La sorpresa di Zaide all’Opera di Roma
A Roma, in tempi di Covid 19, il Teatro Costanzi riapre le porte al pubblico con Zaide, il Singspiel incompiuto di Wolfgang Amadeus Mozart, composto nel 1779, poco prima dell’Idomeneo, di cui restano solo quindici numeri musicali di cui due melologhi.
Per quest’opera, nel 1981 Graham Vick, in vista del Festival Musica nel Chiostro organizzato da Adam Pollock a Batignano, chiese e ottenne da Italo Calvino un testo che fungesse da raccordo alle parole delle varie arie scritte in tedesco da Johann Andreas Schachtner. Oggi a mettere in scena questa strana creazione contemporanea plasmata su pezzi del passato, è lo stesso regista inglese che lo considera “un abbagliante riff ironico e ultramozartiano sull’opera del Settecento” . Graham Vick, con la sua solita economia di mezzi e l’ironia da provocatore, riesce per una volta a restituire in pieno la magia del teatro musicale mozartiano e il suo profondo senso di libertà, in una dimensione tremendamente attuale di incertezza e solitudine, grazie soprattutto all’impeccabile direzione del maestro Daniele Gatti.
Così il Teatro Opera di Roma, sottoposto a restauro durante la la pandemia, rialza il sipario per accogliere la metà del pubblico ordinario, solo 500 spettatori debitamente distanziati. Al posto dell’annunciata produzione del Rake’s Progress di Igor Stravinski, mette in scena un nuovo allestimento del primo Singspiel mozartinano, prodotto in collaborazione col Circuito Lirico Lombardo e dunque con un severo controllo dei costi.
La scena coincide col dietro le quinte fatto di impalcature originali, di tubi e fili elettrici e dei vari marchingegni teatrali esposti senza veli, nella loro nuda verità. Al centro, una betoniera gialla alza fino al cielo la sua proboscide culminante in una palma, e si presta a diventare la scala di seta che il protagonista, lo schiavo Gometz, deve salire per raggiungere l’amata Zaide, prediletta del Sultano. Sul fondo, una paratia in simil ethernit ondulato divide la scena a mezza altezza, lasciando scoprire sul retro i giochi d’acqua dei giardini del palazzo del sultano. Ai lati, i buchetti del telo di plastica arancione che copre un’altra impalcatura sono le grate del serraglio dietro le quali si intravvede un’odalisca intenta nella danza del ventre e la preferita di Solimano che implora il ministro Alazzim. Remo Girone, vestito come Remo Girone, funge da narratore, apre il baule dove sono conservati gli spartiti di Mozart, e inizia a raccontare la favola di Calvino, mentre Gomatz, prigioniero del sultano, si dimena nelle segrete del palazzo e quando si addormenta accoglie come un sogno la visita di Zaide innamorata, che gli lascia in pegno collane e gioielli e scompare.
Oltre la maestria dei vari numeri musicali, che talvolta – sottolinea Gatti- come nella prima aria di Gometz rievocano il primo movimento della sinfonia 34 in Do maggiore, e però spesso “ producono l’ effetto di sincopi inavvertite” come se Mozart si immedesimasse negli stati d’animo dei suoi personaggi, dando un diverso respiro alla sua musica, la vera sorpresa dello spettacolo che ieri ha debuttato a Roma è il perfetto raccordo tra l’esecuzione di un’opera incompleta, la messa in scena e il testo del racconto di Calvino. Non è solo l’effetto del teatro nel teatro, ma il risultato di un’opera aperta, un racconto nel racconto, dove la fantasia dello scrittore più sperimentale del Novecento si è divertita a creare e ricreare varie trame possibili, offrendo varie ipotesi parallele e concorrenti per arrivare allo scioglimento del dramma, ma senza mai sceglierne una. Ecco che allora le scene si succedono e i numeri musicali si ripetono, con la ripresa di varie intonazioni, in funzione di sfumature nuove e accenti inediti che aggiungono la sorpresa del romanzo d’avventura alla turquerie settecentesca di Mozart, pur col rischio del sopravvento del testo letterario sul teatro in musica.
Vestiti di ampie gonne nere come dervisci rotanti, i quattro schiavi del Sultano sono pronti a tagliare la mano di Gometz con una sega elettrica, ma ogni volta escono di scena chini a quattro zampe come cagnacci da guardia. L’atletico Juan Francisco Gatell canta con voce piena nel ruolo di Gometz, e si dimena, saltando dal baule-cella sulla torretta della betoniera in cerca di libertà, mentre Chen Reiss, nei panni di Zaide, colora tutte le sfumature del suo esitare, prima scegliendolo come innamorato, poi ritraendosi, e infine seducendolo per fuggire verso la libertà. Su tutti il grande Markus Werba, che intepreta Alazzim, il ministro del sultano, prestandosi perfettamente alle varie trame di Calvino, pronto ora a blandire, ora a irretire, e persino a tradire Solimano, affidato all’ottimo Paul Nilon, mentre Osmino, alias Davide Giangregorio, stenta a volte a stargli dietro.
Marina Valensise
(18 ottobre 2020)
La locandina
Regia | Graham Vick |
Scene e costumi | Italo Grassi |
Luci | Giuseppe Di Iorio |
Movimenti mimici | Ron Howell |
Personaggi e interpreti: | |
Narratore | Remo Girone |
Zaide | Chen Reiss |
Gomatz | Juan Francisco Gatell |
Allazim | Markus Werba |
Soliman | Paul Nilon |
Osmin | Davide Giangregorio |
I Schiavo | Raffaele Feo |
II Schiavo | Luca Cervoni |
III Schiavo | Domingo Pellicola |
IV Schiavo | Rodrigo Ortiz |
Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma |
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