Georgia On My Mind : lettera aperta al Direttore
Caro Alessandro Cammarano, hai presente la Georgia? No, non quella Georgia con capitale Atlanta che inonda di Coca-Cola l’universo ed altri siti. La Georgia dalla quale ti scrivo non ha come inno la canzone anni ’30 portata al successo globale dal grande Ray Charles, bensì un medley dall’opera lirica Abesalom da Eteri di Zacharia Paliashvili, che debuttò nel 1919 al Teatro Nazionale di Tbilisi. Anche senza tirare in ballo una genealogia canora che comincia col leggendario “usignolo georgiano” Vano Sarajishvili (1878–1924), tenore idolatrato a San Pietroburgo come alla Scala di Milano, noi baby boomers ne abbiamo ascoltati tanti dei suoi discendenti; ma proprio tanti per un Paese di nemmeno 4 milioni, diaspora a parte.
Catalogo non esaustivo: i soprani Tamar Iveri e Nino Machaidze, i mezzosoprani Stella Grigorian, Anita Rachvelishvili e Nino Surguladze, il tenore Zurab Sotkilava (membro fra l’altro dell’Accademia Filarmonica nella mia Bologna), i baritoni Lado Ataneli e George Gagnidze, il basso Paata Burchuladze. Se c’è un segreto in tanto fiorire di talenti operistici, è probabile che consista in quel mix di tradizioni che contrassegna la didattica del conservatorio di Tbilisi, dal 1947 intitolato proprio a Sarajishvili: scuola vocale russa, bel canto italiano e tecniche della spettacolare polifonia popolare georgiana. Davanti all’azzurra baia di Tsikhisdziri — già frontiera contesa fra gli imperi zarista e ottomano, e prima ancora colonia greca e romana — sedendo fra lieti calici e interminabili portate di terra e di mare, ne abbiamo chiesto conferma a Lado Ataneli. Il potente quanto mellifluo baritono verdiano, pucciniano e verista nonché cultore della canzone napoletana d’arte, non ha dubbi: “In Georgia tutti cantiamo in coro; in pubblico e in famiglia. I cori tradizionali sono a tre, quattro e sette voci, per cui emissione e corretta intonazione si apprendono sin dall’infanzia come una lingua naturale. Così, nonostante il nostro famoso individualismo, cantando insieme ci si ascolta e ci si aiuta a vicenda”.
Occasione del dialogo: la prima edizione del concorso internazionale di canto “Opera’s Golden Voice” tenutosi dal 23 al 30 settembre a Batumi, il capoluogo della regione autonoma di Adjara famoso per la sua fantasiosa urbanistica postmoderna, i parchi e le molte case da gioco che l’hanno fatta ribattezzare “Las Vegas del Mar Nero”. Durante la finale al Teatro drammatico Ilia Chavchavadze, accompagnata dalla Sinfonica di Stato sotto la bacchetta di David Mukeria, hanno trionfato giovinezza e gentil sesso. Il terzo premio di 3000 euro se lo sono aggiudicate ex aequo due soprani ventottenni dal coraggio leonino: la georgiana Anna Imedashvili e l’ucraina naturalizzata tedesca Yulia Muzychenko; la prima con “Un bel dì vedremo” e il finale di Anna Bolena, l’altra con la folle Lucia di Donizetti e le “Follie, follie” di Violetta. Prestazioni di alto contenuto tecnico e interpretativo, sebbene un poco inficiate da qualche incertezza d’intonazione e — nel caso della georgiana — da un disaccordo sui tempi con la direzione orchestrale.
Sul secondo podio (5000 euro) il mezzosoprano georgiano Ekaterine Buachidze, diciannovenne prodigio di bellezza vocale, eleganza nel fraseggio e proprietà stilistica sia nel repertorio francese con “Pleurez, mes yeux” da Le Cid di Massenet, sia nella cavatina di Rosina in versione originale. A nostro parere meritava il primo premio (7000 euro) non meno della vincitrice, il mezzosoprano Elmina Hasanova, che si è imposta sul filo di lana grazie al rovente peso drammatico delle sue arie: “O mio Fernando” dalla Favorita e “O don fatale” dal Don Carlo. Viene dall’Azerbaigian questa Eboli di 22 anni, e la circostanza può fare gradita notizia nel tormentato panorama geopolitico del Caucaso. Tra i 6 finalisti non premiati destava interesse anche il basso kazakho Mark Kurmanbaev, rara avis fra i maschi sopravvissuti alle selezioni, col Catalogo di Leporello e l’aria di Banquo “Come dal ciel precipita”.
«Molto buono il livello medio dei dieci finalisti quanto a tecnica, musicalità e interpretazione. Qualcuno dovrebbe perfezionare ancora la dizione italiana, ma penso che basterebbe poco per farne debuttare un paio sul palco di un primario teatro europeo». Così l’agente Alessandro Ariosi, membro italiano della giuria assieme ad Eleonora Pacetti, responsabile di “Fabbrica Young Artist Program” presso l’opera di Roma. Gli altri 7, sotto la presidenza di Melissa Wegner (Metropolitan di NY), sedevano in rappresentanza di agenzie artistiche e teatri di Bulgaria, Gran Bretagna, Georgia, Polonia e Stati Uniti. A lavori ultimati con tanto di spettacolo pirotecnico, photo opportunity e cena di gala, abbiamo rivolto qualche domanda al soprano Tamar Iveri, ideatrice e primo motore organizzativo del concorso.
- Signora Iveri, come tutte le stelle georgiane che mi è capitato di ascoltare in Italia o altrove, lei è nata e si è formata nella capitale Tbilisi. Perché per questo progetto ha scelto proprio Batumi, un affollato centro balneare e ricreativo che non ha fama di capitale della lirica?
Tbilisi e Batumi stanno fra loro un po’ come da voi Milano e Napoli: duro lavoro e arte del vivere; ci vogliono entrambi. E poi c’è un debito di riconoscenza. A 22 anni ho debuttato a Batumi con il ruolo di Marikh nell’opera Abesalom da Eteri, capolavoro del nostro primo Novecento, e subito dopo con Desdemona nell’Otello verdiano. Volevo ricambiare a questa città, e ai giovani musicisti ricchi di talento ma scarsi di mezzi, qualcosa dei tanti incoraggiamenti che ho ricevuto agli inizi della mia carriera. Ho pensato che un concorso fosse il mezzo migliore per cominciare, visto che per me tutte le porte si sono aperte fra il 1998 e il 1999 con un secondo premio al concorso “Voci verdiane” di Busseto e un primo al Mozartwettbewerb di Salisburgo. Erano anni durissimi per la Georgia: io ebbi la fortuna, e anche un po’ l’impudenza, di battere Italiani e Tedeschi sul loro stesso terreno. A Salisburgo entrai sotto l’ala protettrice della grande Ileana Cotrubaș. A lei devo molto di quanto ho imparato, senza dimenticare i miei primi maestri: il baritono Avtandil Javakhishvili (mio padre) e il tenore Alexander Khomeriki, direttore dell’Opera di Batumi.
- Verdi e Mozart: accoppiata inconsueta per requisiti di stile; vedo poi che lei ha in repertorio 12 ruoli verdiani e molto Mozart, ma pure Cherubini, Gounod, Čajkovskij, Puccini, Leoncavallo.
Sì, è la mia nicchia personale, opere georgiane a parte [ride]. Tornando al concorso di Batumi, ho trovato un convinto appoggio nel presidente regionale Aslan Abashidze, nel sindaco Archil Chikovani e nei centri governativi preposti alla cultura, al turismo e alla gioventù, nell’imprenditoria e nei donatori privati. Ringrazio tutti di cuore.
- Dunque un rotondo successo sul piano organizzativo. E su quello artistico?
Le scelte dei concorrenti si sono orientate in maggioranza su brani in lingua italiana: Verdi in primo luogo, poi Rossini, Donizetti, Puccini e l’italiano europeo Mozart. Opera francese, russa, tedesca e ceca seguivano a distanza. Il nostro pubblico, sulla scia del gusto di scuola sovietica, predilige voci potenti che ‘bucano’ il tetto orchestrale; però vedo che anche il fascino sottile del bel canto si va facendo strada. Il lotto dei concorrenti, benché largamente internazionale, era sbilanciato verso il Caucaso, l’Europa orientale e l’Asia centrale; finalisti e vincitori hanno segnato un quasi monopolio delle voci femminili. Spero che nelle prossime edizioni questi squilibri geografici, di repertorio e di genere troveranno riequilibrio; ma per una prima edizione mi ritengo abbastanza soddisfatta.
- Il progetto originale prevedeva intorno al concorso una cornice di eventi chiamata “Batumian Rhapsody” con alcuni concerti vocali e strumentali di vario genere.
Qualcosa abbiamo fatto, per il momento ancora in fase sperimentale; ma alla prossima edizione si potrà forse mettere in scena un’opera completa. Come lei ha visto, ci sono in città tre teatri perfettamente attrezzati per offrire allestimenti di alto livello artistico. Arrivederci a Batumi fra uno o due anni; dipenderà dalla cadenza che riusciremo ad imprimere al concorso anche in base alle domande dei candidati. Quest’anno erano partiti in 130, ma poi le scie della pandemia e la difficile situazione internazionale li hanno ridotti a 82. In Georgia, sopravvissuta come nazione a 4mila anni di invasioni, tutti speriamo nella pace. E chi ne ha desiderio più di noi musicisti?
Carlo Vitali
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