La Signora del Belcanto incanta la Scala
Il mezzosoprano Daniela Barcellona ritorna alla Scala con un recital prevalentemente incentrato sul lied di Schumann, Brahms e Gounod, passando per Rossini, fino ad arrivare a Tosti, Cilea e Bizet. Ad accompagnarla al pianoforte, il vocal coach e compagno di vita, il Maestro Alessandro Vitiello.
Come in ogni concerto, l’affiatamento tra il pubblico e l’artista si costruisce da capo nota per nota, aria per aria. E anche se Daniela Barcellona è ben nota e apprezzata dal pubblico milanese, anche in questo caso non è andata diversamente. I lieder di Schumann sono accolti con tiepida accoglienza. Forse anche perché il pubblico, abituato a vederla avvolta nelle armature militaresche en travesti che l’hanno resa celebre, fa fatica a immaginarsela come fragile e tormentata protagonista del lied romantico.
Ma niente paura poiché il ghiaccio si rompe poco dopo con i Zigeunerlieder di Brahms, con i quali Daniela Barcellona riesce a farci sentire “a casa”, grazie a un canto vigoroso e brillante, ma non privo di morbidezze e tinte soffuse. Con la mente siamo subito nei salotti tardo ottocenteschi della finis Austriae, dove le giovani cantanti si esibivano per una ristretta cerchia di amici e conoscenti dell’alta società.
Ancora meglio Gounod, in cui predomina un canto composto, levigato e suadente. Culmine espressivo è il Bolerò su versi di Jules Barbier dove il mezzosoprano regala un’interpretazione esemplare. Un esotismo accennato con grazia, e una caratterizzazione soubrettistica del brano sono la chiave di volta della serata, che da questo momento in poi prende un’altra piega.
L’esplosione del pubblico scaligero che non stava più nella pelle (perché i lieder saranno pure belli, ma quello che la Scala vuole è sempre e solo l’opera), è l’aria della Semiramide di Rossini “Eccomi alfine in Babilonia .. Oh, come da quel dì”. L’Arsace della Barcellona è una certezza, un punto di riferimento che si inanella alla perfezione nelle storiche interpretazioni di Simionato, Horne e Valentini-Terrani. Anche in questa occasione (come di recente a Monaco e altrove), Daniela Barcellona ha incendiato gli animi grazie a un temperamento esecutivo e un colore vocale perfettamente rispondenti alla poetica rossiniana. La granitica declinazione delle agilità e la capacità di rendere lo spessore psicologico del personaggio sono rimaste pressoché inalterate e l’indiscutibile comunicatività dell’interprete ha chiuso il cerchio.
Coprotagonista di questo successo è il Maestro Alessandro Vitiello. La perfetta sintonia di intenti si traduce in una palpabile empatia tecnica e stilistica. Basta uno sguardo, un pensiero non detto, e la perfetta complementarietà dei due artisti si propaga sulla sala.
Come in ogni recital che si rispetti, con i bis inizia il concerto nel concerto. È allora la volta dell’aria della Principessa di Bouillon dell’Adriana (discutibile incursione verista della serata), cui segue una romanza di Tosti. Nello stupore generale, Barcellona propone poi l’Habanera della Carmen, offrendone una lettura elegantemente seduttiva, lontana dal classico cliché della femme fatale che troppe colleghe propinano.
Costretta a un altro bis quasi di forza, è la volta del rimpianto Tancredi, cavallo di battaglia della cantante che nel lontano ‘99 la consacrò nell’olimpo delle primedonne rossiniane. Insieme all’aria della Semiramide, Di tanti palpiti fa scoppiare quel calore e quell’affetto che la Scala riserva ai grandi, e così si susseguono urla, ovazioni, telefonini che immortalano le uscite della diva e via di seguito.
Dopo i quattro bis a furor di popolo, la coppia si congeda. Un’anziana signora si avvicina al palco donando una bellissima rosa bianca alla cantante che presa dall’evidente emozione, non se ne accorge e quasi non la vede. Un gesto semplice, ma eloquente, nel dimostrare l’affetto di un pubblico travolto dall’incredibile felicità di applaudire un’artista che ama.
Pietro Gandetto
(Milano, 1 ottobre 2017)
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