Il sogno di Frizza, una “Favorita” in Arena
L’ultima volta che era salito sul podio in Arena, correva l’anno 2015 e nubi nere si addensavano sulla Fondazione lirico-sinfonica veronese, che di lì a poco sarebbe precipitata in una crisi risolta solo dal commissariamento, avvenuto l’anno seguente. Riccardo Frizza aveva diretto allora Nabucco nella vecchia edizione firmata per la regia da Gianfranco de Bosio, spettacolo datato 1991 e dopo quell’estate collocato in pensione.
Il suo ritorno nell’anfiteatro veronese avviene cinque anni più tardi e non è un luogo comune dire che molte cose sono nel frattempo avvenute. In generale, Frizza ha irrobustito una carriera dalla forte connotazione internazionale, nei principali teatri in Europa e in America, affermandosi come bacchetta d’elezione per il repertorio operistico italiano dell’Ottocento, non senza sapide incursioni nel meno noto e anche nel raro. Una vocazione che si concretizza specialmente a Bergamo, dov’è direttore musicale del Festival Donizetti dal 2017.
Ma poi, e soprattutto, questo ritorno avviene nell’anno più difficile di sempre per la vita musicale e teatrale in Italia e nel mondo, con il flagello della pandemia che ha costretto prima a una lunga chiusura e poi a una ripresa – almeno in Italia, altrove le prospettive sono ancora peggiori – all’insegna della cautela e di ben poche certezze. Per questo, il concerto intitolato “Il cuore italiano della musica”, che aprirà il 25 luglio la rassegna di appuntamenti non teatrali in programma all’Arena sino alla fine di agosto, per Frizza può ben essere definito una ripartenza. Certo il 28 giugno il direttore bresciano è stato protagonista di un evento musicale molto toccante davanti all’ingresso del cimitero monumentale di Bergamo, l’esecuzione del Requiem di Donizetti. Ma sentendolo parlare di quella serata, si capisce subito che anche per lui non è stato qualcosa di apparentabile al normale lavoro del direttore e alla sua positiva routine.
«Quello non è stato un concerto, ma una cerimonia laica: un momento di meditazione che andava ben oltre il fatto artistico in sé, anche se naturalmente la musica funebre di Donizetti era quanto di più indicato in quella circostanza e in quel luogo. Ed è stata anche un’occasione nella quale i protagonisti dell’esecuzione erano in molti casi testimoni che avevano vissuto terribilmente da vicino la tragedia della pandemia, nella terra che ha pagato il più alto tributo di vittime al virus. Per questo, se lei mi chiede qual è stata la sensazione nel dirigere un’orchestra e un coro nei quali quasi tutti indossavano la mascherina, e quali effetti ha avuto sul piano musicale, io le rispondo che era giusto e anzi doveroso fare così. Perché la mascherina fa parte del nostro modo di vivere, oggi, e indossarla era naturale per il carattere di testimonianza che quella serata specialissima ha avuto. Il suono? L’ingegnere del suono ha fatto un lavoro straordinario, considerando i distanziamenti sul palco e anche con il poco pubblico presente. E del resto, l’esecuzione filologica del Requiem donizettiano era già avvenuta nel 2017, nell’ambito del Festival bergamasco. Trovarsi a proporre questa musica, l’ultima domenica di giugno, aveva un valore diverso».
- Il concertone areniano, che riunisce altri tre direttori oltre a lei e una schiera di cantanti italiani – 24 in tutto – ha un differente significato, pur nella temperie emotiva della pandemia che sperabilmente si sta spegnendo: quello di affermare un ritorno alla normalità della musica e dell’arte che manca davvero da troppo tempo. Lei avrà avuto modo di vedere la particolarità dell’allestimento, con l’orchestra posizionata al centro: che ne pensa?
«Mi sembra una soluzione interessante. Portare la musica al centro è un’ottima idea e serve anche per (ri)creare un rapporto con il pubblico. Io dirigerò l’ultima tranche della serata, con cantanti che conosco molto bene e su un repertorio che mi è abituale. Non sono stato coinvolto nelle scelte di programma, ma non ho problemi: quando mi è stato chiesto di partecipare, ho subito dato la mia disponibilità. Questo richiede il momento e questo ho fatto».
- Non è la prima volta che lei in Arena partecipa a una serata “composita”. Era già avvenuto nel 2013, con il Gala Verdi del centenario composto da un atto per ciascuna delle tre opere della “trilogia popolare”, affidato a direttori differenti. Ma parlando invece di spettacoli “normali”, che cosa le piacerebbe dirigere, in Arena?
«Aida, naturalmente, l’opera che ormai si identifica con l’anfiteatro di Verona. Ma mi piacerebbe anche dirigere Otello, che all’Arena è poco frequente. E poi penso che non sarebbe affatto male riprendere La Favorita di Donizetti (è stata proposta solo in due occasioni, l’ultima oltre 60 anni fa, nel 1958; N.d.R.), un’opera che vedo adeguata agli spazi areniani. Questo perché un giusto mix fra il popolare e il meno noto può costituire un elemento di attrazione anche per il pubblico».
- La crisi dei teatri e dell’opera è sotto gli occhi di tutti, nonostante i volenterosi tentativi di andare oltre un’emergenza che peraltro a livello internazionale è in fasi differenziate, non omogenee. Dal suo punto di vista, di musicista molto impegnato anche all’estero, come immagina la situazione dopo l’estate? Le cronache riportano notizie di gloriose e antiche istituzioni sull’orlo della bancarotta, da Parigi a Londra e a New York…
«Intanto bisogna sperare che in autunno non si verifichi la paventata seconda ondata, che avrebbe un effetto devastante e in vari casi sciaguratamente definitivo. Nei paesi anglosassoni la situazione è particolarmente delicata, perché le sovvenzioni pubbliche sono minime o inesistenti. Da questo punto di vista è una buona notizia che il governo inglese abbia manifestato l’intenzione di sostenere la Royal Opera House, che è in una situazione difficilissima. Per New York, però, l’orizzonte è veramente scuro. E la mancanza dei flussi turistici – sempre molto importante anche per l’opera – rischia di assestare un’ulteriore mazzata».
- Da un punto di vista tecnico-musicale, prevede ci possano essere difficoltà per le orchestre e per i cantanti a causa della lunga sosta forzata?
«Certo, l’impossibilità di lavorare insieme per lunghi mesi potrà creare qualche problema, ma si parla di professionisti che hanno potuto comunque tenersi “in forma” individualmente. Secondo me il riaffiatamento sarà naturale. Anche i cantanti hanno potuto usufruire di una pausa di studio, chiamiamola così, che non può non avere benefici effetti. Il ritorno in scena non sarà sempre semplice, ma lo immagino certamente agevole».
- Cosa pensa dell’Operazione Circo Massimo, il costoso Rigoletto-kolossal multimediale con la regia di Michieletto prodotto dall’Opera di Roma?
«In Italia siamo fortunati ad avere i luoghi e anche le condizioni climatiche giuste per offrire quest’estate un certo tipo di prodotti nonostante le condizioni dettate dal distanziamento e dalle regole antivirus. Realizzare eventi di alto livello tecnico e musicale, con personaggi di spessore, come avviene in vari luoghi d’Italia, compresa l’Arena, può essere un grande aiuto, data la situazione».
- Il Prossimo Festival Donizetti è confermato per la fine di novembre, con un programma assai accattivante. Una fiducia che rincuora…
«Stiamo lavorando con la solida convinzione di poterlo fare, confrontandoci con le nuove regole. Anche per Bergamo, sarà un segnale di enorme importanza».
Cesare Galla
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