DIALOGHI (IM)POSSIBILI #1: Piotr e Sergeij, un Incontro
Alessando Cammarano, critico musicale e storico della musica, ha immaginato per noi di incontrare i due grandi compositori russi protagonisti di questo concerto.
Preambolo
Non è stato facile farli incontrare di nuovo, dopo tanti anni e tanta strada percorsa. Si conoscono, si sono frequentati, in un passato ormai lontano il cui ricordo scolorisce nel tempo.
Nel decidere di porre in atto questa doppia intervista non immaginavo neppure lontanamente la piega che avrebbe preso il tutto; certo, conoscendoli, o meglio conoscendo le loro opere, l’estetica che sta alla loro base, le loro vite avrei ben dovuto supporre che ciò che stavo intraprendendo non sarebbe stata impresa agevole. Alla fine è andata meglio del previsto, anche perché il discorso è andato via via incentrandosi su argomenti ben precisi; una fortuna per me e soprattutto per i lettori.
Dimenticavo, sbadato come sempre, i protagonisti sono Pëtr Il’ič Čajkovskij e Sergej Vasil’evič Rachmaninov
Ecco dunque la trascrizione fedele di questa conversazione.
Ah, per vostra comodità credo sia cortese fornirvi una piccola legenda per facilitare la lettura:
A. – Alessandro Cammarano
C. – Čajkovskij
R. – Rachmaninov
A. Buonasera ad entrambi, sono emozionato e felice di poter incontrare, per giunta insieme, due dei compositori che più hanno segnato il mio percorso musicale. Posso fare le presentazioni?
R. Ci conosciamo già…
A. Ah…inizio con una sensazionale figuraccia…
C. Esatto giovanotto, proprio così. Lei dovrebbe sapere che in passato abbiamo avuto occasione di frequentarci, quando io componevo e Sergej Vasil’evič ancora studiava pianoforte.
R. Verissimo Pëtr Il’ič, come dimenticare le serate in casa di Nicolaij Zverev, il mio professore di pianoforte al Conservatorio di Mosca. Comunque qualcosina avevo già scritto quando fummo presentati.
C. Mi volete dire che già a quell’epoca scrivevate musica?
R. Certamente, Pëtr Il’ič, certamente. All’epoca avevo già composto due poemi sinfonici, qualche canzone e dei pezzi per pianoforte. Mi trasferii a Mosca esattamente per questa ragione; il pianoforte non mi bastava più e a Oneg mi sentivo tarpato.
C. E vostro cugino Alexandr Ziloti, il vostro mentore, vi incoraggiava. Fu lui che caldeggiò la borsa di studio che vi consentì di trasferirvi a Mosca. Cominciaste dunque gli studi di composizione con Arenskij e Taneev, due giganti del Conservatorio, proseguendo quelli di pianoforte con Zverev.
R. Voi eravate già famoso, adoravo la vostra musica, la capacità che avete di mettere in luce grandi interrogativi dichiarando allo stesso tempo l’impossibilità di trovare una risposta.
Ammiravo anche la vostra eleganza; come dimenticare i vostri guanti viola che nessuno tranne voi avrebbe osato indossare.
C. Voi invece eravate piuttosto sciatto; abiti stazzonati…
R. Perché sprecare tempo a vestirmi? Tanto non mi conosceva nessuno. Pensate che molti anni dopo, negli Stati Uniti, quando ero già incredibilmente famoso, mi fecero la stessa osservazione alla quale risposi che non me curavo comunque, tanto mi conoscevano tutti.
A. Signori. Ascoltarvi è un piacere, potrei stare qui per ore, però potremmo concentrarci sulla musica?
C. Ma noi, caro ragazzo, stiamo parlando di musica. Noi siamo musica.
R. Esattamente, e poi abbiamo tanto in comune, davvero tanto.
C. Verissimo. Abbiamo avuto entrambi delle immense figure di riferimento. La mia è Nadedza von Meck, l’unica vera donna della mia vita e, pensate, non ci siamo mai incontrati di persona. A lei devo tutto, tutto. Se non ci fosse stata Nadia probabilmente mi sarei ritrovato in miseria non solo economica, ma anche per quel che riguarda l’ispirazione e la motivazione a comporre. Se ho scritto la mia Quinta Sinfonia, in mi minore, è solo perché la mia benefattrice mi ha ridonato la gioia di comporre. Era il 1888, un anno tutto sommato per me buono, eppure la sinfonia fu accolta male dal pubblico e dalla critica, e furono di nuovo insicurezza e senso di inadeguatezza.
R. Come vi capisco. Dopo l’insuccesso della mia prima sinfonia conobbi la anche io depressione, e che depressione. Se non ci fosse stato il Dottor Nicolaij Dahl, un pioniere della terapia ipnotica, probabilmente avrei fatto un tuffo nella Moscova. Invece no, Dahl mi ha riportato in vita, mi ha restituito la voglia di comporre. Non potevo non dedicare a lui il mio Secondo concerto per pianoforte.
A. Che grandi pagine.
C. Se non ha nulla di più intelligente da dire, allora ci lasci ricordare in pace i nostri successi.
A. Chiedo scusa Maestri, è che l’emozione di avervi qui…
R. Dice bene Pëtr Il’ič; limitatevi ad ascoltare, che è meglio per tutti. Si parlava della vostra Quinta, caro amico, in essa si sente davvero un moto di rinascita; come potè la critica non avvertire le novità che essa contiene?
C. Forse le comprese, Sergej Vasil’evič, forse le comprese e non le gradì. Eppure vi ritornano in qualche modo i motivi formali della Quarta, che poi saranno anche nella Sesta; non capisco, davvero come non poterono cogliere il ritorno del medesimo tema in tutti e quattro i movimenti, il senso di impotenza dinanzi al destino che era anche nel Lago dei cigni e non solo lì. In questa sinfonia più che nelle altre c’è davvero tutto me stesso. Al pubblico non dispiacque, anche se ebbi il sospetto che gli applausi fossero di cortesia.
La scrissi quasi di getto, tanto che a volte ancora penso che avrei potuto elaborare il Finale con maggiore accuratezza, ma oramai è fatta.
R. Credetemi Pëtr Il’ič, la vostra Quinta è un capolavoro di introspezione; basterebbe l’esposizione del tema esposto dal clarinetto nell’Andante che apre il primo movimento, per non parlare del corno nel secondo, quell’Andante Cantabile tripartito. Tutto è limpido, puro, mai manierato, sincero fino in fondo.
C. Vi ringrazio Sergej Vasil’evič, siete troppo buono, e il successo che avete avuto lo meritate tutto. Resto dell’idea che nella Quinta avrei dovuto fare di più, ma ero felice, soddisfatto di me stesso, spronato dalla mia benefattrice. Ho sempre scritto per il pubblico, ma questa sinfonia l’ho composta per me, per lei. Eppure non sento di aver tradito la mia visione del mondo, l’ineluttabilità del destino e la necessità di arrendersi serenamente ad esso è ben presente. Perché non l’hanno capita? I critici sono cattivi, cattivi.
A. Maestro, io la trovo magnifica, il pathos trattenuto, proposto per accenni, il tema ricorrente ma non incombente me la rendono particolarmente cara.
C. Bene, ne sono lieto. Forse, alla fine, è meno sprovveduto di quanto non sembri.
A. Bontà sua Maestro.
C. Bah! Venendo a voi, Sergej Vasil’evič, tornismo un po’ sul vostro Secondo Concerto per pianoforte? Raccontatemi come andò.
R. Volentieri Pëtr Il’ič, non vi nascondo che parlare di me non mi dispiace affatto. Dunque; uscivo da un periodo di grande prostrazione psichica, all’epoca si diceva così, dalla quale uscii, come vi raccontavo prima, grazie all’aiuto del dottor Dahl, che Dio lo abbia in gloria. Dovevo scrivere qualcosa per me, solo per me. Converrete sul fatto che non sono un cattivo pianista, quindi decisi per un Concerto al limite dell’ineseguibile, un po’ come faceva Paganini, per intenderci, e mio cugino Ziloti mi incoraggio in questo senso. Mi piace tanto, tantissimo il mio Secondo per pianoforte, credo sia fra le mie composizioni che più mi rappresentano.
C. Verissimo; è così pieno di sentimento che quasi quasi vorrei averlo scritto io.
R. Grazie, caro amico, mi confondete; ma torniamo al mio Concerto. Trovo che l’idea degli accordi del pianoforte ad introdurre il primo tema sia decisamente azzeccata; certo, ho relegato l’orchestra a farmi da accompagnamento ma, ribadisco, il pezzo l’ho scritto per mee per i pianisti bravi a venire. Comunque anche l’orchestra alla fine ha il suo bel da fare; agli archi spetta un bel lavoraccio. Nel secondo movimento ho lasciato più briglia all’orchestra e credo che clarinetto e flauto trovino degli spunti di conversazione decisamente interessanti con me, pardon, con il pianoforte. Adoro il Finale che ho composto, degno di quanto lo precede: un trionfo.
C. Siete stato ispirato e insieme fortunato. Il Secondo concerto, come i miei balletti del resto, lo conoscono tutti; siete finito anche al cinema.
R. Per pudore mi sarei astenuto dal raccontarlo, ma visto che avete iniziato voi…
Ebbene, l’aver “mandato in pezzi” Marylin Monroe una certa qual soddisfazione me la dà. Chi ha pensato al mio Secondo Concerto per sedurre una donna, e che donna, è un genio, un vero genio. Non è da tutti comprendere quanta sensualità ci sia nel Primo movimento, ma Billy Wilder sì; da allora “good old Rachmaninov” è diventato parte di me.
C. Io mi devo accontentare di “The black swan”, dove il mio balletto più grande fa da sfondo alle vicende poco edificanti di una psicopatica. Almeno l’attrice ci ha vinto l’Oscar.
R. Guai della fama, amico.
A. Posso interrompervi?
C. e R. Se proprio deve…
A. No, è che starei ad ascoltarvi per ore ma ho un treno che parte…
R. Vada pure, giovanotto, in fondo la sua doppia intervista l’ha avuta e, tra parentesi, non si è nemmeno dovuto impegnare a farci delle domande. Ci lasci qui, a parlare delle nostre cose.
C. Ecco, sì, ci lasci qui. Noi due insieme si sta benissimo e abbiamo tanto da raccontarci. Voglio sapere tutto degli Stati Uniti, del cinema, dei salotti di New York…
Li ho lasciati lì, seduti al tavolo del caffè dove ci eravamo dati appuntamento, imbruniva e una nebbiolina fastidiosa iniziava a salire, coprendo di un velo umido le sagome dei passanti. Mi sono girato, un’ultima volta, li ho guardati, felice di essere stato maltrattato, non del tutto a torto da due grandi.
Alessandro Cammarano
Dal programma di sala del Concerto del 21 ottobre 2017 della Sinfonica Promusica XIV Edizione – Fondanzione Pistoiese Promusica
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