Firenze: il ritorno di Ulisse alla Pergola
Se l’Orfeo nasceva per la corte – segnatamente quella dei Gonzaga – il Ritorno di Ulisse in patria e la successiva Incoronazione di Poppea, restringendo il discorso alle uniche tre opere del catalogo monterverdiano arrivate sino ad oggi nella loro interezza, sono concepite per il teatro, ovvero per una fruizione allargata e replicata.
Giunto a Venezia da Mantova nel 1613 con l’incarico di maestro di cappella della basilica di San Marco Monteverdi cattura immediatamente lo spirito della città lagunare imponendo allo stesso tempo la sua visione anche in ambiente teatrale non solo dal punto di vista artistico ed estetico ma anche per quanto attiene alla comprensione immediata della realtà, politica e organizzativa, e delle forze in campo che regolavano le rappresentazioni nella Serenissima.
La novità dell’Ulisse – andato in scena nel 1640 al teatro di San Cassiano – sta nel nuovo rapporto che nel libretto di Giacomo Badoaro si instaura tra uomini e divinità. Se fino ad allora gli dei erano apparsi come entità presenti ma del tutto autonome nel loro governare le sorti degli umani, qui si assiste invece ad un’umanizzazione della divinità che si concretizza in scambi quasi affettuosi e una partecipazione alle vicende dei mortali.
Robert Carsen – insieme al drammaturgo Ian Burton – mostra ancora una volta la sua capacità di totale comprensione del testo, inteso nella sua interezza di “logos” e “melos”, e della sua conseguente resa.
Grazie alla scene di Radu Boruzescu, che mette sul palco la stessa Pergola in un’operazione che va oltre la specularità, l’azione si dipana sotto lo sguardo vigile e finalmente umanissimo degli dei vestiti in abiti secenteschi e rigorosamente rosso veneziano – i costumi sono di Luis Carvahlo – che osservano dai palchi del teatro-specchio le vicende degli uomini, in abiti moderni, nelle quali anche il pubblico finisce per essere coinvolto, il tutto in una sorta di liturgia laica ove ogni gesto diviene denso e pregnante mantenendo però la leggerezza della commedia.
Regia geniale, grazie anche ai movimenti di cantanti e mimi – bravissimi – calibrati al millimetro con la musica.
Perfette le schermaglie amorose di Eurimaco e Melanto, incantevole il ritorno per mare di Telemaco, intenso l’ingresso di Ulisse come se si trattasse del funerale di un eroe, magnifiche le foglie sparse a richiamare la campagna e le vigne di Itaca, supergodibili le schermaglie degli dei, ancor più gustose se si conosce un po’ di mitologia, come perfette le caratterizzazioni dei tamarrissimi pretendenti di Penelope. Da togliere il fiato la strage dei Proci realizzata in slow-motion con Minerva a guidare le frecce vendicatrici e bella da lacrime l’agnizione finale degli sposi che trovano pace sul letto nuziale divinamente rosso e circondati dagli dei che nascondono la loro riconquistata intimità.
In perfetta sintonia con l’idea di Carsen la lettura di Ottavio Dantone – con lui la sempre impeccabile Accademia Bizantina – che conferisce alla narrazione una leggerezza tanto inedita quanto affabulante. Il suo è un Ulisse in filigrana, fatto di ammiccamenti dinamici, coinvolgente nel ritmo e, sì, divertente nel vero senso della parola.
Con lui una compagnia di canto superba a cominciare dall’inossidabile Charles Workman a disegnare un Ulisse umanissimo e nobile attraverso un fraseggio di impareggiabile incisività.
Delphine Galou è, finalmente, Penelope tutt’altro che lamentosa e Anicio Zorzi Giustiniani dà vita ad un Telemaco di raffinata musicalità.
Da incorniciare l’Eumete di Mark Milhofer al quale non è secondo l’Iro di John Daszak così come assai bravi sono Andrea Patucelli (Antinoo), Pierre-Antoine Chaumien (Anfinomo), Hugo Hymas (Eurimaco) e James Hall (Pisandro). Bene fa anche Natascha Petrinsky come Euriclea.
Tra gli dei primeggia la Minerva ultrice di Arianna Vendittelli, alla quale non sono secondi Marina De Liso in veste di Giunone, Gianluca Margheri (Giove) e Guido Loconsolo (Nettuno).
Molto bene nel Prologo Francesco Milanese (Il Tempo) e Francesca Bellocci (La Fortuna), mentre il controtenore Konstantin Derri (Amore) è bravino ma incomprensibile.
Ci sono spettacoli riusciti, altri bellissimi, altri ancora tali da suscitare la voglia di rivederli daccapo non appena terminati: questo Ritorno di Ulisse in patria appartiene senza dubbio a quelli che si rivedrebbero immediatamente.
Alessandro Cammarano
(3 luglio 2021)
La locandina
Direttore | Ottavio Dantone |
Regia | Robert Carsen |
Scene | Radu Boruzescu |
Luci | Peter van Praet e Robert Carsen |
Costumi | Luis Carvalho |
Drammaturgia | Ian Burton |
Personaggi e interpreti: | |
Ulisse | Charles Workman |
Telemaco | Anicio Zorzi Giustiniani |
Penelope | Delphine Galou |
Iro | John Daszak |
Il Tempo | Francesco Milanese |
Giunone | Marina De Liso |
La Fortuna | Eleonora Bellocci |
Giove | Gianluca Margheri |
Nettuno | Guido Loconsolo |
Minerva | Arianna Vendittelli |
Amore | Konstantin Derri |
Antinoo | Andrea Patucelli |
Anfinomo | Pierre-Antoine Chaumien |
Pisandro | James Hall |
Melanto | Miriam Albano |
Eurimaco | Hugo Hymas |
Eumete | Mark Milhofer |
Ericlea | Natascha Petrinsky |
Accademia Bizantina |
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