Con il Don Carlo di Giuseppe Verdi, nella versione in italiano e in 4 atti, si è concluso il Festival d’Autunno del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, evento che ha coinciso anche con la riapertura della Sala Grande del teatro, dopo importanti lavori di completamento che ora permettono un utilizzo moderno e funzionale del palcoscenico. Il titolo verdiano conclude anche quella che è stata definita “trilogia spagnola” : nel corso del Festival, infatti, sono state messe in scena, fra le opere verdiane, anche Il Trovatore ed Ernani (con l’inserto di Alcina di Händel). Ebbene, ancora una volta la prima cosa che risalta è che ha vinto Verdi con la sua musica, ben valorizzato dal direttore, il maestro Daniele Gatti, che ne ha fatto una approfondita analisi sia musicale sia psicologica, restituendo – grazie anche a due compagini fuoriclasse che ha avuto a disposizione, l’Orchestra e il Coro del Maggio, quest’ultimo diretto dal sempre ottimo Lorenzo Fratini – un “grand-opéra” come il Don Carlo in maniera assolutamente verdiana.
Questo capolavoro peraltro presenta nella partitura difficoltà oggettive nel passaggio dalla versione francese a quella italiana. La prima versione era composta su libretto (ovviamente in francese), ispirato alla tragedia di Friedrich Schiller, scritto da François-Joseph Méry e Camille du Locle e tradotto poi in italiano da Achille de Lauzières e Angelo Zanardini per la versione che anche a Firenze è stata allestita ( per la quinta volta, dal 1956, in quattro atti). Le caratteristiche prosodiche della lingua francese e il suo colore hanno ovviamente una notevole ricaduta sul rivestimento musicale, soprattutto quando a farlo era Verdi, compositore attentissimo al ritmo della parola. Nella traduzione in italiano, giocoforza, molte delle caratteristiche musicali ispirate dalla lingua francese, si perdono, così come, d’altro canto, si può comprendere una scrittura vocale meno belcantistica di quella all’italiana. Quello che resta, però, e che un bravo direttore come Gatti è riuscito a restituire, sono l’atmosfera e la drammaticità. Gatti ha scavato nella psiche dei personaggi, facendo percepire le loro contraddizioni, la loro continua sofferenza interiore, nonostante il loro potere.
Il maestro è riuscito a guidare perfettamente la musica sulla scena e fuori scena e a valorizzare il più possibile il cast che aveva a disposizione. Ma. Nella prima parte pareva che ci fosse ancora un po’ di insicurezza nei cantanti, che in alcuni casi non parevano nemmeno all’altezza del ruolo, eccetto Francesco Meli (Don Carlo) e Roman Burdenko (Rodrigo).
Tutto è migliorato a partire dalla seconda parte e così è stato possibile apprezzare soprattutto Eleonora Buratto (Elisabetta di Valois), meglio anche Ekaterina Semenchuk (la Principessa Eboli), che però è stata sempre al di sotto delle aspettative, considerando le eccellenti doti che aveva rivelato come Azucena nel recente Trovatore. Si è un po’ rivalutato anche Mikhail Petrenko (Fiilippo II). Molto bravi anche Alexander Vinogradov (Il Grande Inquisitore), Evgeny Stavinskiy (un frate), Joseph Dahdah (araldo reale) e Benedetta Torre (la voce dal cielo).
Come conclusione della trilogia spagnola, tutta segnata da letture registiche grigie, quest’ultima è diventata addirittura nera, come lo stesso regista, Roberto Andò, aveva preannunciato, dicendo: “L’opera è ‘nera’: Verdi ci propone un pessimismo tragico nelle relazioni che circondano il potere. In quest’opera Verdi esalta quel realismo psicologico in un modo straordinario, con una ricchezza di sfumature davvero impressionante: ognuno dei personaggi è sospeso, nel misterioso rapporto fra storia ed intimità, dentro il ‘cerchio nero’ rappresentato dal potere”. E il buio è stata la cifra stilistica per rendere il nero. Le sfumature citate, in realtà, non sono state molto esaltate, forse per le luci curate da Gianni Carluccio, con pochi cambi, o i costumi di Nanà Cecchi, anch’essi di effetto scuro “monocorde”. Bello lo stile a volte surrealista delle scene (anch’esse curate da Carluccio) e l’uso del dispositivo multifunzionale che da chiostro diventa via via giardino, palazzo reale, cattedrale e prigione, sebbene rimanga il “troppo nero’, senza, appunto, sfumature, nemmeno nell’iniziale coro festoso delle fanciulle della corte di Elisabetta. Bene anche il reparto video di Luca Scarzella. Serata importante per il Maggio, che ha avuto anche la presenza del Sottosegretario Sgarbi in rappresentanza del Ministro Sangiuliano, assente perché impegnato con le attuali sedute per la finanziaria. Tanto pubblico, anche tanti giovani. Un bel successo.
Donatella Righini
(27 dicembre 2022)
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