La musica ferma il tempo. Intervista a Camille Thomas

Il 9 novembre l’Orchestra Haydn Orchester (anche nota col simpatico acronimo OHO) ha finalmente inaugurato la sua nuova stagione, la prima alla presenza del nuovo direttore artistico Giorgio Battistelli con la direzione di Nil Venditti e il violoncello solista di Camille Thomas. Il concerto, sul classico modello tripartito, vedeva un’ouverture d’opera, un concerto solistico e una sinfonia. In questo caso, l’ouverture era la Sinfonia dalla Semiramide di Rossini, il concerto era Never Give Up di Fazil Say, composto per Thomas, la sinfonia era la Scozzese di Mendelssohn. L’orchestra in gran forma e solidissima conferma la sensazione già avuta quest’estate durante il concerto monografico su Čajkovskij: la Haydn ha voglia di suonare e, dopo la lunga gestione di Daniele Spini, ha tutti gli strumenti per farlo. Vedremo ora, dalla prossima annualità, cosa riuscirà ad immaginare Battistelli per la compagine trentaltoatesina, traghettandola verso una nuova fase della sua storia. Intanto, si apprezzano i copiosi applausi che hanno accolto la direzione di Nil Venditti e soprattutto la forza comunicativa di Camille Thomas. Il concerto ha sortito un effetto notevole, certo sostenuto dall’accesa retorica della musica di Fazil Say, ma retto con fierezza dalle due musiciste, che hanno a più riprese dimostrato un’intesa perfetta sul palco. Nel pomeriggio del giorno prima ho avuto modo di seguire un po’ di prove e di conversare la violoncellista franco-belga, per approfondire la genesi di Never Give Up e la sua missione di artista.

  • Qual è la storia di Never Give Up?

Ci sono stati diversi passaggi che mi hanno portato fin qui. Prima di tutto l’incontro con Fazil Say nel 2014, in Francia. Ad un certo punto mi disse che voleva scrivere un concerto per violoncello e che voleva scriverlo per me. Il titolo è emerso subito: “Never Give Up”. È un titolo che rappresenta molto bene Fazil come uomo e come artista, ma entrambi condividiamo l’idea che la musica non sia solo intrattenimento e che possa significare qualcosa, possa veicolare un messaggio per il pubblico. La composizione del brano cominciò subito dopo gli attacchi terroristici di Parigi ed Istanbul. Fazil mi spiegò che questo concerto era la sua risposta al dolore, ma anche all’incapacità di comprendere l’esistenza di questa oscurità. E la sua risposta è sempre la speranza: non bisogna mai perdere fiducia nell’umanità, mai smettere di credere nella bellezza. Il concerto dunque segue quest’idea. La parte del violoncello è come una voce umana che comincia da sola e finisce da sola, io mi immagino sempre un narratore, una persona che ci racconta una storia del nostro tempo. Perché questo è anche ciò che mi commuove così tanto di Never Give Up: che un brano possa essere così attuale e al contempo così profondo.

  • E nell’elaborazione della parte del violoncello, avete lavorato insieme?

Sì! Ti giuro, è stata un’avventura fantastica per me, sotto ogni punto di vista. Non ho mai potuto assistere così da vicino alla nascita di un brano. Mi ricordo ancora il momento in cui mi ha mandato il manoscritto su Whatsapp per chiedermi se fosse suonabile al violoncello (era già perfetto, non ho dovuto cambiare una nota). Ma il momento più incredibile è stato senza dubbio quando sono andata ad Istanbul e ho suonato per la prima volta il concerto con Fazil che faceva la parte dell’orchestra al pianoforte. E non solo ho scoperto finalmente come avrebbe suonato tutto l’insieme, ma ho potuto condividere le mie riflessioni e visioni con lui. Perché questi piccoli segni neri scritti su un foglio pentagrammato li possiamo interpretare in tantissimi modi e potersi confrontare con il compositore è incredibile. Certo, Fazil è un pianista, quindi al violoncello alcune cose le pensavo diversamente. Ma in genere concordava! (ride)

  • Si sente l’impronta del pianista nella sua scrittura?

Certo! E quando suonava i passaggi del violoncello al pianoforte, mio dio erano bellissimi, ma io non potevo farli in quel modo al violoncello, funziona in un modo diverso! Però Fazil Say è un compositore che sa cosa significhi interpretare e desidera davvero che il solista faccia sua la musica e ne sviluppi una propria visione, che è poi ciò che si fa con tutto il repertorio. Comunque, alla fine siamo arrivati alla première e fu indimenticabile. Eravamo a Parigi e c’erano persone in lacrime che sono venute poi a salutarmi e a dirmi che ascoltare questo brano, con quel primo movimento conflittuale, il secondo drammatico e terribile, ma il terzo finalmente sereno e disteso in una rinnovata comunione con la natura e il mondo, li aveva in qualche modo aiutati ad affrontare ed elaborare il trauma, a guardare di nuovo con speranza al futuro. In quel momento ho capito che dovevo suonare Never Give Up ovunque potessi e che dovevo inciderlo il prima possibile. Subito dopo, poi, l’ho suonato con Nil ed è stato un altro dono che questo concerto ha portato nella mia vita.

  • In occasione del concerto con la Camerata Salzburg?

Esatto! Fazil mi ha detto più volte che c’era questa giovane direttrice italo-turca bravissima, che dovevamo assolutamente suonare insieme, che era fantastica e che ci saremmo trovate benissimo. Così è successo: abbiamo fatto Never Give Up a Salzburg e fin dal primo istante è stato come ritrovare una sorella.

  • Perché?

Beh, in primo luogo la ammiro tantissimo come direttrice d’orchestra, perché è così giovane, è una ragazza, ma quando dirige ti dimentichi queste cose e pensi solo a far musica. Poi per la sua dedizione. Anche a Salzburg ricordo che non lasciava correre niente e insisteva finché non arrivava dove voleva, finché non portava l’orchestra verso la migliore versione possibile. Questo amore senza compromessi per la musica ci ha subito avvicinato, ma poi ciò che veramente ci accomuna è il nostro fuoco sul palco! Amo quando sento questa energia bruciante venire anche dal podio. Insomma, siamo anime gemelle musicali!

  • Parlando di ciò che ti caratterizza come artista, ho una piccola provocazione per te. Prima parlavi dell’impegno e dell’idea che la musica possa rappresentare qualcosa di più che una bella serata piacevole. Questo si manifesta, in molti musicisti di oggi, anche nel prendersi a cuore battaglie e questioni extra musicali. Quanto c’è di genuino, quanto c’è di calcolo per fini promozionali?

È una domanda complessa. Non so se la metterei in questi termini. Perché sì, senza dubbio il risultato finale può essere anche ciò di cui parli, ossia che un solista si distingue anche per questo impegno al di fuori del palco, ma non credo nasca da un freddo calcolo. Alla fine posso parlare solo per quanto riguarda me stessa, ma per me c’è una sola cosa che conta ed è portare la musica ovunque. Voglio condividere questa gigantesca eredità che abbiamo ricevuto in dono con quanta più gente possa raggiungere. Non si tratta di essere famosi, o di avere tanti fan. A me la musica ha dato veramente tanto nella vita. Non solo emozioni, mi ha proprio fatto capire cose che non saprei nemmeno ben spiegare a parole, ma che con la musica comprendi benissimo. E mi spingerei a dire che alcune di queste cose le capisci a questo livello di profondità e intensità solo con la musica classica. Per questo non mi piace essere snob e pensare di dover suonare solo per il pubblico degli appassionati, che già viene in sala da concerto, voglio raggiungere tutte le persone che vogliono ascoltarmi. Poi, chiaro, non emozioni nessuno se non tieni altissimo il livello. L’ho provata sulla mia pelle la magia di quando vai in concerto e tutto funziona, è veramente favoloso. Se passi il tuo tempo a pensare solo alla tua immagine, poi sali sul palco e suoni male, non ha senso, non commuovi, non arrivi a nessuno! Invece ciò che voglio, è fermare il tempo in sala. Voglio prendere il pubblico e portarlo su in un’altra galassia. È ambizioso, lo so, ma io ci provo ogni volta. E tutta la comunicazione per me è un modo di raggiungere quanto più pubblico, portarlo in sala e condividere questo momento. Ce ne siamo accorti specialmente con la pandemia: ho seguito diversi progetti, ad esempio suonando da sola nei musei, cercando di creare bellezza in ogni modo possibile, ma, ora che possiamo, non riesco a pensare ad altro che a tornare sul palco.

  • Certo, senza pubblico in sala è diverso.

Non è che sia diverso, è che proprio non ha senso senza pubblico. Se ciò che cerchi è l’autenticità della condivisione tra artista e pubblico, questo momento in cui il tempo si ferma, come dicevo, hai bisogno di un ascoltatore che sia lì, in quel momento.

  • Parli molto di condivisione, di trasmettere un messaggio al pubblico. Forse è una mia impressione, ma mi sembra che in questi ultimi anni si stia un po’ superando quella patina di perfezione tecnica, figlia della lucidità del disco, ma un po’ algida. Secondo te sta cambiando qualcosa?

Oddio, anche qui posso solo parlare per me, ma non ho alcun dubbio: la perfezione è sempre subordinata al senso musicale. È uno dei miei pregi e dei miei difetti, ho sempre messo la musica al primo posto e mi son sempre presa moltissimi rischi. Anche quando ero più giovane, sono sempre stata il tipo di violoncellista che faceva tantissimi errori, ma li faceva con molto fuoco! (ride) Ecco, ora, con un po’ più esperienza, sto cercando di unire il fuoco alla lucidità, con alla chiarezza, insomma tenere il cuore caldo e la mente fredda. Però ho dovuto imparare che questo ha più a che fare con la preparazione prima del concerto, che con quanto accade direttamente sul palco. Perché al concerto devi dare tutto, devi puntare all’emozione, non alla perfezione. Anche se io ci provo ad essere perfetta, eh, solo che è parecchio difficile! (ride)

  • Mi viene da chiedermi, però, come si fa ad evitare l’esaurimento quando si dà tutto, ad ogni concerto, ma i ritmi del concertista sono frenetici, con intense tournée e lunghissimi viaggi?

Ah, è una domanda che faccio sempre a me stessa! Come farò questo concerto? Sono esausta, arriverò alla fine? Una cosa però l’ho capita: devo avere fiducia nella musica. In tutti questi anni la musica non mi ha mai deluso, quando l’orchestra attacca, quando la musica comincia, io sono lì, nel momento. È come se si attivasse qualcosa, non sento più la stanchezza, tutto è diverso, c’è solo la musica. Poi, dopo il concerto, posso anche essere morta! (ride) Penso sia anche per il discorso del pubblico di cui ti parlavo. Quando sto poco bene e faccio proprio fatica a salire sul palco, penso sempre a chi ha comprato un biglietto e mi chiedo perché l’abbia fatto. E mi rispondo che vogliono avere qualcosa dalla musica e io voglio che loro siano felici. In questo sta il senso di tutto. Non mi interessa se faccio tanti errori, se c’è un critico, se c’è qualcuno di importante in sala che poi potrebbe prendere qualche decisione importante per la mia carriera, davvero, non mi interessa. Mi interessano quelle persone che hanno comprato un biglietto e vogliono tornare a casa con un po’ di bellezza nel cuore. Ecco, concentrarmi su questo mi salva la vita ogni volta.

Alessandro Tommasi

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