Daniela Barcellona: «L’opera non è roba da vecchi»

Daniela Barcellona non ha bisogno di presentazioni: la sua carriera fatta di scelte sempre ragionate parla per lei. Insieme al marito, il direttore d’orchestra Alessandro Vitiello, saranno nella loro a Trieste dal 25 al 31 agosto come docenti della seconda edizione della Masterclass di Canto Lirico organizzata dall’Associazione “Amici Gioventù Musicale – Trieste ODV” in collaborazione con la Fondazione Teatro Lirico “Giuseppe Verdi” di Trieste e l’Accademia AMO della Fondazione Teatro “Coccia” di Novara. Le abbiamo fatto qualche domanda.

  • Uno dei luoghi comuni più diffusi è quello secondo il quale l’opera è “roba per vecchi”. Come fare a sfatarlo?

L’opera non è roba per vecchi, assolutamente. È che la fanno vedere così come una cosa noiosa, e quindi i ragazzi non hanno voglia di avvicinarsi. Nelle pubblicità ad esempio viene vista come uno che ascolta un concerto o un’opera e si annoia e dorme. Non è così. I ragazzi quando vengono a teatro, si divertono tantissimo e dicono “non sapevo fosse così divertente”. Ovviamente bisogna iniziare con un’opera più leggera, potrebbe essere “Il barbiere di Siviglia” o “Cenerentola”. Non sicuramente con un’opera da cinque o sei ore, o un dramma. Qualcosa che possa far sorridere. I ragazzi inoltre andrebbero abituati fin da piccoli. È proprio una mancanza di conoscenza, è ignoranza. Si ignora che l’opera possa essere anche divertente. E nonostante tutto quello che si cerca di fare purtroppo il luogo comune è ancora che l’opera, e in generale la musica classica, sia per vecchi e barbosa.

  • Come si costruisce una carriera duratura?

Una carriera duratura innanzitutto si costruisce non volendo bruciare le tappe sin dagli inizi, da quando si studia. Ogni età ha i suoi ruoli, ogni età ha i suoi limiti e le sue potenzialità. Non precorrere mai i tempi, studiare, studiare e studiare. Essere sempre preparatissimi, fare anche una vita sana, e la cosa più importante: non cantare troppo presto dei ruoli non adatti. Ad esempio io ho iniziato con Rossini, che mi ha dato una scuola, una tecnica, una base, un modo anche di approcciarsi allo spartito con rispetto e con grande serietà e impegno. Cantare sembrerebbe facile ma non lo è. Quando si dice che bisogna aspettare per un determinato ruolo perché si è troppo giovani spesso non è per il fatto che non si riesca a cantarlo, ma è per il fatto che non si ha l’esperienza per affrontarlo nel modo giusto e per non farsi male. I ruoli drammatici per tutte le voci portano a un’interpretazione anche violenta, incontrollata, invece come mi diceva il carissimo amico mio e di Alessandro, Carlo Cossutta: “Io dentro canto Mozart, ma fuori viene Otello”.

  • Qual è il suo rapporto con il teatro di regia?

Decisamente preferisco che la regia vada di pari passo con la musica, quindi quando si trova un regista che è anche un musicista c’è un incontro a tutto tondo, si può discutere, si può parlare, c’è un rispetto nei confronti del libretto e di quello che c’è scritto. Ci sono anche registi che non conoscono la musica.

Altre volte ci sono delle regie molto complicate sulle quali bisogna lavorare moltissimo, si fanno prove su prove, però alla fine è molto soddisfacente perché viene fuori il personaggio. C’è un lavoro a tutto tondo, di tutto il cast. C’è un’impronta del regista che rende omogenea la parte attoriale dei cantanti, che va di pari passo con quella musicale.

  • Che cosa deve fare un buon maestro di canto?

Per fare un buon maestro di canto ovviamente ci vuole esperienza, competenza, conoscenza della tecnica, empatia, avere un feeling con il proprio allievo e adattarsi. Non tutti sono uguali, non tutti hanno la percezione dell’errore, della correzione da fare, della tecnica. Non tutti hanno la stessa percezione, quindi per spiegare a una persona un errore (di fiato, di sostegno, di appoggio …) posso farlo in un modo, ma ad un’altra persona devo spiegarlo in maniera differente. L’insegnante deve far capire all’allievo in parole semplici, ma con fermezza, quale è la tecnica giusta e il modo giusto per cantare senza farsi male e, come dicevo prima, avere una lunga carriera.

  • È giusto per un giovane cantante avere dei modelli di riferimento?

È giusto che un giovane cantante abbia dei modelli di riferimento, ma non bisogna imitarli, perché bisogna sviluppare la propria personalità ed è quella che dà l’impronta inconfondibile, singola, del grande artista. Il grande artista come anche nella pittura o nella scultura è riconoscibile. C’è talmente tanta personalità dentro che si riconosce. È riconoscibile, proprio perché è talmente personale e dà del suo che può essere solo lui o lei. Bisogna ascoltare anche dal sinfonico. Sono innamoratissima delle esecuzioni di Rostropovich, trovo che lui faccia cantare il suo violoncello. Si impara anche dal sinfonico, dagli strumentisti, perché spesso anche gli strumentisti imparano da noi cantati a respirare. Infatti Rostropovich respirava mentre suonava il suo violoncello e nelle registrazioni si sente. Bisogna saper ascoltare e saper cogliere da tutto, soprattutto dalle esecuzioni di un certo livello.

  • Cosa si aspetta dalla masterclass che terrà nella tua città, che vanta una grande tradizione operistica?

Dalla Masterclass nella mia città mi aspetto soprattutto ragazzi che hanno voglia di imparare dalle esperienze che io e Alessandro potremmo dare loro. Perché alla fine siamo lì per dare loro la nostra esperienza e aiutarli sia dal punto di vista tecnico, interpretativo, vocale, ma anche dal punto di vista della carriera, perché non è semplice affrontare una carriera. Ci sono momenti di luce e di buio. Bisogna saper affrontare le audizioni, bisogna saper affrontare anche un no a un’audizione, che non deve essere vista come una sconfitta, ma come uno sprone per poter andare avanti. Da una masterclass bisognerebbe avere proprio un’indicazione che vada dalla tecnica alla vocalità, ma anche un’idea di regia anche perché spesso la regia e l’interpretazione vanno di pari passo. Ai ragazzi diciamo “cerca di interpretare il ruolo, pensa allo stato d’animo di questo personaggio, cosa prova in questo momento”. Anche il viso deve essere adeguato a quello che si sta interpretando. Ogni parola ha un suo significato che deve uscire fuori, bisogna scolpire la parola. Ci sono tantissime sfumature, non è solo cantare. Spesso avere una bella voce è l’ultima delle cose che servono per poter fare una carriera. Ci vuole anche tanto altro e noi nel nostro piccolo speriamo di riuscire a lasciare in loro un piccolo seme che possa portarli a sviluppare una carriera o qualcosa che possa soddisfare le loro aspettative.

Alessandro Cammarano

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