Il Falstaff con Bruno Taddia che avremmo dovuto vedere all’Opéra National de Montpellier
In Occitania c’erano solo 90 casi, a Montpellier 6, anzi 5, perché uno era guarito. L’Opéra aveva deciso di ridurre gli spettatori da 1200 a 800. Le prove si facevano coi guanti e il disinfettante. I cantanti continuavano a cantare l’uno vicino all’altro, ma rispettavano una profilassi di gruppo, evitando contatti, lavandosi le mani, non uscendo di casa la sera.
Il baritono Bruno Taddia, scelto per il ruolo di Falstaff dopo la grande eco suscitata, nello stesso teatro, come Schicchi e Don Pasquale, disinfettava la sua pipa in continuazione, la sigillava in un involucro e disinfettava pure la tasca della giacca. A nulla valse tanta precauzione. Venerdì, dopo la generale, dopo l’annuncio delle prime misure del governo francese, si è deciso di annullare lo spettacolo più atteso della Linguadoca. Il Maestro Michael Schønwandt, direttore stabile del teatro, che conosce Falstaff alla perfezione, ha lavorato su una riproduzione dell’autografo di Verdi, ed è attento come pochi altri alla melopèa italiana, ha dovuto gettare la spugna. E Montpellier per ora deve dunque rinunciare alla sua nuova proposta interpretativa, concordata con David Hermann, il regista tedesco, deciso anche lui a superare la tradizionale iconografica di Falstaff: via la panza e l’Osteria della Giarrettiera, il dramma comico ripreso da Shakespeare si svolge in un Kebab. Le allegre comari vestono i costumi contemporanei di Carla Caminati inscenando l’epilogo non già fra gli elfi e le fate del bosco medievale, ma in una specie di garage annesso al Kebab e aperto di notte, concepito da Jo Schramm.
Taddia ha visto così svanire un anno di studio. Rientrato nella sua Milano spettrale, adesso spera solo di tornare presto in scena. «Mi sono accostato allo studio del personaggio coi consueti pregiudizi, convinto cioè che Falstaff fosse un dramma del tramonto con un protagonista dal fondo nostalgico, simpatico ma scettico. Studiando la partitura, ho scoperto invece un uomo meravigliosamente vitale, che abita la pienezza dei sensi, sua vera filosofia. Per questo lo amiamo: Falstaff ha tutti i vizi della carne, mentre è immune, o quasi, da quelli ben più gravi dello spirito. E’ corpo, vita incarnata. Per questo ne assume pienamente i vizi senza censura morale o ragionamento filosofico. Tutto ciò che è incorporeo, non lo capisce. Come l’onore, per esempio… che non si tocca e non ti riempie la pancia, e di cui dimostra il carattere inutilmente astratto.».
Insomma, un epicureo inconsapevole di sé, impermeabile al ragionamento? «È un personaggio che non vive secondo concetti astratti della ragione, ma vive la pura carne seguendo la sensazione, bere, mangiare, la gioia dei sensi…. Mondo da invidia e da avarizia, Falstaff non conosce il pensiero calcolante. È sensazione gioiosa, pienezza di corpo. Per questo è adorabile! Personalmente lo trovo clamorosamente simpatico. I suoi “persecutori” cercano di spiegargli quanto la sua posizione sia assurda. Pensavi di essere attraente per una donna, così grasso, sudicio, obeso… Ma loro seguono la deduzione logica, insistono, è chiaro che è assurdo! E lui risponde, Perché no? Ecco la rivendicazione dell’arguzia che lo rende più grande di chi lo ha beffato. Un ribaltamento logico che porta alla morale finale: la burla è il mondo, costruito secondo schemi incorporei e modelli astratti, che il buon Falstaff ricusa.».
È per questo che il baritono Taddia aveva pensato di interpretare un Falstaff istrionico e privo di narcisismo: «Non credo sia un narcisista: nel momento in cui tutti gli sbattono in faccia la pinguedine, non accusa alcuna ferita narcisistica. Anzi, ribalta la situazione in chiave istrionica, come un grande attore.». Ma rispetto alla tradizione interpretativa del Falstaff, quanto c’è di nuovo in questa lettura di Verdi: «Non amo le letture eccessivamente testamentarie di Falstaff. Certo, Verdi, concludendo la propria carriera di operista con una forma tipicamente strumentale come la fuga, ha fatto una bella burla. Tuttavia, oltre al tema burlesco, c’è quello della fanciullezza e degli amori nascenti di Nannetta e Fenton. Nella sua ultima opera, Verdi torna sul candore dell’inizio della vita nella scoperta dell’incanto dell’amore. Le schermaglie amorose dei due ragazzi mi fanno ricordare ‘Il posto delle fragole0 di Ingmar Bergman, quando il vecchio protagonista rivede i suoi genitori e il luogo in cui è iniziata la sua vita. Forse, è finale più complesso di un testamento ridanciano e burlesco.».
Marina Valensise
La locandina
Direttore | Michael Schønwandt |
Regia | David Hermann |
Scene e Video | Jo Schramm |
Costumi | Carla Caminati |
Luci | François Thouret |
Personaggi e interpreti: | |
Sir John Falstaff | Bruno Taddia |
Ford | Gëzim Myshketa |
Fenton | Alasdair Kent |
Mrs Alice Ford | Katherine Broderick |
Mrs Quickly | Kamelia Kader |
Nannetta | Julia Muzychenko |
Mrs Meg Page | Marie Lenormand |
Il dottor Cajus | François Piolino |
Bardolfo | Éric Huchet |
Pistola | Miklós Sebestyén |
Orchestra e coro dell’Opéra National Montpellier Occitanie | |
Maestro del coro | Noëlle Gény |
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