Intervista al mezzosoprano Cecilia Molinari
- Un inizio tutto in crescita. Come sei riuscita a combinare studio universitari e musicali?
Il segreto credo che stia nella buona organizzazione del tempo a disposizione. Sono sempre stata abituata fin da piccola a fare i conti con numerosi impegni (scuola, nuoto, musica, parrocchia) e questo ha probabilmente contribuito a formare la mia capacità organizzativa.
- Poi la decisione di optare per la musica e il canto. In quale momento hai preso questa decisione di scelta professionale e in quale contesto l’hai maturata?
Essendomi sempre divisa tra lo studio della medicina e lo studio della musica, sentivo di non essermi mai dedicata al 100% al canto. Una volta laureata a 25 anni e raggiunto quindi un importante obiettivo, ho pensato fosse il momento giusto per affrontare con convinzione anche la strada della musica, fino ad allora rimasta una fedele compagna di viaggio. La decisione l’ho maturata dopo il diploma di canto nel 2013. Periodo in cui mi incontravo con la mia pianista per studiare repertorio al di fuori del contesto scolastico, scoprendo un mondo di opportunità e di musica che fino ad allora mi era rimasto sconosciuto, rimanendone affascinata.
- Pubblico e critica giudica la tua voce calda, rotonda e piena, una presenza scenica intensa e mostri un talento d’attrice notevole, abbinato a un carattere, fuori scena, sincero e modesto. Quanto sei d’accordo e quanto invece tieni ancora per te una tua altra dimensione personale.
Dal momento che la professione di artista coinvolge l’essere nella propria completezza risulta spesso difficile scindere la propria dimensione personale da quella professionale. In ogni rappresentazione può uscire una parte di sè che magari nella vita reale normalmente non si mostra, ma che il teatro permette di rivelare e di mettere al servizio del personaggio che si sta interpretando. Il teatro consente di scoprire infinite dimensioni personali, ma tutto ciò deve essere sostenuto da un grande lavoro di autoconoscenza e riflessione su se stessi.
- Quando si incontra una giovane artista che sta intraprendendo la carriera, si è portati a fare le solite domande del tipo, quando hai iniziato a praticare il canto, la prima volta all’opera….e così via
partiamo invece dall’attualità i prossimi tuoi appuntamenti Trieste, Bergen in Norvegia, Roma, Barbiere di Siviglia, Turco in Italia, Viaggio a Reims.. titoli di ambito rossiniano..
partiamo da queste certezze . Come sei riuscita a tanto?
Devo ringraziare la mia maestra di Conservatorio Pamela Hebert che, con pazienza, ha intrapreso con me un percorso musicale cauto e sensato. Assecondando la mia natura e le mie inclinazioni vocali arrivando a farmi conoscere Rossini. Autore che ho approfondito successivamente sotto la guida dello straordinario Lorenzo Regazzo che per primo è riuscito a farmi appassionare alla scrittura rossiniana. Poi è arrivato il ROF con il Maestro Alberto Zedda e da lì è iniziato il mio percorso professionale vero e proprio.
- Come ti sei formata al canto? La formazione in un coro parrocchiale ti è servito? In quale contesto ha assunto la decisione di diventare cantante lirica?
Il canto è sempre stata una costante da quando sono piccola, tanto che lo reputo una parte del mio carattere più che un qualcosa che ho scoperto crescendo. Tutte le domeniche mattina passate nel coro parrocchiale e poi i sabati pomeriggio nel coro Anzolim de la Tor di Riva del Garda, diretto con passione da mia zia, prima come voce bianca e poi nel coro misto: queste sono state le basi della mia formazione.
Il canto nel coro è stato fondamentale. Ho imparato che la musica esiste solo se si fa assieme agli altri, che bisogna imparare ad ascoltarsi, che nessuno è più importante dell’altro, ma che tutti sono ugualmente fondamentali per raggiungere un buon risultato. Tutti insegnamenti in cui credo fermamente.
Al canto lirico mi sono avvicinata seguendo una naturale evoluzione del canto corale, anche vivendola quasi come una sfida personale per vincere la mia timidezza, che ben si mascherava sentendomi “protetta” nel coro.
- Sembra che il Trentino non abbia tradizione lirica , mancando una stagione lirica strutturata eppure possiamo già contare su un forte gruppo di artisti in carriera, Giulio Mastrototaro, Nicola Ulivieri, non dobbiamo dimenticare Gemma Bertagnoli tra l’altro usciti dal Conservatorio di Bolzano. Hai un modello di vocalità a cui ti attieni? So che hai una venerazione per Lucia Valentini Terrani, il mezzosoprano rossiniano per eccellenza degli anni ’80 e ‘90.
Ho conosciuto la splendida voce di Lucia Valentini Terrani grazie alla pianista Marina D’Ambroso, mia docente, che le fu cara amica. Il conservatorio di Padova ha, all’interno della sua biblioteca, una sala dedicata alla cantante padovana in cui sono raccolti tutti i suoi spartiti musicali. Ho passato interi pomeriggi sfogliando quelle pagine e studiando le annotazioni scritte a margine a matita. Una vera fonte di ispirazione non solo tecnica, ma anche interpretativa.
Per quanto riguarda il modello di vocalità credo sia importante non farsi influenzare troppo dall’ascolto delle voci, trattandosi di uno strumento del tutto personale. Molto spesso si rischia di cadere nell’imitazione di una vocalità che risulta poi non adatta o addirittura dannosa per la propria natura. Ciò che si può prendere come esempio è la capacità interpretativa di un artista.
- Sei crescita sotto lo sguardo vigile di Alberto Zedda e del Rof. Che cosa ti ha dato questa esperienza formativa?
Avere la possibilità di ascoltare Rossini ad altissimi livelli, lavorare con delle stelle della lirica, lasciarsi ammaliare dalla forza trascinatrice del Maestro Zedda è un’esperienza che non lascia indifferenti e che ha segnato indelebilmente il mio percorso successivo.
- Non è mancato poi l’esperienza di Bad Wildbad, a Pesaro con il debutto nel Turco in Italia. Prima c’è stata la vincita del Premio “Luciano Pavarotti Giovani” alla 65/a edizione del Concorso internazionale “Gian Battista Viotti” di Vercelli, uno dei concorsi di lunga tradizione, tra l’altro, Ventiquattrenne eri la più giovane tra i finalisti e l’unica cantante italiana ammessa alla finale del concorso.
Come ti sei sentita?
Assieme alla sorpresa di essere arrivata in finale si è fatta strada anche un po’ di agitazione. Vincere il Premio “Luciano Pavarotti Giovani” è stata una bella soddisfazione e uno stimolo per continuare a migliorare.
- La tua prima volta in un ruolo principale: emozioni, incontri, paure, presagi, felicità.
Il primo ruolo principale che ho affrontato è stata Rosina a Pesaro sotto la bacchetta del Maestro Zedda. Si trattava di una versione semiscenica per celebrare il compleanno di Rossini. Lavorare questo ruolo con la persona che lo aveva riscoperto e lo aveva sentito cantare da tutte le più grandi stelle della lirica, mi metteva una certa soggezione. Per fortuna il Maestro Zedda sa mettere a proprio agio gli artisti, soprattutto i giovani: ho imparato moltissimo in quei giorni di prove. Ho lavorato con altri giovani colleghi fantastici provenienti da diverse nazioni e si è creata subito una coinvolgente atmosfera di festa. Quando si è circondati da una tale energia positiva, tutte le paure si ridimensionano e rimane la gioia di fare musica insieme e di divertirsi cantando. E’ stata proprio una bella festa di compleanno!
- La tua città natale cosa ti ha offerto?
Riva del Garda mi ha offerto un ambiente culturalmente molto stimolante, pur essendo un piccolo centro. La scuola musicale civica che ho cominciato frequentare all’età di 7 anni, il Conservatorio annesso alle scuole medie, il coro Anzolim de la Tor, ma soprattutto il Musicarivafestival che ogni estate richiama centinaia di giovani da tutto il mondo per seguire masterclasses di alto livello. Ho avuto la fortuna di partecipare sia da uditrice che da effettiva alle masterclasses tenute da Veriano Luchetti e da Mietta Sighele che, con passione instancabile, trasmette la sua arte ai giovani cantanti con una chiarezza espressiva che lascia l’ascoltatore incantato.
- La tua opera preferita (escluso quelle che stai praticando)
L’opera che non mi stancherei mai di ascoltare è la Tosca di Puccini.
- La tua famiglia che conta anche musicisti ti ha sostenuto nella tua scelta professionale?
Ho avuto la grande fortuna di avere una famiglia che mi ha sempre sostenuto nelle scelte che ho fatto ma, prima di tutto, mi ha dato la possibilità di avere delle scelte da fare. Mi ha permesso infatti di studiare all’Università di Medicina e di studiare anche al Conservatorio. Di questo sono molto riconoscente.
- Come vivi il tuo ruolo d’artista nel mondo di oggi?
Oggi l’arte è decisamente svalutata. Soprattutto la professione del cantante è vista come accessibile a tutti, basta saper cantare, con il giusto colpo di fortuna si arriva al successo, al guadagno facile e veloce. Questa è una storpiatura forzata dai talent show che hanno riempito la televisione degli ultimi anni. Nessuna arte si pratica senza studio. Certo, ci può essere una certa predisposizione naturale, un certo talento, ma senza una guida precisa, un allenamento costante, uno studio attento, il talento da solo non basta mai. L’artista oggi quindi, a discapito di un mondo che punta alla fretta e al tutto e subito, deve imparare ad avere pazienza con se stesso e lasciare il tempo alla propria arte di maturare, studiando e confrontandosi sempre con chi ha più esperienza e può trasmettere i giusti insegnamenti.
- Quali ruoli sogni di intraprendere?
Il mio sogno è quello di poter interpretare un giorno il ruolo di Charlotte nel Werther di Massenet. Ma come ho detto prima, non ho nessuna fretta di raggiungere questo obiettivo. Seguo studiando e preparandomi per i ruoli via via consoni alla mia voce, assecondandone la sua maturazione.
- Fondamentale è lo studio con chi ti segue nell’approfondimento. Chi ti segue nella preparazione di ruoli e nel controllo tecnico della voce.
Il grande difetto del cantante è che si ascolta troppo. Il problema successivo è che non sappiamo mai come cantiamo “da fuori” perché ci ascoltiamo solo “da dentro”. Certo, esistono strumenti moderni di registrazione che riflettono fedelmente la voce, ma non la conoscono. Di fondamentale importanza è dunque per il cantante avere un “orecchio esterno” fidato, che conosca la voce perfettamente, tutte le sue sfumature e le sue potenzialità. Se si ha la fortuna di avere una tale persona fidata allora si può proseguire sulla propria strada fiduciosi e sicuri di sé, migliorandosi di volta in volta.
In base al ruolo che si deve preparare inoltre è importante fare riferimento agli specialisti di quel particolare repertorio che si va a cantare. Solo confrontandosi con i migliori, si traggono importanti insegnamenti utili per creare il proprio personale gusto e stile musicale.
E’ annunciato Anversa e altre interessanti audizioni…con quali prospettive?
Le prospettive sono incoraggianti. Ho iniziato questo percorso decisa e lo continuo con entusiasmo.
- Per te che ruolo giocano i media nel progettare una carriera? Leggi le recensioni. Ci sono tuoi colleghi che le rifuggono.
In un “mondo social” non si può far finta che i media non siano importanti. Tuttavia credo molto nel rapporto umano tra artisti; la professionalità e l’affidabilità di un cantante restano, a mio avviso, più apprezzabili sul campo di lavoro che il numero di likes su Facebook.
Per quanto riguarda il capitolo recensioni normalmente preferisco prendere una sana distanza critica e scettica tutte le volte che ne leggo una. D’altrocanto su internet si trovano recensioni di tutti i tipi, ma c’è un solo grosso problema nel web (e non affligge solo il campo artistico): non c’è una selezione tra ciò che vale e ciò che non vale, tra ciò che ha un peso e ciò che non lo ha. Sono dell’opinione che alla fine esista un unico vero e temibile critico per l’artista: se stesso.
Federica Fanizza
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