Il Rof riaccende la speranza, le incognite restano una montagna
L’accelerata è nei comunicati stampa, sui siti Internet, nelle interviste, negli speranzosi annunci. Da qualche settimana è chiaro che il mondo dello spettacolo dal vivo vede allontanarsi quella specie di “sentenza” mai scritta su nessun decreto ma da tutti ritenuta tristemente inevitabile: “Ultimi apriranno i teatri”. Potrebbero essere anche penultimi: ora in maglia nera ci sono le discoteche.
Nella serata di sabato si parlava sui social anche di una data precisa per questa riapertura (e per quella dei cinema), il 15 giugno. In realtà il verbale del CTS (Comitato Tecnico Scientifico) in cui si trattano questi argomenti, risalente al 6 maggio, indica addirittura la prima settimana di giugno.
La soluzione che quasi tutti i teatri vedono più a portata di mano, per i prossimi mesi, è quella degli spettacoli all’aperto. Vale per i festival sparsi lungo la penisola, che spesso sono appunto già all’aperto, ma anche per i teatri “normali”, che chiaramente considerano gli eventi en plein air l’unica possibilità di un’attività qualsivoglia. In realtà, chi fa opera e concerti sotto le stelle non avrà comunque vita particolarmente facile. Nessuno può neanche immaginare di riproporre consuetudini organizzative praticate senza problemi fino all’anno scorso. Non a caso, l’Arena ha dovuto cancellare il suo festival lirico tradizionale e inventare una nuova programmazione con diversa “logistica”, puntando solo sui concerti, una rassegna di una decina di appuntamenti in agosto.
Dopodiché, pensare a un pubblico di 3 mila spettatori per serata, come fanno il sovrintendente Cecilia Gasdia e il sindaco di Verona Federico Sboarina appare quanto meno problematico. Il CTS ha infatti messo nero su bianco che gli “eventi” non devono coinvolgere più di mille persone, compresi gli interpreti, gli addetti allo spettacolo, i tecnici e il personale di ogni tipo. Il che per l’Arena vuol dire 800 spettatori a concerto. Salvo deroghe.
Poi c’è il caso all’Opera di Roma, che significativamente aveva già rinunciato da settimane all’ipotesi di restare nella sua tradizionale sede estiva di Caracalla. Il sovrintendente Carlo Fuortes ha annunciato con grandi rulli di tamburo un Rigoletto in luglio a Piazza di Siena. E a parte tutti i condizionamenti logistici di cui sopra (e l’ira dell’associazione degli Amici di Villa Borghese, che su Facebook hanno fatto capire a chiare lettere che non ne vogliono sapere, per motivi di tutela ambientale), è inevitabilmente rimasto sul vago per quanto riguarda le condizioni di realizzabilità di un genere di spettacolo complesso e multiforme come l’opera, sia pure all’aperto. Il fatto è che le indicazioni del CTS prevedono distanziamento e obbligo di mascherina non solo per il pubblico e per tutti i lavoratori del teatro dietro le quinte, ma anche per gli orchestrali e per i cantanti (e il coro). Basteranno la fantasia di Damiano Michieletto o il valore di Daniele Gatti per risolvere queste problematiche?
E basteranno l’inventiva del regista inglese Laurence Dale e la duttilità del tenore-direttore russo Dmitry Korchak per superare le questioni poste dalla decisione di realizzare il Rossini Opera Festival 2020, così come è stato annunciato nelle scorse ore?
Bisogna riconoscere che a Pesaro non si sono tirati indietro nel cercare una soluzione che tenga conto della natura del ROF (festival “al chiuso”), cercando di non abbandonarla del tutto e per questo andando a finire nelle ancora più complesse problematiche sugli spettacoli dal vivo nei teatri tradizionali. Di fatto, la rassegna pesarese, in programma dall’8 al 20 agosto, gioca la partita su tutti i fronti possibili. Punta sulle manifestazioni all’aperto, sfruttando la centrale Piazza del Popolo come platea e palcoscenico; ma non rinuncia ad almeno una produzione al chiuso, in questo anticipando teatri come La Scala nel testare una soluzione logistica del tutto nuova – orchestra in platea, pubblico solo nei palchi – che ha suscitato fin da subito molte perplessità. E conserva l’alto tasso di internazionalità dei suoi protagonisti, confidando evidentemente sul fatto che frontiere chiuse e quarantene per i viaggiatori siano fra tre mesi acqua passata.
La premessa è che il ROF ai tempi del Coronavirus sarà non semplicemente dimezzato, ma ridotto ad ancor meno, rispetto al fastoso programma originale. E questo, a parte le prudenze di ordine finanziario (erano previste ben tre nuove produzioni, come non accadeva da anni), si può spiegare anche con le inevitabili cautele sulla formula scelta. Dunque, niente più Moïse et Pharaon con la regia di Pier Luigi Pizzi né Elisabetta, regina d’Inghilterra affidata a Davide Livermore. Resta solo la giovanile farsa La cambiale di matrimonio: andrà in scena in cinque repliche al teatro Rossini. L’orchestra non sarà la Sinfonica Rai ma quella marchigiana intitolata allo stesso compositore.
La cambiale è operina con sei personaggi e senza coro, il che evita una prima serie di problemi. Ma la necessità dell’uso delle mascherine anche per chi fa lo spettacolo, se sarà ancora in vigore o non avrà avuto deroga, sarà complicazione davvero spinosa, ben più del distanziamento, che si può pensare a portata sparpagliando l’orchestra nella platea e i sei personaggi sul palcoscenico. In questo caso, semmai, gli interrogativi riguardano la plausibilità ed efficacia della resa musicale. Dopodiché, le attuali indicazioni portano a postulare un pubblico un po’ sotto le 150 unità per sera: un numero compatibile con gli angusti palchetti del “Rossini”, dove solo persone che abitano insieme potrebbero stringersi in due o in tre senza violare il distanziamento.
In piazza del Popolo, invece, il pubblico potrebbe arrivare anche a più di 800 persone, ammesso che una platea disegnata in base al distanziamento possa contenere questi posti. Comunque, non si vedrà nulla di simile alla folla ammassata in piazza come nella fotografia sulla homepage del sito del festival.
Il ROF pensa di realizzare all’aperto due repliche de Il viaggio a Reims con ex studenti dell’Accademia Rossiniana nei ruoli vocali (una dozzina abbondante di personaggi: il rischio di assembramenti in scena non è basso) ma soprattutto di proporre sei concerti vocali-orchestrali con interpreti rossiniani di assoluto valore Le locandine sono già fatte, a differenza dei quelle dei concerti agostani in Arena: interverranno la superstar tenorile Juan Diego Flórez, i soprani Olga Peretyatko e Jessica Pratt, il baritono Nicola Alaimo, il trio di buffi Antoniozzi-Bordogna-Corbelli.
Nell’insieme, un programma ovviamente all’insegna dell’emergenza, ma anche una sfida di notevole coraggio. Se va bene e tutti i pochi posti disponibili verranno occupati dal pubblico (l’aspetto psicologico nel decidere di andare all’opera o a un concerto è tutto da esplorare, ma è facile immaginarne il rilievo), le presenze saranno poco più di un terzo di quelle dell’anno scorso, quando si erano attestate a quota 16.500. Probabilmente ancora più ridotti, proporzionalmente, gli incassi, che nel 2019 erano stati di un milione 125 mila euro. Il maggiore impatto sul botteghino potrebbe essere legato alle rappresentazioni in piazza. Con tutti i problemi che ci sono, dover anche fare gli scongiuri contro i temporali, in agosto a Pesaro, è un’altra delle cose che mai si sarebbero immaginate.
Cesare Galla
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