Como: un inedito dittico che sfida le leggi del tempo
Qual è il valore del tempo? Domanda di non facile risposta, dipende forse dal modo in cui il tempo è consumato.
Certamente ha poco, per non dire, nessun valore, il tempo speso in chiacchiericci e maldicenze mentre ha certamente un valore inestimabile il tempo speso in baci e carezze, così prezioso da espandersi verso un orizzonte infinito. Sono quelli i momenti in cui l’uomo si libera della tirannia delle lancette o della nuova tecnologia che, con ancora più violenza, scandisce il nostro tempo presente.
Proprio il tempo è stato il fil rouge che ha legato l’inedito abbinamento tra le note spagnoleggianti de l’heure espagnole di Ravel e la toscanità al cubo di Gianni Schicchi, nel dittico prodotto da OperaLombardia e ASLICO a cui abbiamo avuto il piacere di assistere venerdì 10 gennaio presso il sempre accogliente Sociale di Como.
L’opera di Ravel, una commedia degli equivoci in salsa spagnola intorno alle beffe del tempo, ha solide radici famigliari, e non solo nell’ambientazione.
Ravel non solo è frutto del felice incontro tra la tradizione francese e quella spagnola ma è anche figlio di un orologio di professione, il protagonista intorno al quale si snoda l’opera.
Sul lato musicale l’opera è raffinatissima, una melodia elegante che miscela sapientemente la miglior evoluzione musicale dell’epoca di cui è figlia con le sonorità della tradizione del folclore spagnolo, in questo senso la direzione di Sergio Alapont è funzionale a mettere in evidenza questa fusione.
La messa in scena di Carmelo Rifici è interessante.
L’idea di collocare la storia in uno spazio metafisico (belle le scene di Guido Braganza), con i personaggi che portano sui costumi (a cura di Margherita Baldoni) pezzi di ingranaggio di orologio ci restituisce la tesi di un tempo che finisce per asservire l’uomo al suo volere, o meglio al suo capriccio. E’ in effetti nel racconto della moglie fedifraga dell’orologiaio Torquemada, che approfitta delle trasferte lavorative del marito per incontrare i suoi concupiti, penetra la forza capricciosa del tempo che finisce per privarla di qualsiasi vera consumazione. Nel suo caso per eccesso di offerta.
Nel cast bene assortito e con buona padronanza di canto e fraseggio, si segnalano la procace Concepcion, interpretata da una volitiva Antoniette Dennefeld e il trasognato (ma anche un po’ sfigato nella sua inutile verbosità) Gonzalve, impersonato da Didier Pier, che si distingue per eleganza nel canto e nel portamento, lavorando bene per sottrazione.
Quanto allo Schicci, forse il vertice drammaturgico dell’opera Pucciniana, nel senso della perfetta adesione della musica al libretto, la regia del già citato Rifici opera una scelta per così dire difensiva, ripiegando nella rassicurante ultima età dell’oro del mondo occidentale. Gli Anni Cinquanta delle acconciature cotonate e del miracolo economico. La collocazione dell’opera dentro la sala di un Cinema (viene da chiedersi perché il povero Buoso si sia trasferito in un luogo del genere) non convince del tutto però serve a favorire quell’effetto nostalgia, a metà strada tra Amici miei e Nuovo Cinema Paradiso, capace di suscitare empatia e sorrisi anche nei più cinici spiriti.
Si potrebbe dire una scelta un po’ ruffiana e, per questo, il risultato è godibile anche grazie alla verve attoriale di tutti i componenti del cast. Tra i quali emerge, con solo per l’autorevole mole, un Sergio Vitale nelle vesti del protagonista. Vista l’agilità con cui ha affrontato la non facile parte, il baritono campano pare destinato a diventare uno Schicchi di riferimento. Da apprezzare anche gli slanci di giovanile ardore con cui Pietro Adaini ha affrontato le asperità della parte di Rinuccio, mentre merita una menzione speciale Lavinia Bini che ha risolto la parte di Lauretta con non poca intelligenza, lavorando sull’interpretazione. Simpatiche e coinvolgenti le protagoniste dell’irresistibile terzetto di corteggiamento allo Schicchi: la Zita di Agostina Smimmero, la Ciesca di Cecilia Bernini e la Nella di Marta Calcaterra. Nello Schicci la direzione di Alapont non fornisce, invece, alcuna chiave nuova di lettura. Resta il fatto che la zazzera al vento del direttore di origini spagnole trasmette una certa energia positiva.
Ritornando al valore del tempo, sarebbe bello chiedere ai simpatici venticinque lettori se il breve tempo impiegato a leggere queste poche righe sia stato ben speso ma, forse, la risposta resta sospesa nel vento là dove le parole si stemperano e la calunnia si annida per tornare, all’occorrenza, a tuonare. Come rombo di cannone.
Marco Ubezio
(10 gennaio 2019)
La locandina
Direttore | Sergio Alapont |
Regia | Carmelo Rifici |
Scene | Guido Buganza |
Costumi | Margherita Baldoni |
Luci | Fiammetta Baldiserri |
Personaggi e interpreti: | |
L’HEURE ESPAGNOLE |
|
Concepcion, moglie di Torquemada | Antoinette Dennefeld |
Gonzalve, studente | Didier Pieri |
Ramiro, mulattiere | Valdis Jansons |
Don Inigo Gomez, banchiere | Andrea Concetti |
Torquemada, orologiaio | Jean François Novelli |
GIANNI SCHICCHI |
|
Gianni Schicchi | Sergio Vitale |
Lauretta | Serena Gamberoni |
Zita | Agostina Smimmero |
Rinuccio | Pietro Adaini |
Gherardo | Didier Pieri |
Nella | Marta Calcaterra |
Betto di Signa | Andrea Concetti |
Simone | Mario Luperi |
Marco | Valdis Jansons |
La Ciesca | Cecilia Bernini |
Maestro Spinelloccio, Messer Amantio di Nicolao | Nicolò Ceriani |
Pinellino | Zabulon Salvi |
Guccio | Marco Tomasoni |
Gherardino | Giorgio Marini, Savva Burlacu |
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