Finale di stagione giovane, fresco, frizzante. Don Pasquale è opera apparentemente buffa, allegra, briosa, che nasconde però dietro di sé una intensa malinconia, un velo di dolcezza, un’essenza di compassione. È l’eterna lotta tra i giovani bramosi di conquistare il mondo e godere del proprio amore, in diretto scontro con chi la vita l’ha vissuta e vorrebbe riviverla, riamare, tornar giovane.
L’Opera Carlo Felice di Genova conclude felicemente la sua stagione con i giovani e le giovani dell’Accademia di alto perfezionamento diretta da Francesco Meli, che vanno a dar vita, corpo e voce alle intriganti, brillanti e avviluppate vicende di Don Pasquale, Malatesta, Norina ed Ernesto.
L’allestimento di Andrea Bernard, nato per l’Opera di Firenze nel 2020, arriva a Genova portando con sé una visione diversa, provocatoria, azzardata. Poiché proprio l’azzardo la fa da padrone, dove la scena ci introduce nel Casinò Corneto, del vecchio Don Pasquale che osserva come uomini e donne giochino e si intrattengano gonfiando le sue ricchezze, che non si vuole finiscano in mano al nipote Ernesto, che con fare bambinesco e ingenuo è innamorato della assai ammiccante Norina, ragazza da vetrina a luci rosse e mente della truffa, in combutta col dottor Malatesta, a danno dello stesso Don Pasquale. Troviamo così le vicende composte da Gaetano Donizetti traslate in una dimensione moderna, diversa, ma che vuole (o meglio, vorrebbe), mantenere inalterati i rapporti tra i protagonisti, facendo emergere gli individualismi e i diversi caratteri, dall’opportunismo al moralismo, passando per vendette o rivalse nei confronti degli altri. E così, dopo il matrimonio combinato e il repentino cambio di carattere della “adorabile” sorella di Malatesta, il Casinò stesso prende il nome di Casinò Sofronia, a significato del mutamento di decisioni, intenzioni, poteri. Via via la malinconia pervade Don Pasquale, tanto da arrivare a nuovamente intendersi col dottore per far fuori la moglie, con un’enfatica resa nel noto duetto “Cheti cheti, immantinente”. Saranno poi la morale e la cecità degli uomini a rendere giustizia nel finale, facendo comprendere a Don Pasquale i propri errori e a benedire l’unione di Ernesto e Norina, innamorati in fondo sin dalla fanciullesca età. Nell’insieme della visione registica di Bernard, che vuole innovare ma non sa convincere sino in fondo, si hanno le scene di Alberto Beltrame, i costumi di Elena Beccaro, le luci di Marco Alba e gli interventi video del videomaker Pierpaolo Moro.
In questa visione cerca di inserirsi la direzione di Francesco Ivan Ciampa, ammirato e apprezzato direttore d’orchestra ormai chiamato dai più importanti teatri nazionali e internazionali, che sa come sempre esaltare il gusto e le dinamiche del melodramma all’italiana, volendo qui esser giocoso e melanconico, facendo sì che tutte le sfumature della partitura donizettiana possano essere completamente apprezzate. E così, sin dalla Sinfonia iniziale, veniamo immersi in un vortice di note, di colorature, di brillante equilibrio che permettono a buca e palco di mantenere uniformità senza sbavature: Ciampa sa seguire le voci, sa tenere il passo anche quando vi è da star dietro alla respirazione degli interpreti e sa dar risalto a tutte le componenti orchestrali, a volte un pochino anche troppo. Vuoi per la direzione di Ciampa, vuoi per l’attento e meticoloso lavoro che la direzione artistica e quella musicale stanno portando avanti, ma non si può che apprezzare il continuo miglioramento dell’Orchestra dell’Opera Carlo Felice, qui impegnata con mirabile risultato, facendosi apprezzare per il suono sempre pulito, frizzante, in piena intesa con il direttore d’orchestra, solo talvolta eccedendo nella sonorità. Al contempo, prova sempre in crescendo per il Coro sotto l’attenta e preziosa guida del suo maestro, Claudio Marino Moretti: brevi e concisi gli interventi, di convincente qualità vocale.
Omar Cepparolli centra il debutto nel ruolo, spesso affrontato in età ed evoluzione artistica più matura, sapendo sottolineare ed equilibrare l’animo, le intenzioni ed i sentimenti del vecchio Don Pasquale, illuso e innamorato che, infelicemente, cade vittima del tranello amoroso (ed economico). L’artista è attento nel porgere la parola, avendo ancora da affinare lo strumento vocale, ma con una qualità di voce di basso-baritono assai interessante, che sa distinguersi da quella di Malatesta. L’inizio è timido, ma l’evolversi dell’opera e la sicurezza data dalla direzione orchestrale permette al cantante di lasciarsi andare, attestandosi con successo qualitativamente dal punto di vista vocale ed interpretativo e facendo ben sperare in una prospera evoluzione di carriera. Suo contraltare è il Dottor Malatesta di Nicola Zambon, che con fluida e balzante disinvoltura si muove sul palcoscenico, scorrendo assai velocemente e a più riprese lungo la scalinata di sfondo all’interno del Casinò Corneto, dimostrando scioltezza e piglio nello stare in scena. Se tanto vi è nello stare in scena, meno vi è nell’interpretazione vocale, là dove una voce baritonale un po’ troppo chiara non rende totale giustizia alla cavata da baritono di Malatesta: vi sono intenzioni, vi sono buon gusto nel porgere e una voce con buona proiezione, ma ciò non basta. La strada è giusta, vi è da affinare. Brilla per intraprendenza, vocalità e precisione musicale la Norina, o Sofronia, di Angelica Disanto. L’amabile e amata amante di Ernesto sa qui vestire i maliziosi ed intriganti abiti di donna seducente, sapendosi imporre sulla compagine maschile che la circonda nelle intenzioni e nella resa vocale. La voce è di assoluta brillantezza, scorrendo lungo tutto il pentagramma, sapendo inanellare acuti e sovracuti anche nei passaggi più impervi e mantenendo sempre il suono a punta, con totale proiezione sulla grande sala genovese. Suo innamorato è il timido, bambinesco e sognante Ernesto, qui interpretato dal giovane Antonio Mandrillo, che offre una lettura quasi fanciullesca e a tratti innocente del suo personaggio, cercando di sfruttare al meglio una voce che non eccede in abbondanza. Tuttavia, considerata la difficoltà delle arie scritte per il tenore, va dato atto al giovane interprete di aver reso giustizia al personaggio, equilibrando bene le forze, sapendo ben delineare le intenzioni e gli accenti più amorosi e compassionevoli, alternati ai momenti più concitati dove si sono potuti apprezzare la coloratura e la buona padronanza del fiato. Di completamento alle dinamiche dell’opera, di buona interpretazione scenica, il notaio di Matteo Armanino.
Un allestimento che sicuramente fa discutere, smuove i pareri del pubblico, talvolta troppo sopente, ma che sicuramente dà una visione di teatro coraggioso, che scommette, che a dare all’opera chiavi di lettura diverse. Non resta dunque che attendere con impaziente curiosità la prossima stagione, la cui presentazione è prevista entro fine giugno, consci di aver vissuto una bella e stimolante stagione 2022-2023.
Leonardo Crosetti
(10 giugno 2023)
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