Firenze: i suoni della Belle-Époque, tra romanticismo e progresso
Non è facile, in questi giorni bui, solo poter immaginare lo scenario luminoso vissuto negli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento quando una fiducia collettiva verso il futuro, come progresso sociale, tecnologico ed economico, attraversava come un’energetica scossa elettrica l’Europa. La Belle-Époque, un periodo breve (che però stava covando i presagi della Grande Guerra) ma vitalissimo anche sul piano artistico dove in una prospettiva, che oggi definiremmo multidisciplinare e trasversale univa musica, letteratura e arti visive: la modernità.
L’Orchestra della Toscana diretta da Andrea Battistoni ci offre una ricca testimonianza su repertori del periodo. Alfredo Casella, Giuseppe Martucci, Igor Stravinskij, Sergej Rachmaninov, tutte sfaccettature di uno stesso disegno di rinnovamento. Sull’onda di un declino tardo-romantico che ancora lascia sedimenti profondi questi repertori ci dicono come lo sguardo modernista su linguaggi e forme musicali risenta ancora di spinte nazionaliste e neoclassiche rimanendo in un via di mezzo che solo la seconda scuola di Vienna spazzerà via in modo radicale.
In questo scenario il Casella di Divertimento per Fulvia op.64 (1940) è tra le proposte più emblematiche. Dedicato alla figlia all’interno dell’opera la Camera dei disegni per un balletto di ispirazione infantile, il lavoro possiede come una doppia veste. Quella esterna, piacevolissima, elegante, leggera, fatta di piroette, marcette, sberleffi, ma anche di ardite dissonanze diluite in una scrittura brillante, in un equilibrio formale che offre ai fiati un ruolo decisivo. Ma Casella sembra anche dirci che il gioco è una cosa seria; che la questione centrale è il linguaggio, un linguaggio moderno ma riconoscibile, una specie di via italiana al neoclassicismo. E allora dietro colori e ritmi del Divertimento si percepisce anche l’ombra di una tensione verso il nuovo (Casella fu molto affascinato da Schönberg) costantemente in collisione con contraddizioni culturali.
Rachmaninov scrive la Rapsodia su un tema di Paganini per pianoforte e orchestra nel 1934. Una avventurosa scommessa verso uno dei famosi Capricci, per l’esattezza il ventiquattresimo, del maestro genovese che dall’estremizzazione della ricerca tecnica fa sbocciare geniali novità timbriche, ritmiche ed armoniche (siamo nel 1818). Il compositore, pianista e direttore d’orchestra russo trascina questo tema classico sia verso la modernità, tra fraseggi e colori, nella scelta di svelare il tema dopo la sua variazione, ma anche indietro nel tempo con una reminiscenza medioevale del Dies Irae (citata nelle variazioni n.10 e n. 24).
L’esecuzione di Vadym Kholodenko risulta tecnicamente impeccabile, ma il virtuosismo distoglie il pianista ucraino dall’approfondimento di aspetti dell’opera che non sono proprio sfumature. Forse tra le pagine della Rapsodia c’è anche il fantasma dell’ultimo romantico, la sua seduzione comunicativa, la densità espressiva sviluppata in un gesto melodico spesso retorico ma coinvolgente (che lo avvicinerà al gusto hollywoodiano). Battistoni e l’Orchestra della Toscana, concentratissimi, garantiscono tra le pieghe degli aspetti ritmici e coloristici, in un suono misurato e brillante, uno sviluppo emotivo di notevole pregio.
Si rimane sempre piacevolmente sorpresi quando ci avviciniamo al Notturno n.1 (Op.70) di Martucci scritto nel 1888. Sorpresa suscitata da una specie di ambivalenza percettiva. Da un lato ne subiamo il fascino, l’eleganza intima, l’ombrosa profondità incantata; dall’altro abbiamo anche la consapevolezza che come poche altre opere questa rappresenti la fine di un’epoca. Allora l’amabile nostalgia del compositore come testimonianza tardo romantica, non può che piacerci, anzi ci pare che questa arricchisca, non condizioni, il contesto poetico d’insieme. Qui Battistoni si supera. Senza bacchetta scolpisce nello spazio, con gesto coinvolgente, forme e panorami sonori che l’orchestra fa propri, vi entra e interpreta con una sublime capacità nel suono d’insieme.
La scelta di chiudere un concerto dedicato all’avvicinamento alla modernità con Stravinskij e il suo celebre Uccello di fuoco non fa una grinza. Certo è che tutto quello che abbiamo ascoltato prima viene come congelato, ridimensionato, la scintillante visionarietà creativa del compositore russo apre un mondo nuovo, tutto il resto sa di naftalina. Sapere poi che questa opera per balletto, che debutta con grande successo all’Opéra di Parigi nel 1910, fu scritta da un ventisettenne quasi sconosciuto ci entusiasma ancora di più. La dimensione leggendaria del soggetto fiabesco, l’elemento folclorico, lo stravagante esotismo, il virtuosismo orchestrale diluito in un prorompente colorismo strumentale, ci travolgono ancora. Travolgono anche l’Orchestra della Toscana che Battistoni accompagna in un viaggio unico tra ritmi energetici e arditezze armoniche. Voilà, la modernità è servita.
Paolo Carradori
(6 aprile 2022)
La locandina
Direttore | Andrea Battistoni |
Pianoforte | Vadym Kholodenko |
Programma: | |
Alfredo Casella | |
Divertimento per Fulvia op.64 | |
Sergej Rachmaninov | |
Rapsodia su un tema di Paganini per pianoforte e orchestra op.43 | |
Giuseppe Martucci | |
Notturno | |
Igor Stravinskij | |
L’uccello di fuoco, suite dal balletto, versione per orchestra 1945 |
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