La diplomazia musicale per fare la differenza: parla Paolo Petrocelli

In questi mesi complessi si è riflettuto molto sul ruolo del musicista e dell’organizzatore nella società, ci si è chiesti quanto di questo lento e inesorabile processo di emarginazione degli artisti sia imputabile agli artisti stessi e ci si è chiesti cosa si possa fare per sentirsi meno inutili, meno superflui. Alcune risposte possono venire da Paolo Petrocelli, giornalista e manager culturale dalle mille sfaccettature e dalle mille attività, dai Giovani per l’UNESCO al Teatro dell’Opera di Roma, dal Festival di Brescia e Bergamo ai Coldplay, fino ai progetti di diplomazia musicale con EMMA (Euro-Mediterranean Music Academy) for Peace e il Summit dei Premi Nobel per la Pace, e alle recenti affermazioni come membro del Forbes Nonprofit Council.

  • Cominciamo dalle basi: che cosa sono la diplomazia culturale e musicale?

La diplomazia culturale è una delle forme più evolute di quello che definiamo “soft power”. Sostanzialmente attraverso la condivisione di linguaggi e pratiche artistiche si favorisce la promozione del dialogo, del rispetto per le diversità, incoraggiando la comprensione reciproca tra popoli e nazioni, con l’idea che questo scambio di valori attraverso i linguaggi artistici possa favorire una più ampia operazione politica ed economica a livello internazionale. Ecco perché “diplomazia”, la cui componente “culturale” è quindi nei contenuti e negli strumenti usati. Ma il fine della diplomazia culturale non si ferma qui: lo scopo ultimo è promuovere la cultura della pace. In questo i linguaggi dell’arte visiva, musicale, della danza riescono a veicolare valori e ideali che stanno alla base dell’idea di pace, come l’incontro, lo scambio e, come ci hanno insegnato figure quali Ezio Bosso, l’ascolto. La pratica della musica favorisce molto questi processi ed eccoci dunque giunti alla componente “musicale” della diplomazia. La diplomazia musicale dunque altro non è se non un filone della diplomazia culturale che fa del linguaggio musicale il suo mezzo principale per favorire il dialogo. Se questo lo diciamo ad un musicista, gli sembrerà scontato: fare musica insieme presuppone la creazione di un dialogo e di un valore artistico e sociale condiviso, come diceva il nostro caro Ezio. La costruzione del valore artistico è legata a 360° al valore sociale, alla costruzione di un sentimento comune. Attorno a questo si può facilitare molto una vera e propria azione diplomatica, ossia un’occasione di dialogo e confronto, in primo luogo tra artisti e progetti artistici. Perché, d’altronde, chi sono gli attori che promuovono la diplomazia culturale? Gli artisti stessi! In prima linea abbiamo attori, scrittori, musicisti, danzatori, che impiegano il loro talento e la loro energia a supporto di questo dialogo. E quando diventi consapevole della tua abilità, della tua potenzialità di raggiungere molto più facilmente una platea globale con il tuo linguaggio artistico, puoi diventare un ottimo ambasciatore di diplomazia culturale.

  • Permettimi una domanda forse anche un po’ provocatoria: quest’atto di politica non rischia di usare la musica e l’opera d’arte con un fine strumentale? Non si va a snaturare l’identità di un atto artistico non pensato per quel contesto o con quell’intento?

La domanda è giusta. C’è un grandissimo rischio ed evidentemente la diplomazia culturale deve presupporre un approccio il più possibile puro e sincero. D’altronde stiamo cercando di amplificare attraverso la musica la potenza di un messaggio di pace e solidarietà, è chiaro che deve esserci un’onestà intellettuale di fondo. Molto spesso, però, più che una strumentalizzazione c’è una mancanza di capacità da parte delle istituzioni di intercettare la disponibilità di artisti e organizzazioni culturali nella costruzione di operazioni che non abbiano solo un grande significato, ma anche un grande impatto. Perché il principale rischio di tutto ciò che ti sto dicendo è che rimanga qualcosa di molto poco concreto. Assistiamo a molti di questi grandi concerti per la pace e va benissimo ribadire che la comunità artistica internazionale supporta i diritti fondamentali dell’uomo e della democrazia, ma bisogna fare un pezzetto in più, bisogna cercare un impatto ulteriore nella società e nella comunità di riferimento, bisogna fare la differenza.

  • Nel concreto cosa si chiede all’artista in un progetto di diplomazia musicale?

Certamente la performance artistica, ma non solo: si chiede di innestarla in un processo di promozione della pace, ossia mettere a disposizione il proprio essere artisti in un lavoro che va fatto tra le persone, nelle persone e nella società. Per quello ciò che sto cercando di fare con EMMA è in primo luogo proprio risvegliare negli artisti un senso di cittadinanza attiva, di cittadinanza partecipata. Molto spesso, si sa, il perfezionismo e lo straordinario impegno che un artista deve mettere per garantire performance  impeccabili ti porta al di fuori della società, in una direzione altra dove puoi essere concentrato solo sulla tua missione artistica. Questo processo ti isola e ti toglie dalla tua condizione di cittadino: un cittadino deve far parte della propria comunità, deve contribuire al suo sviluppo. Certo, gli artisti il loro principale contributo lo danno quando sono sul palco e gran parte della loro visione deve svolgersi lì, ma anche in questi mesi di Covid ci si è resi conto che gli artisti hanno una forza e un potenziale di espressione anche al di fuori della loro performance. E si manifesta negli effetti dell’impegno che un musicista può mettere nella formazione oppure nella comunicazione di un prodotto sociale, cosa che può avvenire tramite la scrittura o anche solo mettendo la faccia su certi temi e tematiche. Di nuovo, Ezio Bosso ne era una perfetta dimostrazione. E ognuno di noi può condurre questo dialogo con la società a modo suo, ma importante è che questo dialogo ci sia e che affianchi al linguaggio artistico anche le parole, una comunicazione più tradizionale.

  • Parlando di comunicazione e linguaggi, in questi ultimi tempi ha avuto più fortuna a livello di percorsi universitari il tema della mediazione culturale. Qual è esattamente la differenza tra i due concetti?

La mediazione culturale è uno strumento che metti in atto quando le barriere linguistiche rappresentano un ostacolo tale, che bisogna intervenire con un processo, appunto, di mediazione, che favorisca la comprensione tra due comunità (anche religiose) diverse, in merito ad un tema. In quel caso allora il processo di mediazione ha come obiettivo semplificare il dialogo, appianare le diversità e cercare di individuare dei punti di interesse comune. Lo scopo della diplomazia culturale, invece, non è tanto quello di semplificare la complessità della diversità linguistica, ma utilizzare proprio un altro registro linguistico, in questo caso quello artistico, per creare un’intesa superiore che si appelli a quell’intesa umana primordiale, di tipo anche emotivo. E la potenza del linguaggio artistico è tale per cui anche se ascoltare uno strumento suonare produce emozioni diverse, può innescare qualcosa in ogni essere umano, di qualsiasi continente. Chiaro che, come dicevo prima, bisogna avere un senso molto concreto di come utilizzare quest’opportunità per fare la differenza.

  • Ne abbiamo accennato prima, ma scenderei ora, appunto, nel concreto. Come si svolge la tua attività con la Euro-Mediterranean Music Academy?

EMMA for Peace è nata nel 2013 da mia iniziativa con la volontà di coinvolgere da subito decine di artisti dell’area del Mediterraneo, in un momento di criticità che prosegue anche ora, ma che in quel momento era ancora più acuta. E lo stimolo era arrivato dal cercare nuove opportunità di collaborazione tra artisti, perché il conflitto da superare era anche culturale. Anche se i musicisti sono in genere molto abituati a interagire con colleghi di altri paesi, mettere in uno stesso progetto un artista italiano con, per dire, uno egiziano rende comunque necessaria una serie di passaggi che non bisogna mai dare per scontati, per creare un contesto neutro da cui si possa partire per costruire qualcosa insieme, superando quelle dinamiche che vengono dal nostro stile di vita, dai diversi paesi, dalle diverse culture, che sono anche la nostra più grande ricchezza ma anche una barriera. Dal 2012 ad oggi abbiamo dunque lavorato su tre tipologie di attività. La prima è l’attività di formazione, perché il linguaggio musicale è estremamente efficace anche in situazioni formative. Ad esempio abbiamo attivato un progetto di formazione a Malta, coinvolgendo l’Orchestra Giovanile di Malta insieme ad un gruppo di rifugiati africani che viveva in periferia e a un direttore d’orchestra greco. Abbiamo lavorato per un mese ad un laboratorio in cui questi giovani orchestrali maltesi hanno creato un vero e proprio percorso musicale insieme a una ventina di ragazzi africani, che arrivavano chiaramente da esperienze molto forti, compiendo il viaggio in condizioni che possiamo immaginare, ma che hanno trovato attraverso l’esperienza musicale un’opportunità per conoscersi ed integrarsi. E i risultati sono stati ancora una volta incredibili, perché attraverso la musica ogni resistenza iniziale è stata completamente abbattuta.

  • Mi chiedo spesso, però, se questi procedimenti rimangano anche una volta passato quel mese. Si riesce ad avere un impatto concreto e longevo?

Certo! Quello che noi cerchiamo di fare è creare un modello, dare una dimostrazione di cosa si possa realizzare e soprattutto attivare partnership molto trasversali tra istituzioni, il mondo del non-profit e il mondo artistico, cercando di mettere insieme tanti attori diversi che riescano a sviluppare un progetto pilota. Questo progetto pilota, però, ha poi bisogno del supporto delle istituzioni locali per svilupparsi nel tempo, chiaro. Il secondo tipo di attività che stiamo proponendo è un’attività di concerti e performance per favorire la raccolta fondi dedicata a grandi cause umanitarie. E in questa direzione abbiamo collaborato con alcune delle principali agenzie delle Nazioni Unite, dall’UNHCR all’UNICEF. Tra tutte le cause c’è stata la grande crisi in Siria, che noi in questi anni abbiamo sostenuto sia con UNICEF per i bambini, sia con UNHCR per i rifugiati. E i concerti non sono solo il modo di dare un nostro piccolo contributo, ma anche un modo per informare e parlare di ciò che accade. Il terzo e ultimo tipo di attività riguarda la promozione stessa dell’idea di diplomazia culturale all’interno delle istituzioni. Cerchiamo di organizzare opportunità di intervento sia in Italia che in Europa e in Medioriente, in collaborazione con i governi o le grandi istituzioni nazionali, oltre ad interventi di EMMA all’interno di grandi forum e summit. E siamo partiti proprio in questo modo, con il tredicesimo World Summit dei Premi Nobel per la Pace nel 2013. Noi cerchiamo di ritagliare una parte per la musica in eventi nei quali poter entrare in contatto con chi si occupa di pace. E cerchiamo di far passare l’idea che la musica non sia semplicemente il grande concerto celebrativo per un evento importante, ma debba essere uno strumento di dialogo, una dimensione di cui trattare. Così mettiamo in relazione gli artisti che portiamo e che ci seguono con grandi istituzioni e personalità. E questo l’abbiamo fatto anche alle Nazioni Unite a New York e in tanti altri forum europei, con l’idea di continuare a dare forma a quest’idea di diplomazia culturale.

  • Parlando di dare forma all’’idea di diplomazia culturale e di mettere in relazione diversi soggetti, quest’anno è nato un ulteriore progetto sulla scia di tutte le tue attività, ossia Music Diplomacy.

Corretto! Music Diplomacy vuole essere la prima piattaforma online dove raccogliere le storie più importanti e più significative di diplomazia musicale. Diamo modo a grandi artisti, giovani artisti, operatori culturali, giornalisti, docenti da tutto il mondo di raccontare le loro storie, le loro idee, le loro esperienza in prima persona per condividerle con una comunità il più ampia possibile. Questo perché ci siamo resi conto che da una parte mancava un luogo di incontro per queste figure, che sono molte più di quanto si pensi, dall’altro per creare una piattaforma che nel tempo possa diventare oltre ad un luogo in cui si condividono storie, best practices ed esperienze varie, anche un ritrovo in cui svolgere dei programmi di mentorship. Uno dei nostri prossimi obiettivi infatti è chiedere ad alcuni di questi professionisti, di questi ambasciatori della diplomazia culturale che coinvolgiamo nel nostro blog, di realizzare dei programmi sia per artisti che per giovani manager che in tutto il mondo si impegnano a realizzare progetti di diplomazia musicale, con l’idea anche che questo è un lavoro che richiede grandi competenze professionali. Molto spesso si guarda a al mondo del non-profit come qualcosa di poco professionalizzato e invece per realizzare questi progetti servono tante competenze, quante ne servono per realizzare festival o stagioni concertistiche. Quindi vogliamo alimentare quante più opportunità possibili per giovani, meno giovani e artisti, così che possano capire meglio come utilizzare le loro abilità per realizzare dei progetti che mirino a ciò che è importante: fare la differenza.

Alessandro Tommasi

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