Chénier in Tivvù: un bla bla imbarazzato e imbarazzante

Serpeggia sempre l’imbarazzo, alle ormai tradizionali dirette Rai per l’inaugurazione della stagione d’opera alla Scala, ogni fatidico 7 dicembre. L’enfasi retorica è il salvagente di presentatori pieni di buona volontà, che si sono imparati a memoria la trama e i nomi dei cantanti, ma sono sempre vagamente spaesati, con l’aria di scusarsi di doversi occupare della strana cosa chiamata opera sulla rete maggiore della Tv di stato, scompaginando perfino l’orario dei Tg. Si proclama che il melodramma unisce la penisola dalle Alpi al Lilibeo, ma il telepopolare è radicalmente estraneo, dunque indifferente a ciò che fino a un secolo fa era il popolare autentico. Lo scontro fra queste concezioni genera il ridicolo, talvolta il grottesco. Nella migliore delle ipotesi il banale.

La regia Tv lavora all’ingrosso, sovrapponendo i linguaggi e inventandosi perfino le riprese dalla verticale: prodigi della tecnica, peccato che si veda l’opera come dal vivo non la vede nessuno. E soprattutto che dall’alto, nella fattispecie, si perda tutto il senso della scenografia. Ma mettere una colonna sonora “alla Giordano” sui titoli di testa è imperdonabile. Il telespettatore non avvertito che cosa dovrebbe pensare? Che lo spettacolo sia già cominciato?

La grande trovata di quest’anno sono stati gli “highlights” della prima parte, durante l’intervallo. Come nelle serie Tv, quando una voce dice: «nelle scorse puntate», e scorrono alla rinfusa i momenti clou della settimana precedente e di prima ancora. Uno pensa: ma a cosa serve? Poi spera di riascoltare qualche passaggio intrigante, scene e relativa musica. Mica facile con questa opera congestionata e pretenziosa, che della buona musica fa solo intravvedere la sinopia, ma insomma… Niente da fare. Scorre la solita base musicale, è proprio Andrea Chenier ricondotto alla natura di una serie Tv. L’imbarazzo della ragione è figlio dell’ignoranza e a sua volta genera assurdità.

Poi, si sa, bisogna vendere il prodotto anche vantandone l’eccezionalità. L’anno scorso, per la Butterfly prima versione, qualche dilettante allo sbaraglio aveva mandato in permanenza sui video la scritta “prima assoluta mondiale”. Quest’anno si sono corretti, si fa per dire: solo “prima mondiale”. Le solite prevenzioni, Puccini vale di più del buon Umberto Giordano, qualcuno sotto sotto pensa che non possa essere un “assoluto”. Ma quand’è che qualcuno spiegherà a lor signori del piccolo schermo che nell’anno di malagrazia 2017 la prima di un’opera scritta nel 1896 resta una prima quando debutta un nuovo allestimento, punto e stop? E che ogni nuovo allestimento è un debutto “mondiale”, volendo anche galattico, per cui sottolinearlo è ridicolo?

Ma forse al top del grottesco bisogna porre la genialata che giunge alla fine dell’intervallo – tre interminabili quarti d’ora per riempire i quali la creatività di chi non ha la minima idea dell’oggetto è sempre sull’orlo di comici rovesci. Al momento di raccontare la trama, con l’aria di chi la sa lunga, la gentile presentatrice dichiara che si asterrà dal dire come va a finire. Non si può fare “spoiling” sulla serie intitolata Andrea Chenier, bando ai dettagli rivelatori che stanno lì da 121 anni. Volete sapere come va a finire? Guardatevela fino in fondo e preparatevi a farvi sorprendere. Sì certo. La sorpresa sarebbe che accadesse quello che la tagliente ironia di un grande critico come Rubens Tedeschi, dopo avere descritto da par suo situazioni e personaggi maggiori e minori dell’opera, chiosava così: «Si aspetta soltanto John Ford per imbarcarli in gruppo sulla diligenza di Ombre rosse». Ma non succede, il prudente regista Mario Martone non aspira ai paesaggi della Monument Valley.

Che poi, i critici. Una volta, le prime scaligere in tv per le cosiddette “firme” erano occasione di passerelle più o meno stucchevoli, ma pur sempre dotate di senso non solo culturale ma anche giornalistico. Accadeva all’epoca in cui la critica musicale aveva diritto di cittadinanza sui giornali italiani e le si riconosceva un ruolo culturale, oltre che informativo. Oggi siamo nell’era di Internet, che tutto dilata artatamente e irresponsabilmente – salvo pochi casi. Per cui tutti si credono critici e nessuno (secondo la vulgata) lo è davvero. E la Tv si adegua. Dal lungo tele-blabla intorno all’inaugurazione della Scala i critici sono stati rimossi, cancellati. Mentre scorrono le immagini del foyer ricolmo di gente, cerchi con lo sguardo fisionomie note e magari qualcuna ne individui, ma nessuno ha più il bene di essere chiamato a dire la sua in favore di telecamera. Al massimo intravvedi qualcuno con le cuffie in testa, in tenuta radiofonica. Ma si sa, la radio può essere “culta”, la Tv è condannata al popolare imbarazzato e insensato.

Il che però può portare a scelte sconcertanti non perché sbagliate in sé, ma per quello che postulano a proposito della critica musicale. Se all’intervallo dell’Andrea Chenier di Milano il diritto di parola (al netto delle divagazioni su Romanzo e Storia di personaggi come Enrico Regazzoni e Sergio Romano) spetta solo al soprano Cecilia Gasdia, che alla carriera ormai conclusa come cantante sta cercando di far seguire una carriera di direttore artistico-sovrintendente; se alla fine una sorta di “recensione” tocca a Fortunato Ortombina, colto neo-sovrintendente della Fenice, che dice peraltro cose del tutto condivisibili e assennate, è inevitabile chiedersi qual è per la Rai – cioè un po’ per tutti – il senso, il ruolo e lo scopo della critica musicale.

Arriveremo agli organizzatori teatrali che “recensiscono” gli spettacoli che hanno mandato in scena? Sarà un modello l’approvazione incondizionata che i due “addetti ai lavori” hanno sparso pur con soave eleganza e buoni strumenti storico-critici? Diventerà qualcosa che fa il paio con l’invasione degli ex giocatori nel tele-giornalismo calcistico? A guardare la diretta Rai dalla Scala, sembra che ormai siamo a un passo. Più che chiedersi quali siano le condizioni della critica musicale, forse bisognerebbe prendere atto che è ora di organizzarne le esequie.

Cesare Galla

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