: intervista a Sandro De Palma
Allievo di Vincenzo Vitale, Nikita Magaloff e Alice Kezeradze-Pogorelich, Sandro De Palma è un ben noto pianista dalla carriera svoltasi soprattutto all’estero tra Inghilterra, Francia e Germania e dedicata tanto al repertorio solistico quanto a quello cameristico. Invitato ad esibirsi all’Amiata Piano Festival con il Quartetto Guadagnini il 27 luglio, la sera prima del concerto è il momento di un’intervista dedicata al repertorio scelto e alla questione cameristica in Italia.
- Comincerei subito parlando della sua presenza all’Amiata Piano Festival: è la prima volta?
Sì, è la prima volta! E devo essere sincero, ho ricevuto un’impressione estremamente positiva. La bellezza della sala, dell’acustica, l’accoglienza delle persone… E c’è un ottimo pubblico, il che mette ottimismo. In Italia, purtroppo, la musica da camera in genere soffre. Oltre a suonare mi occupo anche del Festival “I bemolli sono blu” di Viterbo, e anche lì è stata una scommessa puntare sul repertorio cameristico, dunque mi mette ottimismo vedere che pure qui, in un luogo fondamentalmente agricolo, si trovi un pubblico capace di grande attenzione.
- Il suo concerto di domani, infatti, sarà interamente dedicato alla musica da camera e la vedrà eseguire, insieme al Quartetto Guadagnini, due brani. Cosa mi può dire di Aria di Silvia Colasanti?
Di Aria faremo la prima esecuzione assoluta in questa veste. Il brano era già nato come quartetto d’archi, che ora Silvia ha integrafo con il pianoforte. È pezzo secondo mai davvero interessante, c’è un’atmosfera leggera e delicata, come suggerisce il titolo, con reminiscenze tematiche particolari. Un brano difficile da suonare, soprattutto per gli archi, per la sua scrittura densa di armonici, ma è piaciuto molto sia a me che al Quartetto! Il pianoforte ha un ruolo molto integrato, non solistico, a differenza del Quintetto di Franck, che è quasi un concerto per pianoforte e quartetto d’archi. Il paragone è ovviamente impossibile, ma li abbiamo accostati apposta per rafforzare questo contrasto, mentre il Guadagnini suonerà il Quartetto “delle dissonanze” di Mozart tra i due brani.
- Il secondo brano che eseguirete insieme, infatti, sarà il Quintetto di Franck, che lei conosce bene.
Sì, è un brano che amo moltissimo. L’ho eseguito molte volte e con molti gruppi ed è sempre un’esperienza, anche per arrivare alla fine! E domani lo suoneremo in una versione un po’ particolare. Come sai, Franck dedicò il pezzo a Saint-Saëns, che ne fu il primo esecutore. Franck assistette alle prove ed apportò alcune modifiche alla parte. Saint-Saëns detestò il brano, e con lui il quartetto, ma ascoltando la sua musica, che amo molto, posso capire il perché: la razionalità e l’ironia di Saint-Saëns non c’entrano proprio nulla con la densità emotiva di Franck! Dopo averlo suonato, dunque, Saint-Saëns e il quartetto se ne andarono lasciando la partitura con le annotazioni di Franck sul pianoforte. Franck ovviamente se ne dispiacque molto e non volle più far eseguire il brano. Ora, questa partitura finì nelle mani di Alfred Cortot, sommo interprete del repertorio francese e di Franck, così che noi possiamo osservare nella versione di Cortot le differenze rispetto alla versione stampata. Differenze piccole, ma importanti. Ad esempio all’inizio, dopo quel tema del pianoforte, dal carattere improvvisato e quasi di preludio, nell’edizione originale troviamo un diminuendo, mentre nella versione con le annotazioni questo è cancellato a favore di un grande crescendo che prepara il fortissimo dell’entrata degli archi. Nella parte centrale, addirittura, il tempo passa in due, con un raddoppio della velocità. E così altri dettagli, molto significativi. Non sappiamo perché queste cose siano state cambiate, ma sono molto contento di aver modo di suonare questa versione all’Amiata. Persino quando lo suonai alla Philharmonie di Berlino, con i Quartetto dei Berliner, mi fu bocciata questa proposta, e così quando lo feci con il Quartetto Ébène. D’altronde se devo suonare in formazione cameristica preferisco non impormi, ma al Guadagnini l’idea è piaciuta, dunque vediamo che succederà!
- Per ricollegarmi alla prima domanda, vista sia la sua carriera internazionale, sia la sua attività come direttore artistico, perché secondo lei in Italia la musica da camera fa fatica?
Credo sia un problema storico, che si è incancrenito negli ultimi tempi. Per primo cosa, l’Italia è sempre stato il paese della lirica. Il pianoforte, per dire, l’abbiamo inventato noi, ma la grande letteratura pianistica si è sviluppata oltralpe. E i pochi musicisti che si sono affermati in questo campo, sono andati tutti all’estero, com’è il caso di Clementi o di Busoni. Il che è anche dovuto ad una questione pratica: gli interessi economici erano tutti sull’opera! Quindi non si è mai creato un pubblico per la musica da camera. A questo si aggiunge l’abolizione della musica dalle scuole, credo anche per un retaggio crociano, e così in Italia, che è il paese della musica come si suol dire, la musica da camera soffre. Manca di fatto un pubblico preparato, perché il pubblico della musica da camera è molto particolare, è una nicchia. E per carità, ne sono anche contento: il Clavicembalo ben temperato in Sala Santa Cecilia di fronte a 2000 persone sarebbe completamente snaturato. Basta ricordarsi che l’Arciduca di Beethoven fu eseguito per la prima volta in un albergo, di fronte a poco più di venti persone! Dunque non mi aspetto un pubblico enorme per questo repertorio, ma a volte devo ammettere che in Italia è veramente difficile. Ci sono situazioni in cui la gente sceglie di non andare a concerto, o se va si annoia, o non riesce a comprendere il repertorio, anche se questo è veramente meraviglioso. Ma anche per questo abbiamo deciso di cogliere la sfida a Viterbo!
- Com’è nato il Festival?
Per anni mi ero occupato di un festival a Napoli e tre anni fa è iniziata l’avventura a Viterbo, che è una città bellissima, che amo davvero. Vi comprai una casa anni fa, nel centro medievale. Poi mi è venuta quest’idea di farvi un po’ di musica. Prima c’era un festival di musica barocca molto importante, ho sentito concerti eccellenti lì, come un concerto di Gustav Leonhardt, ma ha cessato l’attività. Così abbiamo deciso di crearci qualcosa e mi son detto «Se dobbiamo sfidare questa gente, dobbiamo farlo bene» e siamo partiti già alla prima edizione con l’integrale di Debussy per pianoforte, in un progetto dedicato a lui e ai suoi contemporanei, ricercando autori che persino i francesi spesso non conoscono. È il caso di Abel Decaux, un compositore che ha scritto solo cinque Notturni, ma viene considerato uno Schönberg francese, molto interessante. E poi Massenet o Fauré, autori incredibili per Viterbo. Ma devo dire che abbiamo avuto, stranamente, un’adesione notevole. Un po’ per curiosità, ma anche perché abbiamo scelto alcuni dei posti più belli di Viterbo. L’anno scorso è stato più facile, avendo dedicato il Festival a Beethoven, ma quest’anno siamo arrivati a proporre cinque linee programmatiche, che vanno da Chopin e i suoi contemporanei a una serie dedicata alla musica antica, con compositori viterbesi sconosciuti. Abbiamo scoperto, infatti, che molti compositori che lavoravano per il Vaticano venivano in realtà da Viterbo. Poi abbiamo un concerto d’organo, che oggi è una rarità, e un laboratorio di musica da camera, per cui arriva un quartetto fin dall’America. Insomma, il Festival sta prendendo una bella piega e questo mi fa piacere, anche perché finalmente ho modo di decidere cosa fare. Pensa che quando proposi all’ormai defunto Bruno Cagli di fare il Quintetto di Franck a Roma, mi rispose “Ma no, Franck a Roma è troppo difficile”! Quindi sono contento di vedere che anche una realtà come l’Amiata ti dia la libertà di proporre e non utilizzi solo il metro del pubblico. Questo ho notato essere piuttosto difficile a Roma, dove si tende a programmare spesso sempre le stesse cose. Un concerto con Fauré, Massenet e i primi pezzi di Debussy, come l’abbiamo fatto a Viterbo, a Roma non l’avrebbero mai accettato, pensa un po’!
Alessandro Tommasi
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