Una nuova vita per il Pinocchio di Collodi all’Opera di Dijon

Quello che più stupisce dell’attività, sempre più seguita a livello internazionale, dell’Opéra di Dijon è l’imponenza della sua sala principale, l’Auditorium / sala di spettacolo capace di oltre milleseicento posti. Inaugurato nel 1998 affianca nelle stagioni digionesi il Grand Théâtre ottocentesco situato in prossimità del Palazzo dei duchi di Borgogna.

Ideato dal gabinetto d’architettura Arquitectonica e Bougeault Walgenwitz, l’Auditorium di Dijon è, acusticamente, all’avanguardia fra le grandi sale europeee. Dopo la fusione della regione Borgogna con la Franche-Comté, è l’unico a occuparsi di produzione lirica e più in generale musicale in queste regioni della Francia centrale. Ogni anno, in media, l’Opéra di Dijon accoglie più di cinquantamila spettatori di cui il venti per cento provenienti da altre regioni del Paese o dall’estero, in particolare dalla Svizzera.

Altro motivo di stupore, la qualità della proposta artistica che il Direttore Laurent Joyeux, giovane e in carica da una decina d’anni, concepisce come un viaggio che conduce il pubblico ai confini delle proprie emozioni, delle proprie conoscenze, dei propri sentimenti. Quest’anno si svaria dal “Pygmalion” di Rameau proposto da Emmanuelle Haïm, a “El Prometeo” di Draghi con la Cappella Mediterranea e Leonardo Garcia Alarcon passando per “Les Contes d’Hoffmann” di Offenbach in un nuovo allestimento destinato a stupire, al Verdi della maturità di “Simon Boccanegra” diretto da Roberto Rizzi Brignoli con Vittorio Vitelli e Gianluca Terranova: solo per enumerare le proposte di teatro musicale.

Anche l’inaugurazione, molto festeggiata, non è stata banale. Dijon ha ripresentato per tre serate “Pinocchio” commissionata a Joël Pommerat, autore del libretto evidentemente ispirato a Collodi, e Philippe Boesmans, autore della musica. Alla coppia cioè che ad Aix aveva ottenuto un successo particolarissimo con “Au monde”.

Successo, hanno riscontrato le critiche dopo la prima di Aix, che non si era ripetuto l’estate scorsa al Grand Théâtre de Provence, ma che il pubblico di Dijon ha ribaltato l’altra sera in una situazione acustica e visiva migliori. Tutto fa sperare che, dopo Dijon, “Pinocchio” possa continuare a vele spiegate il suo tour negli altri due teatri coproduttori: la Monnaie di Bruxelles e l’Opéra National di Bordeaux.

Lo spettacolo è, in effetti, accattivante. Come se fosse un film in bianco e nero di Fellini in cui i confini tra reale e immaginario sono labili, Joël Pommerat situa il suo Pinocchio nei quartieri poveri di un’Italia, immaginaria più che reale, del diciannovesimo secolo. In ventitré scene, brevi e ben distinte l’una dall’altra, le delusioni e le disavventure del ragazzo di legno si susseguono incessantemente ma senza sopraffare e producono un buon ritmo e una bella energia.

La regia, dello stesso Pommerat è semplice ma ingegnosa e trova bel risalto nel disegno luci di Eric Soyer, autore anche delle scarne scene, arricchita dai video di Renaud Rubiano. I costumi sono firmati da Isabelle Deffin.

Se il fondo del testo è amaro, la musica di Boesmans perfettamente consonante è in grado di ribaltare la situazione. Affidata a diciannove musicisti del Klangforum Wien cita con sapienza le fonti più disparate, dalla musica zigana in cui è coinvolta la fisarmonica a quella tanto bistrattata di Ambroise Thomas. La piccola orchestra, sotto la direzione di Emilio Pomarico, rivela le finezze di una partitura in cui sono in particolare risalto i contrabbassi (e la cosa ha una sua logica, visto il clima cupo del tutto), ma anche i fiati e le percussioni. Un po’ di Debussy un po’ di Berg, la partitura di Philippe Boesmans stupisce per immediatezza e semplicità: il “ritornello”, così l’autore lo definisce, è esposto già nei primi minuti d’azione e ha un effetto destrutturante, ma aiuta il pubblico a ritrovarsi nella pièce.

Quanto agli interpreti, i sei solisti si dividono tutti i personaggi che Pommerat deriva da Collodi e lo fanno con onore. Chloé Briot, soprano, è il ragazzo, ossia Pinocchio, “en travesti”. Lo è con grande naturalezza e con una voce quasi irreale tanto è sottile e quasi bianca, adatta quindi a rapprentare la creatura di legno. Vincent Le Texier è, fra gli altri, Geppetto con efficacia scenica e bella espressività vocale. Julie Boulianne, canadese, è molto centrata nel suo intervento al cabaret. Marie-Eve Munger è la Fata. Stéphane Degout è un mostro di eclettismo nel passare da un personaggio all’altro, oltre che il baritono di bel timbro che da sempre apprezziamo. Ed è un piacere ritrovare in ruoli di carattere un tenore raffinato come Yann Beuron, più volte ammirato come primo tenore.

Insomma, una bella serata di musica contemporanea che ha bene inaugurato la stagione dell’Opéra di Dijon.

Rino Alessi

La locandina

Libretto Joël Pommerat, basato sul racconto di Carlo Collodi
Musica Philippe Boesmans
Klangforum Wien
Direttore Emilio Pomarico
Costumi Isabelle Deffin
Un troupe director | un truffatore | un omicida Stéphane Degout
Un padre | un omicida| un insegnante Vincent le Texier
Un pupazzo Chloé Briot
Un direttore di cabaret | un giudice | un truffatore | un omicida | un mercante di scimmie  Yann Beuron
Un cattivo studente | un cantante di cabaret Julie Boulianne
Una fata Marie-ève Munger
Musicisti di palco
Violino zingaro Tcha Limberger
Sassofono | coordinatore dell’improvvisazione Fabrizio Cassol
Accordeon Philippe Thuriot

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