Iván Fischer: «La creatività è gioia e divertimento»
Iván Fischer è tornato di recente a dirigere in Italia, al Ravenna Festival, con la Budapest Festival Orchestra e il soprano Anna Prohaska in un applaudito concerto con musiche di Wagner, Britten e Haydn.
Il direttore ungherese – nato e cresciuto a Budapest come il fratello Ádám, anch’egli famoso direttore d’orchestra – è un cittadino del mondo: ha presto iniziato a girarlo, prima per gli studi con maestri come Hans Swarowsky e Nikolaus Harnoncourt, poi per gli ingaggi con orchestre di prima grandezza, dai Berliner Philharmoniker alla New York Philharmonic e tante altre, e per le partecipazioni ai maggiori festival.
Fischer ha mantenuto comunque un fondamentale legame con la sua terra d’origine, dove nel 1983 ha fondato la Budapest Festival Orchestra; pur sostenendo numerosi incarichi a capo di compagini e teatri d’opera tra i più importanti sulla scena internazionale, in Ungheria ha creato e animato diverse rassegne.
Iván Fischer, molto attivo anche come compositore, ha trovato poi in Italia un’altra sede di elezione: dal 2018, infatti, è direttore artistico del Vicenza Opera Festival, al quale partecipa con l’Opera Company che porta il suo nome.
Gli abbiamo rivolto qualche domanda in occasione del suo ritorno nel nostro Paese.
- Com’è nato il suo rapporto con la città di Vicenza?
È nato per curiosità. Quando avevo poco più di vent’anni ho cominciato a subire il fascino della storia dei teatri, così ho percorso l’Italia per vedere monumenti come il Teatro Farnese di Parma e, ovviamente, il Teatro Olimpico di Vicenza. Ero interessato soprattutto alla nascita dell’opera come riproposizione dell’antico teatro greco.
- Un inizio basato su una passione culturale. In seguito, ha avuto modo di conoscere bene la città e la vita musicale italiana. Di questa c’è qualcosa che lei apprezza particolarmente?
Gli italiani hanno un contatto naturale, intuitivo con la bellezza, sotto l’aspetto visivo sia visivo sia acustico. Questa è la ragione per cui I migliori violini provengono dall’Italia e le più belle melodie sono state create qui. La lingua è molto simile al canto grazie alle vocali e alla chiarezza di pronuncia delle consonanti. La musica è parte della vita italiana. Vorrei ricordare ai miei amici italiani quanto sia importante per loro la musica.
- Guardiamo ora all’Ungheria, che ha dato i natali a molti grandi musicisti come lei, sia interpreti sia compositori. Lei trova che ci siano delle speciali caratteristiche che contraddistinguono il modo ungherese di fare musica? Le ritrova in lei stesso e nella sua orchestra?
La Budapest Festival è una grande orchestra che condivide un’unica visione della musica. È di aiuto il fatto che molti dei suoi componenti abbiano ricevuto un’eccellente educazione musicale in patria. Una preziosa caratteristica ungherese in direttori come Szell, Dorati, Solti, Fricsay e altri è la comprensione profonda del repertorio classico e romantico che risiede nel loro bagaglio culturale. Sono musicisti molto colti.
- Che cosa le ha dato la spinta per fondare, oltre alla Budapest Festival Orchestra, diversi festival e rassegne? Che cosa ama soprattutto del creare nuove realtà?
Creare cose nuove è una necessità. Io cerco di incoraggiare anche nei miei musicisti la creatività, che dà tanto piacere ed è liberatoria. Da bambini siamo tutti creativi, ma perdiamo molto di questa qualità esclusivamente a causa della cosiddetta “educazione”. Per me, inventare cose nuove è una gran gioia e un gran divertimento.
- Ci può dire qualcosa sulle iniziative speciali, come i “Cocoa concerts” o i concerti a sorpresa, che lei organizza con la Budapest Festival?
Noi cerchiamo di organizzare tipi di concerti per ogni età. In particolare, i Cocoa concerts sono rivolti a bambini dai cinque ai dieci anni, per i quali sono indicati lavori più brevi e combinazioni semplici di due o tre strumenti. Il concerto a sorpresa, invece, è come un regalo in un bel pacchetto: non sai che cosa ci sia dentro, ma ti piace aprirlo ed esserne piacevolmente stupito. Nel nostro caso, il pubblico acquista il biglietto senza sapere quale sarà il programma eseguito.
- Lei dirige molto repertorio sinfonico, ma spesso anche opere. Quali principi la guidano in questo genere?
L’opera è un equilibrio tra impressioni visive e acustiche che dev’essere ricercato in modo appropriato a ciascun lavoro. Rossini e Wagner necessitano di un differente approccio di base.
- Parliamo ora del compositore Iván Fischer. I suoi lavori vocali e operistici rivelano non solo il suo gusto per la poesia (anche per quella italiana, con Petrarca e Umberto Saba), ma anche l’attenzione a gravi questioni sociali come l’antisemitismo. Il compositore deve essere impegnato in campo sociale e politico?
Un compositore, come tutti gli artisti, è interessato all’animo umano e all’universo. I leader della società e della politica preferiscono dare risposte facili, ma, come la storia ci insegna, queste si rivelano complesse e paradossali. A volte la politica può essere pericolosa e in questo caso è bene che gli artisti rammentino alle persone valori fondamentali come la tolleranza o la pace. Prendiamo l’esempio di Charlie Chaplin. Per tutta la vita ha girato film che non avevano una diretta attinenza con la politica, ma quando farlo è diventato molto importante perché il pericolo era grande, durante il nazismo, Chaplin ha dichiarato la sua posizione in The Great Dictator. Un po’ è stato d’aiuto.
- Sta lavorando a qualche nuova composizione? Ci può offrire qualche anticipazione?
Appena qualcosa sarà pronto ve lo farò sapere!
Patrizia Luppi
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