Il lascito di Mehta al Maggio Fiorentino
Sono i giorni della speranza, ma potrebbero essere anche quelli delle rivendicazioni. Perché in questi giorni di Stati Generali, in questi giorni di grandi incontri e piani, c’era anche l’archistar Fuksas dal Ministro Franceschini a combinar progetti, s’è parlato dell’iva, si son riaperte le discoteche, ma nessuno è stato ancora in grado di dettare delle regole razionali perché un teatro come quello del Maggio Musicale Fiorentino, sala da 1800 posti e palcoscenico enorme, debba sottostare all’immensa stupidità che costringe il teatro fiorentino a ospitare soltanto 200 spettatori, uno ogni nove, e a ridurre così gli incassi a inconcludenti.
Come che sia, le disposizioni Covid attive in questi giorni, confermano la miopia e l’incapacità dei burocrati che fanno i calcoli senza considerare la grandezza dei teatri e i loro posti disponibili.
Firenze, il suo Maggio, riaprono quindi con un bel ciclo di concerti, dedicati al suo direttore di sempre, il maestro Zubin Mehta, che sarebbero potuti diventare un lascito, ben consistente, del maestro indiano alla città di Firenze.
Ben vengano pure i plexiglas, a isolare gli strumenti a fiato, ben vengano pure i cori ridotti con voci disseminate qua e là e sparse per la sala come solo un burocrate spaventato può concepire. Ben vengano gli aritmetici calcoli che fanno andare in palcoscenico 48, dico quarantotto, voci del Coro e una riduzione dell’Orchestra che questa sera deve suonare la 8^ di Schubert. La sinfonia in si minore, incompiuta nella scrittura quanto compressa nell’organico orchestrale.
In fondo la musica ha vinto, ha sconfitto quei travet senza decenza, e ha vinto su tutto: sul pubblico in sala, i duecento appunto, e pubblico on line, il concerto è andato in streaming e perciò l’altra violenza in sala: le luci accese e accecanti, non hanno comunque impedito il successo assoluto. Forse non tanto per il buon contributo dato al programma dai quattro solisti: Eva Mei, una vera certezza, ma in debito, come prevedibile, nei gravi della Messa d’incoronazione; Francesca Cucuzza, ottima voce contraltile; Valentino Buzza, tenore e Gianluca Buratto, basso, in minore luce; ma per la bella e chiarissima prestazione offerta dai quarantotto lassù, e dalle prime parti del Maggio che hanno suonato, com’era prevedibile, per il loro Maestro.
Dopo, l’intrattenimento per il pubblico on line, la diretta che ha consentito a molti di porre domande e di ottenere risposte, più o meno scontate, dagli interessati.
È qui che il piglio istrionico di Alexander Pereira s’è mostrato in tutta la sua luce e insofferenza verso questa decisione del Governo di castrare così le potenzialità del Teatro italiano. In un inglese scontato e in italiano maccheronico, ha girato le domande, dicendo quello che voleva senza colpo ferire ma anche senza niente tralasciare. S’è dimostrato il trait d’union fra gli artisti più emozionanti di cui il nostro mondo dispone e il pubblico del Maggio. Ha saputo raccontarci e promettere presenze cui il teatro fiorentino ha sempre ambito senza potere mai pensare di raggiungere.
Il sogno s’è fatto realtà, con la presenza di Barenboim nel prossimo concerto, con Metha sul podio. Ha fatto intravvedere un futuro illuminato da quel clamore, da quell’entusiasmo che solo la miopia del governo potrebbe interrompere.
Davide Toschi
(20 giugno 2020)
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