Dobbiaco: Debargue e il gioco delle sottrazioni
Ci sono artisti che sfuggono a qualsiasi categorizzazione, caratterizzandosi per l’assoluta libertà di approccio – estetico ed esecutivo – alla pagina: Lucas Debargue rientra pienamente tra questi, ponendosi tra i pianisti più interessanti della sua generazione.
È comunque bene intendersi: Debargue non è uno showman o un propugnatore del “facciamolo strano”; al contrario è un ricercatore appassionato della forma che diviene sostanza attraverso un lavoro che procede sempre e comunque per sottrazione e la cui ricchezza sta appunto nell’essenzialità.
Tutto ciò è risultato plasticamente evidente nel suo concerto dello scorso 15 luglio alle Settimane Musicali Gustav Mahler di Dobbiaco, a far principio dall’impaginato che il pianista francese ha concepito in forma simmetrica nelle due parti accostando tre compositori – Fauré, Beethoven e Chopin – i quali a prima vista non sembrano avere tra loro elementi comuni e che sono qui accumunati dalle tonalità delle pagine scelte ed eseguite senza soluzione di continuità in un unico flusso rapsodico.
Scelta apparentemente azzardata ma alla fine ben più che condivisibile.
Di Fauré Debargue è interprete raffinato – di recente ne ha registrato l’integrale per pianoforte – e lo si intuisce fin dal primo dei nove Préludes op. 103, composti tra il 1910 e il 1911, epigoni di un romanticismo ormai languente eppure capace di esprimersi con autorevolezza.
La chiave di lettura proposta si incardina su un fraseggio cristallino sul quale viene tessuta una tela melodica riccamente ornata eppure di estrema essenzialità.
Un vero sovvertimento rispetto alla prassi comune avviene nella Sonata n. 27 op. 90 di Beethoven, nella quale Debargue profonde un’urgenza ritmica che la rende all’ascolto in una costante tensione sonora, quasi a non voler concedere all’ascoltatore il tempo di riflettere e travolgendolo in un’esperienza che non può lasciare indifferenti.
Sulla stessa linea l’approccio allo Scherzo n. 4 op 54 di Chopin: qui la fuffa romanticheggiante cara ad un certo pianismo che fa della mielosità il suo punto di vanto, cede il passo ad una lettura scabra, a tratti spigolosa, convincentemente acuta nei colori.
La seconda parte della serata si apre con il Tema e variazioni op. 73 di Fauré e ancora una volta Debargue sceglie di percorrere la via dell’introspezione attraverso un racconto dal fraseggio mai men che misurato.
Di tutt’altro carattere la Mondschein che viene affrontata con dinamiche travolgenti già dall’Adagio sostenuto iniziale per stemperarsi appena un po’ nell’Allegretto che segue, riacquistando un vigore dionisiaco nel Presto agitato che chiude la composizione.
La presa di suono è possente e l’uso parco del pedale assicura un nitore assoluto.
In conclusione la Ballata n. 3 op. 47 la cui morbida narratività si espande, nell’esecuzione di Debargue, attraverso lucori maliosi alternati a momenti di intensa meditazione.
Successo ben più che caloroso, che il pianista ripaga con due bis entrambi all’insegna di Fauré: “Après un rêve” e “Cantique de Jean Racine”, entrambi in una sua trascrizione per pianoforte.
Alessandro Cammarano
(15 luglio 2024)
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