L’annoso problema della formazione musicale in Italia

Assolirica ha letto con interesse, sulla vostra rivista online, l’articolo dedicato al problema della formazione qualificata del giovane professionista della lirica in Italia, in funzione di una corretta continuazione della tradizione della tecnica del canto lirico italiano. È un problema a cui Assolirica ha dedicato moltissime energie proprio negli ultimi dieci anni, da quando è partito il lunghissimo e faticoso iter per il riconoscimento Unesco, obiettivo raggiunto nel dicembre del 2023; energie che per ora hanno portato a qualche attestazione di merito ma che da sole non bastano a risolvere gli annosi problemi della formazione musicale nel nostro Paese e che richiedono per ciò, da ora in poi, una messa a terra concreta e operativa.

Proprio grazie al lungo lavoro promosso in primis proprio da Assolirica per il riconoscimento Unesco, e all’esperienza che da questo ne è scaturita, l’Associazione nazionale degli Artisti lirici italiani avrebbe piacere di integrare qui gli argomenti già esposti.

Il problema della formazione didattica ai fini di una corretta trasmissione del bene immateriale (la tecnica italiana del canto lirico, in questo caso) infatti è centrale nel nostro Paese, che manca da sempre (a differenza dell’altissima scolarizzazione, fin dai primi anni di pratica musicale tout court, delle civiltà centro/orientali europee) di una strutturazione didattica competente della materia musicale in genere; quindi a supplire alla mancanza degli insegnamenti di base, si è delegato tutto ai soli Conservatori, quali scuole di alta specializzazione, che da un po’ di tempo LAUREANO i diplomati.

I Conservatori presenti sul nostro territorio quindi si presentano come para -Università, nelle quali si accede dunque nella sostanza (in molti casi) solo dopo i 18 anni, senza che negli anni precedenti si siano creati i presupposti didattico/organizzativi per apprendere i rudimenti e le basi delle varie pratiche esecutive vocali-strumentali.

Non è difficile capire da tutto ciò (e questo è solo uno degli aspetti fortemente carenti dell’organizzazione italiana dell’insegnamento musicale) che sarà sempre più difficile per noi, artisti italiani, trovarsi competitivi a livello internazionale con civiltà molto più avanzate della nostra nel campo della formazione musicale, dove a 18 anni la maggior parte di questi giovani professionisti iniziano le loro carriere e si presentano ai concorsi con bagagli di esperienza didattica quasi decennale. Esagerando un po’, ma non troppo, mentre noi insegniamo ai nostri ragazzi a leggere il Bona, il Bayer, il Ševčík o il Vaccaj, in tutto il resto del mondo si legge alla stessa età Edgar Varèse, e si esegue Schumann (quando non Rachmaninov), Brahms (quando non Berg) o Verdi e Janacek. È chiaro che non c’è partita.

E tutto ciò non solo perché da noi si inizia a studiare molto più tardi (parliamo qui di scuola pubblica e non degli insegnamenti privati che ognuno di potrebbe acquisire già dall’età di cinque/sei anni), ma anche perché le modalità in cui è strutturato l’insegnamento para-universitario (comprensivo per ciò di una dovizia di materie collaterali teoriche, tutte interessantissime, qualora uno decidesse però di laurearsi in musicologia) penalizza fortissimamente le ore di pratica e tecnica dello strumento scelto (canto compreso).

Il discorso sarebbe a questo punto davvero molto lungo e ci si augura che prima o poi anche a livello Ministeriale si possa operare radicalmente in questo campo, magari sollecitati da una serie di convegni promossi ad hoc, atti a sviscerare il perché si sia arrivati a questa assurda deriva, nella quale, nella maggior parte dei casi, si diplomano/laureano persone che non faranno mai alla fine del loro percorso didattico il mestiere del musicista, figuriamoci se saranno atte a vincere un concorso internazionale o partecipare a delle Accademie di perfezionamento dopo una selezione aperta!

A tutto ciò (soprattutto riguardo alla trasbordante presenza di orientali nelle nei nostri conservatori e nelle nostre scuole di specializzazione) si aggiungono protocolli educativi d’intesa tra il nostro Paese e la Cina (vedi il “progetto Turandot”) che favoriscono da una parte la diffusione del bene vocale italiano tra i discenti orientali, ma che poi per un contorto sistema di pesi e contrappesi, sfavoriscono paradossalmente alla lunga gli alunni italiani. E’ un argomento complesso al quale qui abbiamo solo voluto accennare, ma che ci ripromettiamo come Associazione di categoria di sviluppare in maniera più completa ed organica.

Assolirica ha invece presentato già due anni or sono uno schema generale di progetto di riforma (richiestoci dal Ministero all’interno degli elaborati presentati per il Nuovo Codice dello Spettacolo) per provare a chiarire una volta per tutte la delicatissima ed intricata questione dell’ambigua querelle giurisdizionalista riguardante le Fondazioni lirico-sinfoniche, ora di diritto privato anche se sostenute da fondi principalmente pubblici (progetto letto ed apprezzato dai tecnici del Ministero della Cultura e su un punto specifico anche dal Mimit – ex Mise); è chiaro che passare dagli apprezzamenti all’accoglimento e alla realizzazione legislativa delle proposte ce ne vuole ed il passo non è né corto, né scontato, né conseguente, anzi: ma sappiamo anche che bisogna segnare una strada e che per farlo dovremmo cercare di essere uniti e compatti sempre di più, in quanto la via percorsa da Assolirica quale Associazione 4/2013, recentemente riconosciuta anche dalla legge 49 sull’equo compenso, può essere strada sufficiente e bastante.

La strada dunque per un riconoscimento dell’intera categoria è avviata da tempo in quanto le interlocuzioni tra Assolirica e la Direzione dello Spettacolo dal vivo, il Ministero della Cultura e quello dell’Impresa e del Made in Italy sono più costanti ed attive che mai.

Da qui a dire che tutto è stato fatto ce ne passa e molto è ancora da fare; proprio per ciò ci si augura che, dopo il successo del riconoscimento Unesco (voluto e candidato proprio da Assolirica più di 10 anni or sono), la stesura della legge 49 sull’equo compenso (che prevede, tra le tante cose, la necessità di una definizione dei minimi dei nostri compensi) e la messa a punto di un nuovo cachettario, si possa sempre con maggior impegno lavorare tutti assieme per raggiungere quegli obiettivi comuni e superare quelle annose criticità riconosciute da tutti i soggetti attivi nel campo della Lirica in Italia.

Il direttivo di Assolirica

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