L’arpa nella Notte: Giuliano Marco Mattioli
Di recente uscita per l’etichetta Da Vinci Publishing, il nuovo disco solistico dell’arpista Giuliano Marco Mattioli, Notte, presenta un repertorio interessante e inusuale, scelto attraverso numerosi ripensamenti e riflessioni, reso significativo sia per la vicinanza con alcuni momenti di vita dell’artista che per il desiderio di proporre lo strumento aldilà delle possibilità consuetudinarie. Giuliano esce, così, dalla solita immagine di “strumento soave” dell’arpa, e ne mette in luce – una luce pallida e argentea, lunare – gli aspetti più scuri, a volte stridenti, accostandosi a composizioni che costellano il ‘900 e il tempo presente.
Per l’occasione, ho intervistato Giuliano, che descrive con grande accuratezza i contenuti musicali ed extra-musicali del suo progetto.
- Parlaci del tuo nuovo disco, Notte: quando ha avuto inizio il progetto? Perché è collegato al mondo notturno?
Non ricordo con precisione il momento in cui ho iniziato a pensare a questo progetto. Ricordo invece che più volte nei miei anni di studio sentivo il bisogno di leggere programmi di sala e ascoltare incisioni che dessero un’immagine del mio strumento diversa da quella canonica. In pochi anni ero già stufo di ascoltare i vivaci arpeggi e i dolci armonici della musica per arpa – e non – dell’epoca classica, romantica e moderna. Ero altresì tediato dalle innumerevoli incisioni del bellissimo Impromptu di Fauré, della validissima Sonata di Hindemith e dei due soliti imperdibili concerti di Mozart e di Händel. Per avversione alla banalità ho fatto un album sulla notte dove non è presente un solo Notturno, inteso come forma musicale. Ricordo invece con piacere che con la mia insegnante dell’epoca, Emanuela Degli Esposti, talvolta si scherzava su una possibile scaletta per uno spettacolo “horror”: Comte fantastique di Caplet e Ballade fantastique di Renié su racconti di Poe; Todestanz der Willys di Poenitz sulle figure mitologiche delle villi e altri simili, tutti legati alla notte per il loro contenuto narrativo. Quel gioco fu per me fonte di ispirazione verso una ricerca di composizioni atte a rendere un’immagine simbolica e sonora complementare a quella più solare e delicata dell’arpa. Notte divenne una reale necessità per me oltre una decina di anni fa, dopo un periodo molto doloroso della mia vita. Quando non vengono strumentalizzati in modo pornografico, i traumi personali, al pari delle grandi gioie provate, diventano prima o poi materia di lavoro per un artista.
- Leggendo il booklet si può comprendere che il raggiungimento di una “sintesi”, come scelta definitiva del repertorio da registrare, sia stato un processo ricco di ripensamenti. Quando ti sei reso conto che tale processo era arrivato al suo completamento? E come?
Inizialmente volevo assimilare le figure del mondo fantastico, come Follets e Gnomes di Hasselmans, a brani più strutturati e impegnativi sotto il profilo compositivo. Nel corso degli anni questa chiave mi è però parsa superficiale e didascalica. Nel frattempo, avevo iniziato un percorso psicoanalitico, dal quale ho attinto sempre più elementi circa i miei bisogni relativi alla musica da interpretare. Fu così che al tema della notte come mera cornice temporale narrativa decisi di aggiungere anche quello simbolico del mondo interiore. Insomma, una sorta di seduta psicoanalitica musicale. Mi sono ritrovato nella lettera scritta da Schönberg a Kandinsky il 24 gennaio 1911: «L’arte appartiene all’inconscio! Bisogna esprimere se stessi! Esprimersi con immediatezza! Non si deve esprimere il proprio gusto, la propria educazione, la propria intelligenza, il proprio sapere o la propria abilità».
Uno degli elementi che cercavo e che alla fine è assente in questo progetto è il sesso, la passione carnale. L’assenza stessa di questo tema nelle composizioni per arpa dice tutto su come questo strumento viene percepito. Ah, se oltre ai suoi Labirinti il compianto Bussotti avesse dedicato all’arpa un brano dello stesso registro de La passion selon Sade… Fu così che a un certo punto, dato che canto da molti anni, decisi di inserire delle mie trascrizioni per arpa e voce di brani di musica moderna alternativa: Icicle di Tori Amos è un brano che parla apertamente del desiderio sessuale e della masturbazione in contrapposizione ai dogmi cattolici sulla castità; Rid of me di P. J. Harvey descrive in modo perverso l’ossessione del possedere sessualmente e mentalmente l’altro, del legarlo per sempre a sé in modo fusionale. Questi due brani, che hanno fatto parte del mio mondo musicale ben prima che l’arpa arrivasse nel mio quotidiano, non hanno visto la luce nella scaletta definitiva. Il cambio di registro musicale dovuto alla loro inclusione avrebbe a mio avviso creato uno stridore eccessivo per l’ascoltatore, mentre del perbenismo, sinceramente, me ne sarei bellamente infischiato.
I diversi ripensamenti sono dovuti anche ad alcune ricerche che ho condotto negli anni di elaborazione del progetto. Ad esempio, fino a pochi mesi prima di iniziare le registrazioni avevo inserito nella scaletta Chamber of horrors dell’australiana Elena Kats-Chernin, un brano del 1995 dotato di grande effetto ma che non ha poi trovato posto nel disco. Quindi, si può decidere quando una cosa così intima come un progetto artistico è pronta per essere messo al mondo? No, non si può. Mi si scusi la domanda retorica. Certe cose si sentono, si avvertono. Serve però tempo, a volte tanto, e un lungo lavoro di introspezione per distillare e affinare ciò che si vuole dire di sé e dell’altro agli altri.
- Sempre nel booklet si può riscontrare, tra le varie simbologie e “comparse” del mondo notturno, la luna. Ha un valore particolare per te? Se sì, potresti spiegarmi quale o perché?
La luna è stata per me oggetto di attente letture e riflessioni. Dopo il buio, nulla è più notturno della luna. La natura mutevole del nostro satellite è stato fonte di riflessioni sin dalle epoche primitive. È un chiaro esempio degli archetipi cari a Jung, al pari di Orfeo che si trova a sua volta citato nell’ultimo brano dell’album. Per me la luna incarna al tempo stesso fascino, mistero e rassicurazione nel suo essere mutevole e al contempo costante. È anche simbolo della figura della madre, come descrive bene Cashford in La luna. Simbolo di trasformazione: «Molte culture antiche ritenevano che la luna e la terra fossero composte della stessa sostanza e per questo motivo la Madre Terra e la Madre Luna consistevano in due espressioni della stessa Grande Dea Madre». Essa racchiude inoltre la dualità fra il bene il male, al pari della relazione oggettuale dell’infante con la madre buona e la madre cattiva secondo il pensiero di Melanie Klein. Platone stesso si serve del simbolo della luna luminosa e della luna oscura per formulare la divisione tripartita dell’anima: l’intelletto, cocchiere, e i due destrieri alati, uno buono e mansueto e l’altro impetuoso e capriccioso. La luna è anche una luce nel buio che guida all’introspezione. Marshack proponeva l’idea che l’osservazione delle fasi lunari è la prima prova di un’esistenza del processo cognitivo umano. Forse è la luna che ci insegna a pensare? Un ultimo legame è relativo invece ai numeri. Le tracce sono tredici. Un numero associato alla sfortuna, chiamato la “dozzina del diavolo”, numero pagano simbolo della morte anche nella cultura cattolica – Gesù è considerato il tredicesimo apostolo. Tutto ciò nasce dal fatto che il 13 è il numero della luna, corrispondente all’antica scansione lunare del tempo in mesi lunari, in antitesi ai 12 mesi del sole, simbolo divino di compiutezza del sol invictus rappresentato da Cristo.
- Il disco è ricco di prime incisioni assolute, nonché di composizioni scritte da autori viventi come Carlo Galante e Vincenzo Zitello. Questo porta il disco ad abbracciare un arco di tempo che va dalla fine dell’800 al 2013. Da cosa nasce questa scelta? E com’è nata la collaborazione con i compositori?
Per quanto riguarda Vincenzo Zitello la ragione è una delle più belle: l’amicizia. Gli parlai di questo progetto nel 2013 e in poco tempo mi mandò Prologo verso la notte. Il suo fu un gesto di grande generosità. Ho intuito subito che sarebbe stato il brano di apertura del disco, proprio perché è il più recente e fortemente legato al mio vissuto. Il carattere della composizione si presta particolarmente a introdurre i temi del disco. Ma in tutto ciò che riguardava le scelte interpretative, quali tempi, dinamiche, articolazioni, Vincenzo mi ha lasciato piena libertà.
Discorso più lontano nel tempo è quello di The waning moon. Poemetto notturno di Carlo Galante. Nel 2004, durante la preparazione del più importante e storico concorso per arpa, quello di Israele, scelsi questo brano come composizione a scelta di autore italiano e successiva al 1970. Mi ricordo di averlo suonato più volte dal vivo, anche in Francia durante alcuni tour di concerti, raccogliendo consensi per l’atmosfera particolare che suscita, grazie anche all’impiego di alcuni effetti speciali. Quel brano mi è sempre rimasto nel cuore, anche per la meravigliosa edizione originale su un unico foglio grande circa un metro quadrato. In quegli anni non ebbi il coraggio necessario, ma stavolta, avendo più anni alle spalle e con una finalità diversa, ho voluto contattare Carlo per sottoporgli una mia registrazione. Volevo avere da lui ulteriori spunti di lavoro e critiche sull’interpretazione. Mi fu invece offerto il privilegio di poter suggerire delle modifiche alla scrittura per giungere a una nuova versione del brano. Così, ora, c’è anche un po’ di me in questo “poemetto” notturno.
Andrea Rocchi
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