Dijon: La finta pazza opera femminista

Squadra che vince non si cambia e, a sei anni dal recupero al Festival di Aix-en-Provence dell’Elena di Francesco Cavalli, il team Leonardo García Alarcón, direttore d’orchestra, e Jean-Yves Ruf , regista, si ricostituisce per riportare alla luce in Francia un altro capolavoro del barocco musicale italiano dimenticato: La finta pazza di Francesco Sacrati (1605-1650).

L’Opéra di Digione, istituzione musicale molto dinamica della provincia francese ne accoglie la prima esecuzione in tempi moderni nella bella sala del Grand Théâtre.

La partitura di Sacrati, la sola di questo autore che ci sia pervenuta, ma anche il libretto di Giulio Strozzi contengono in quasi tre ore di musica parecchie novità. La presenza in scena di una delle prime autentiche primedonne d’opera, a Venezia nel 1641, la celeberrima Anna Renzi impegnata in una delle prime scene di follia create per il palcoscenico.

Non solo, La finta pazza può essere definita la prima opera femminista, la protagonista Deidamia è una donna indipendente, prende il proprio destino fra le mani e gestisce fingendosi pazza la sua delicata situazione coniugale.

A quattro anni dalla prima veneziana La finta pazza di Sacrati fu anche una delle prime opere rappresentate in Francia e lungo tutto il diciassettesimo secolo riportò un vivo successo prima di cadere nell’oblio da cui l’ha tolta il ritrovamento della partitura originale nel 1983. Sacrati fu autore molto stimato dai contemporanei, soprattutto del principe Mattia de’ Medici. La finta pazza è il suo primo dramma noto, dato a Venezia il 14 gennaio 1641 in occasione dell’inaugurazione del Teatro Novissimo e successivamente ripreso più volte. Alcune parti della musica mostrano analogie sorprendenti con L’incoronazione di Poppea, tradizionalmente attribuita a Monteverdi, ciò che ha spinto alcuni studiosi a ipotizzare che Sacrati abbia avuto un ruolo nel comporre la versione dell’opera a noi giunta.

La vicenda è intricata e si svolge sull’isola di Sciro dove la dea Teti ha nascosto il figlio Achille dopo aver appreso da un oracolo che egli sarebbe morto durante la guerra di Troia. Travestito da donna Achille ama segretamente la figlia del re Licomede, Deidamia e dalla loro unione nasce un bambino, Pirro. Giunone e Minerva, cui sta a cuore l’esito a favore dei greci della guerra di Troia, convincono Teti a lasciar partire Achille che si fa a sua volta convincere ad abbandonare il suo rifugio dorato da Ulisse e Diomede, a sua volta innamorato di Deidamia.

Ecco che la principessa sentendosi abbandonata decide di fingersi pazza in modo da ottenere da Achille il matrimonio riparatore e il riconoscimento del figlio. Li avrà entrambi prima che il Pelide prenda la via del mare per raggiungere e sconfiggere Troia.

Il personaggio centrale di Deidamia offre al soprano Mariana Flores di mettere in evidenza una vocalità agile e un timbro pregevole oltre che notevoli doti di attrice in grado di restituire tutte le sfaccettature del personaggio, passione, sensualità, disperazione e determinazione senza perdere un colpo e anzi crescendo nel corso della rappresentazione.

L’Achille del controtenore Filippo Mineccia è degno partner ed è perfettamente a suo agio nel passare dai languori della prima parte, in cui il personaggio si presenta en travesti all’eroismo del finale, in cui l’eroe greco riprende possesso della propria identità.

Un altro controtenore italiano, Carlo Vistoli disegna a puntino il ritratto dello scaltro Ulisse mentre Diomede trova in Valerio Contaldo un interprete altrettanto convincente. Gli altri sono Salvo Vitale, basso, Alejandro Meerapfel, baritono, cui spetta il personaggio regale di Licomede. I ruoli buffi e i loro interventi che alleggeriscono la trama e provocano l’ilarità del folto pubblico che gremisce la sala sono interpretati dal controtenore polacco Kacper Szelążek, l’Eunuco, e dal tenore olandese Marcel Beekman, Nodrice.

Apprezzabili anche Julie Roset (Aurora/Giunone), Fiona McGown (Teti/la Vittoria) e Norma Nahoun (la Fama/Minerva) pur nella brevità delle loro partecipazioni come pure l’interprete di Vulcano/Giove ossia il basso Scott Conner, dalla profonda vocalità.

In buca, la Cappella Mediterranea in formazione ridotta dischiude i tesori della partitura recuperata e i colori sgargianti si alternano a momenti più meditativi facendo blocco con il palcoscenico. La direzione di Leonardo García Alarcón è a sua volta impeccabile.

Jean-Yves Ruf firma uno spettacolo agile, fresco, dinamico, a suo modo elegante che strizza l’occhio al macchinario barocco immaginato da Giacomo Torelli per la creazione veneziana e si avvale delle collaborazioni di Laure Pichat per le scene magnificamente illuminate da Christian Dubet.

I costumi di Claudia Jenatsch sono nel segno dell’armonia visuale che è un po’ la cifra di uno spettacolo molto applaudito a Digione e in scena prossimamente anche all’Opéra Royal del Castello di Versailles.

Rino Alessi
(10 febbraio 2019)

La locandina

Direttore Leonardo García Alarcón
Regia Jean-Yves Ruf
Scene Laure Pichat
Costumi Claudia Jenatsch
Luci Christian Dubet
Personaggi e interpreti:
Deidamia Mariana Flores
Achille Filippo Mineccia
Ulisse Carlo Vistoli
Diomede Valerio Contaldo
Licomede Alejandro Meerapfel
Eunuco Kacper Szelążek
Nodrice Marcel Beekman
Capitano Salvo Vitale
Aurora | Giunone Julie Roset
Tetide | Vittoria Fiona Mcgown
Vulcano | Giove Scott Conner
Fama | Minerva Norma Nahoun
Donzella 1 Aurelie Marjot
Donzella 2 Anna Piroli
Donzella 3 Sarah Hauss
Pirro Ruben Ruf
Orchestra e Coro dell’Opera di Dijon

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