Folk Cello: Giovanni Sollima strega Mittelfest
Giovanni Sollima, il suo Ruggeri del 1679 e archetti. Con questo bagaglio, tra contenenti e contenuti, si è intrapreso per Mittelfest 2020 un viaggio tra le radici musicali del mondo, per percorsi tra altitudini e latitudini diverse che si incontrano in una fonte ispiratrice comune. Geografie e musica, dai canti aborigeni alle sue scritture, il rabdomante del violoncello ha fatto emergere in un recital mistico le magie e le fascinazioni del patrimonio popolare di varia estrazione. Da brani di tradizione armena, alle danze barocche, al folklore di Spagna, ai tradizionali albanesi e salentini, dove non può mancare l’improvvisazione e tutti quegli elementi propri del suonare spontaneo che arricchiscono con plurime stratificazioni d’invettiva un patrimonio non stereotipato, spesso sconosciuto, comunque mobile, in continuo cambiamento, non classificato.
Giovanni Sollima questo tesoro riscoperto lo ha messo vicino e ne ha fatto saggio di radice comune. Come scrive Komitas Vardapet, monaco compositore nato in Anatolia nel 1869 di cui ha eseguito in apertura Krunck: “i canti ad una certa latitudine sono tutti simili”. Nei melismi e nelle note di bordone, nelle arie, nei melos suadenti, nelle energie vibranti dei suoni che come mantra, preghiere e formule apotropaiche, si sono levate nella Chiesa di San Francesco a Cividale del Friuli, la si è ritrovata quell’origine comune dove il fare musica non è mero godimento estetico.
Ha suonato non solo con le dita e l’archetto. O meglio: gli archetti, perché nel brano salentino Santa Paulu, da lui arrangiato come gli altri brani non originariamente composti per violoncello, l’archetto usato era impreziosito da uno strumento idiofono in punta, una piccola maracas per effetti ritmici efficaci. Ha suonato anche con la bocca, i denti e gli avambracci, laddove le dita erano già impegnate. Ha percosso in vario modo la cassa armonica, ha fatto trucchi da prestigiatore come sospendere l’archetto sul ponte e altri prodigi. Soprattutto ha suonato, divinamente.
Il Bach della Suite n. 3 per violoncello solo in do maggiore lo ha fatto “cantare” come prima non si era mai sentito, stemperando senza mai tradire le grandi architetture del tedesco. Il più zen di tutti, come ben dice Sollima, purificandolo da certe rigidità interpretative che non di rado si sentono, in favore di una libertà che non dimentica l’essenza improvvisativa del barocco. Una versione ammaliatrice, “melismata” mi si passi il termine, suadente, per contrappunti svelati da una voce nuova. Così nelle danze di Giulio de Ruvo e in Francesco Corbetta, il Jimi Hendrix del Barocco come ha detto, che allo stesso modo della sua rilettura di Fandango (after Boccherini), si sono rivelati col suo violoncello qualcosa nuovo, lontano da ogni cliché.
Sono state infine le Illusiones perdidas di Cervantes e le sue composizioni, tre brani da Natural Songbook e il bis Terra Acqua suonato con matita in luogo dell’archetto, a convincere, subito e senza titubanze, quanto la musica popolare sia il diagramma sonoro del mondo.
Alessio Screm
(11 settembre 2020)
La locandina
Violoncello | Giovanni Sollima |
Programma: | |
Komitas Vardapet | |
Krunck | |
Giulio de Ruvo | |
Romanella, Ciaccona, Tarantella | |
Tradizionale albanese | |
Arbëreshë di Sicilia: Moj e Bukura More | |
Johann Sebastian Bach | |
Suite n. 3 per violoncello solo in do maggiore BWV 1009 | |
Tradizionale salentino | |
Santu Paulu | |
Francesco Corbetta | |
Caprice de Chaconne | |
Giovanni Sollima | |
Fandango (after Boccherini) | |
Ignacio Cervantes | |
Illusiones perdidas | |
Giovanni Sollima | |
Natural Songbook (1, 3, 6) |
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