In memoriam Claudio Scimone
Era un ragazzo di 25 anni quando, nell’ottobre del 1959, fece debuttare al teatro Olimpico di Vicenza un gruppo strumentale che aveva appena fondato a Padova, e che aveva chiamato “I Solisti Veneti”. L’anno prossimo, quindi, Claudio Scimone avrebbe festeggiato i sessant’anni di una vita nella musica che ha pochi paragoni. Nel Veneto, in Italia, ovunque nel mondo. Quella celebrazione, a cui sicuramente stava già pensando, non ci sarà. Non con lui, che se n’è andato all’improvviso la notte scorsa, mentre era ancora nel pieno dell’attività, sul podio e nei progetti.
La lunga vicenda artistica e culturale di Scimone ha avuto per molti aspetti i caratteri dell’eccezionalità, del pionierismo, di un’intuitività straordinaria. Fin dal nome di quel gruppo di ragazzi, messi insieme nella sua Padova dopo avere studiato direzione d’orchestra con mostri sacri come Dimitri Mitropoulos e Franco Ferrara: “Solisti”, per chiarire la qualità di tutti e di ciascuno (e dopo, il termine si è inflazionato, dilagando un po’ dappertutto, in Italia e fuori); “Veneti”, per affermare un’identità culturale oltre che largamente (ma non esclusivamente) anagrafica, che oggi è fin troppo di moda (e inevitabilmente banalizzata), ma che allora suonava nuova, perfino un po’ provocatoria.
E d’altra parte, una novità era anche quella specifica attenzione per la musica veneta del Settecento, di cui fin dall’inizio Scimone è stato corifeo, si potrebbe quasi dire il profeta. Perché Vivaldi (ma anche Albinoni, Alessandro e Benedetto Marcello, Galuppi, Tartini…) era un musicista che soltanto da un decennio o poco più stava transitando dagli archivi alla vita esecutiva. E pochi erano i coraggiosi ensemble che lo affrontavano pubblicamente, o lo registravano in esecuzioni che oggi fanno parte della preistoria del movimento barocco internazionale. Scimone e i Solisti Veneti fecero irruzione nel compassato mondo concertistico con l’energia della loro gioventù e la consapevolezza dei valori di quelle musiche così poco eseguite. Se oggi Vivaldi è uno dei compositori più eseguiti e apprezzati al mondo, molto lo si deve al vero e proprio “apostolato” di cui il direttore padovano si fece carico. Una missione fatta di massacranti tournée internazionali, fittissime presenze nelle stagioni stabili in Italia e in Europa, partecipazione ai festival più prestigiosi (per quasi vent’anni a Salisburgo), incisioni discografiche, progetti autonomi che nascevano “in casa” e poi crescevano fino a diventare importanti realtà autonome, come l’Orchestra da camera di Padova, altra fondamentale intuizione di Scimone.
Non era ancora l’era del radicalismo filologico, del culto degli strumenti d’epoca, dell’invasione della musicologia dentro ai recinti dell’interpretazione. Scimone “raccontava” un Vivaldi comunicativo e coinvolgente, fatto di colori vivaci, di tempi stringenti e trascinanti, di interiore energia sempre pronta a esplodere in piani dinamici frastagliatissimi, con “sottovoce” ai limiti dell’udibile eppure di indimenticabile qualità timbrica; e “fortissimo” che avevano l’effetto dei colpi di vento sulla laguna veneta. È sempre rimasto fedele a questa sua visione, che del resto aveva saldi presupposti musicologici. Tanto è vero che nella sede di piazzale Pontecorvo, a Padova, non ci si limitava a provare, ma si lavorava sulle fonti, si curavano edizioni a stampa, si approfondiva la storia. E che a lui si deve la prima esecuzione in tempi moderni dell’opera Orlando Furioso, avvenuta nella primavera del 1978 al Teatro Filarmonico di Verona, rivelazione che il “prete rosso” era anche un genio teatrale.
Ma sbaglierebbe chi pensasse che Claudio Scimone sia stato solo l’acuto interprete capace di rilanciare una storica tradizione culturale di casa nostra. La sua missione è sempre stata anche quella della “trasmissione” dei valori culturali ed estetici della musica intesa in senso universale, e l’ha perseguita e realizzata nei campi più diversi. È stato una figura fondamentale della didattica musicale in Veneto e in Italia, con esperienze di docente di musica da camera nei conservatori di Verona e di Venezia, e soprattutto come direttore di lungo corso del conservatorio Pollini di Padova, retto per un trentennio. Ma è stato anche il primo e unico a far sbarcare con clamoroso successo nei jukebox estivi – correva l’anno 1970 – proprio Vivaldi, trasformato così in un divo da Festivalbar. Con tanto di presenza dal vivo dei Solisti Veneti alla serata finale, fra i cantanti pop del momento.
Intellettuale di vastissima cultura non solo musicale (e il visitatore della sua bella casa padovana lo notava appena posava lo sguardo sugli scaffali delle sue migliaia di libri), uomo semplice e affabile, sempre animato da una scintillante ironia e spinto da vivace curiosità intellettuale, Claudio Scimone era un musicista a tutto tondo, che non ha mai limitato la sua azione al pur diletto Settecento veneto. Nei primi anni, per esempio, con i Solisti Veneti era stato un punto di riferimento della musica contemporanea, e questa vocazione è riemersa anche recentemente, cosicché non sono poche le composizioni degli anni Sessanta a loro dedicate, ma ce ne sono anche di recentissime. E soprattutto, altro filo rosso costante nella sua vita artistica, la predilezione per Rossini, lo studio delle sue opere scomparse dai teatri, la loro riproposizione in esecuzioni epocali. In particolare a lui si deve la riscoperta di un capolavoro come Maometto II, tenuto a battesimo in uno storico spettacolo andato in scena nell’estate del 1985 al festival rossiniano di Pesaro.
Non per caso, lungo tutta la sua carriera, svolta anche come direttore d’orchestra per formazioni di livello internazionale un po’ in tutto il mondo, dall’Europa agli Stati Uniti, Claudio Scimone è stato un catalizzatore di talenti. I suoi progetti, le opere che dirigeva, i concerti che teneva si valevano dei migliori solisti del momento: una sorta di “pantheon” del canto e dello strumentismo internazionale degli ultimi cinquant’anni. Questi “big” lo seguivano in tournée, collaboravano alle incisioni discografiche, molti confluivano all’Olimpico di Vicenza, dove dal 1974, gli anniversari importanti dei Solisti Veneti si sono risolti immancabilmente in formidabili concerti “all stars”. Loro, quelli che rendono la musica una cosa viva, e noi, il pubblico fedele dei suoi concerti, oggi perdiamo tutti qualcosa. I suoi Solisti Veneti, molto di più.
Cesare Galla
Pubblicato su “Il Giornale di Vicenza” – 7 settembre 2018
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